Yinchuan è una grande città nel Nord-Ovest della Cina, a circa due ore di volo da Pechino. Si trova nelle vicinanze del Fiume Giallo, ed è situata in un’area sostanzialmente desertica che costituiva fin dall’antichità uno degli avamposti lungo la Via della Seta. E’ attualmente la capitale della regione autonoma dello Ningxia, e conta di una popolazione di circa due milioni di abitanti.
Il suo apogeo culturale e politico si colloca tra il 1038 e il 1227 quando è stata la più importante città del regno degli Xia Occidentali, formato principalmente da una popolazione Tangut. L’impero degli Xia si costituì in un momento di particolare debolezza della Cina che dovette abbondonare un vasto territorio a nord per rifondarsi ridimensionata nelle dimensioni geografiche a sud, con la dinastia dei Song Meridionali (1127-1279) con capitale ad Hangzhou.
Tuttavia, dopo quasi due secoli di prosperità, la dinastia degli Xia occidentali dovette soccombere alla inarrestabile avanzata dei mongoli di Genghis Kahn. Divenne da allora parte integrante dell’Impero cinese. Uno dei fenomeni culturali che maggiormente caratterizza Yinchuan e la regione di Ningxia è la presenza di una cospicua comunità islamica, che qui si trasferì prosperando già alcuni secoli fa. Al contrario di quanto accade in altre regioni della Cina, nello Ningxia questa minoranza è abbastanza tollerata dal governo centrale. Per questo, soprattutto a Yinchuan si vedono numerosi musulmani, riconoscibili in certi casi perché indossano abiti tradizionali islamici, e non poche sono le moschee attive. Inoltre, fin dal passato è testimoniata la presenza in queste zone di ebrei e cristiani, a costituire per tradizione un melting pot non sempre possibile in altre aree della Cina moderna.
Ho soggiornato a Yinchuan dal 17 al 21 ottobre di questo 2014, per partecipare quale relatore ad una conferenza internazionale dal suggestivo titolo “The Dimension of Civilization”, organizzata dal MOCA, il Museum of Contemporary Art che – secondo i piani della direzione – dovrebbe inaugurare nei primi mesi dell’anno prossimo. Le sue collezioni, acquistate con grande impiego di risorse economiche negli ultimi anni, saranno collocate in un edificio appositamente eretto a Yinchuan, dal profilo architettonico futuristico. L’argomento del convegno era quindi l’analisi dell’incontro tra l’Occidente e l’Estremo Oriente, così come si è evoluto nel corso degli ultimi secoli. Tra gli speakers, una ventina in tutto, circa la metà provenivano dalla Cina, gli altri – compreso me – dall’Europa e dagli Stati Uniti. Un’occasione unica dunque di confronto tra diverse realtà accademiche che solo ora, dopo decenni di isolamento, stanno cercando un contatto. Tra due culture che gli eventi della storia hanno mantenuto separata l’una dall’altra, alimentando incomprensioni e diffidenza, in alcuni casi.
Il tema dunque calzava a pennello per una città multiculturale e a vocazione multietnica qual’è Yinchuan.
Purtroppo il programma della conferenza era così fitto, e l’hotel in cui eravamo ospitati così accogliente, che praticamente le occasioni per vedere la città e i dintorni sono state rarissime. Io sono appena riuscito a ritagliarmi un’oretta per una fugace visita al Museo provinciale che, fortunatamente, si trovava a soli 200 m dall’Hotel. Ho letteralmente corso tra le sale per cercare di farmi un’idea su quello che esponeva e ho molto apprezzato il tentativo dell’allestimento di restituire le atmosfere transculturali della tradizione di questa zona della Cina, tra iscrizioni in arabo e dipinti contemporanei raffiguranti i famosi cammelli della Battriana, i veri e infaticabili eroi della Via della Seta. Tra saggi di calligrafia e ricostruzioni delle tombe degli imperatori Xi Xia, distanti in realtà solo una trentina di chilometri da Yinchuan, il tempo di far ritorno alla mia poltrona nella sala conferenze è arrivato inesorabile, e il piccolo ritardo che ho avuto l’ho giusticato con l’insostenibile impeto di fare almeno una piccola sosta al bookshop dove mi sono rifornito di alcune pubblicazioni sul Museo.
L’altra escursione, un’altra piccola fuga, l’ho fatta nel pomeriggio di domenica, anche in questo caso all’insaputa di colleghi e organizzatori. Ho preso il taxi e mi sono recato nel cuore della città. E, come mi aspettavo, mi sono catapultato in una situazione sociale e urbanistica del tutto diversa da quella in cui sonnecchiava la zona dell’hotel. Le strade pullulavano di gente in giro per la passeggiata domenicale. Dopo aver visitato la moschea più importante della città (in realtà, praticamente deserta…), mi sono ritrovato tra le strade più vive dal punto di vista commerciale di Yinchuan.
E’ stato allora che ho riconosciuto una certa Cina che mi è piuttosto familiare, della quale avevo fatto già esperienza nei mie precedenti viaggi nell’Impero di Mezzo. Una Cina di strade costipate di empori di chincaglieria varia, del tipo che vediamo anche in tutte le altre città del mondo, ai quali si alternano negozi delle più famose marche internazionali di tecnologia; locali per la vendita di cibo tradizionale (un odore di spezia piccante aleggiava incontrastato tra i vicoli, usato per condire le specialità alla brace per cui è famosa la non lontana Mongolia interna) di fianco a quei supermercati dell’orrido che sono le catene di ristoranti low cost più famose nel mondo, per i quali anche i cinesi inconsapevoli impazziscono. Lungo la larga via principale dello shopping che terminava con la Torre del Tamburo, famiglie, coppiette e gruppi di giovanotti passeggiavano con le mani ingombre di borsette con gli acquisti della domenica: la sicurezza era assicurata dalla presenza di non-rassicuranti poliziotti a fucile spianato a bordo di carri armati (non furgoni blindati o camionette, dico proprio carri armati col cannone spiegato). Che clima di festa, di serenità, di libertà d’espressione! Una libertà nella comunicazione che può in Cina beneficiare anche del divieto assoluto di visitare il motore di ricerca più noto del mondo (inizia con la G e finisce con gle) e di tutti i social networks (non che mi siano mancati particolarmente, ma sapere di non poterli usare mi ha dato un certo fastidio, lo ammetto…). Comunque, la regola vale sempre, anche in Cina, paese che vai usanza che trovi: bisogna sapersi adattare.
La nota più bella sicuramente di questa passeggiata è stata la presenza – lungo quelle strade che ormai perseguono un’inarrestabile tendenza ad uniformarsi con tutte quelle delle altre città sul pianeta – di una serie di personaggi inequivocabilmente cinesi, tipici di quella zona dell’immensa nazione asiatica. Dai barbuti e nerboruti venditori di pelli, scesi in città nel fine settimana per smerciare la loro mercanzia che anche in Cina è ormai clandestina (come nelle nostre città, se la davano a gambe non appena vedevano all’orizzonte un poliziotto), ai simpatici bambini che non sanno cosa sia l’imposizione del pannollino poiché indossano pantaloni aperti all’inguine, pronti per sversare pipì e popò in strada. E poi le decine, centinaia di coloratissimi carretti, stracolmi dei bellissimi frutti di stagione, alcuni dei quali a me del tutto ignoti altri invece, come l’uva, disposti con cura sui piani. L’uva di queste zone sta riscuotendo un grande successo in tutto il paese, usata per produrre vini di alta qualità.
Ritornando in hotel, dopo aver aspettato oltre un’ora che si fermasse un taxi, ho fatto in tempo a dare un’occhiata veloce alla Pagoda Chengtiansi: costruita originariamente nel 1050, quell’attuale è una ricostruzione fedele del 1820, eretta col solo ausilio di mattoni.
Poi, le porte automatiche del grande albergo si sono chiuse alle mie spalle e nel volgere di qualche ora è arrivata la mattina della partenza. Non so se si è trattato di un addio o di un arrivederci, ma è valsa la pena di vivere questa esperienza, nonostante per arrivare da Firenze a Yinchuan bisogna prevedere un viaggio di circa 24 ore…