Intagliati in uno stesso blocco di giada di tonalità verde pallido con infiorescenze di marrone chiaro, presentano entrambi un finale a forma di animale mitologico con un unico corno. Le iscrizioni a intaglio sono in stile baiwen, e si costituiscono entrambe di quattro caratteri disposti in verticale su due file: una si legge Daoguang yubi (“Tesoro iscritto nella mano dell’Imperatore Daoguang”), l’altra Zhengzai yangmin (“Il modo di governare si vede nel popolo che si nutre”).
I sigilli appartennero dunque a Daoguang, che fu sovrano celeste del Regno di Mezzo dal 1820 al 1850, ed infatti essi sono meticolosamente descritti nel Daoguang baosou, il catalogo dei sigilli che appartennero a questo imperatore.
Nonostante regnasse in uno dei periodi più turbolenti della storia moderna della Cina, alle prese con le difficoltà di avere rapporti pacifici con le potenze occidentali, anche Daoguang seguì l’uso dei suoi predecessori di commissionare un certo numero di sigilli, alcuni per uso ufficiale, altri per uso privato.
Nel Daoguang Baosou si ricorda che questi due sigilli furono realizzati proprio nell’anno della sua ascesa al trono, ovvero nel 1820.
Poco più di cinquanta anni dopo la morte di Daoguang, i due sigilli furono acquistati a Parigi, presso la Galleria Langwell, da Emile Guimet (1836-1918), uomo d’affari e conoscitore che – dopo aver viaggiato a lungo in Asia orientale – formò una eccezionale raccolta di arte cinese e giapponese, confluita poi in quello straordinario contenitore di meraviglie che è il Musée Guimet di Parigi.
I due sigilli partivano da una base d’aste di circa 220.000 €; inevitabilmente, sono stati aggiudicati a poco più di un milione. D’altronde chi oggi li possegga s’è portato a casa un pezzo della storia imperiale cinese e l’eco di una irripetibile stagione del collezionismo europeo di arte estremo-orientale.