Do voce ad una richiesta di consulenza.
“Buongiorno professor Morena,
mi chiamo Davide R. e sono di Torino, sono a scriverle poiché venuto in possesso di un’opera d’arte giapponese oramai da qualche anno, e dopo svariate ricerche nel web per riuscire a comprenderne il significato ed un’eventuale valore dell’opera (ammettendo la mia ignoranza in materia) sono arrivato nel vostro sito.
In allegato troverà una foto dell’opera dove sono a chiederle appunto qualche informazione sul significato delle divinità rappresentate, albero usato ed un eventuale valore.
Misure:
Altezza: m. 1,75
Larghezza: m. 1,10
Spessore: cm. 5
La ringrazio anticipatamente e porgo cordiali saluti
Davide R.”

Qualche riflessione introduttiva. Non nego una certa soddisfazione nell’essere definito “Professore”, ma le occasioni in cui capita solitamente mi ispirano reazioni di vario genere . Confesso che essa è una parola che mi incute un qualche timore, poiché mi sembra che crei una certa distanza tra interlocutori. Nel senso che, ho l’impressione, chi si rivolge in questi termini ad un altro individuo si ponga automaticamente su un gradino più basso rispetto a quello su cui si situa il cosiddetto “Professore”. Naturalmente, ho consapevolezza del fatto che il “Professore” è tale per avere conoscenze maggiori in uno specifico argomento, non su tutti. E che, quindi, chi lo interpella in questo modo lo fa prima di tutto per una questione di rispetto dei ruoli e dell’esperienza altrui, non certo perché creda che il “Professore” sia un oracolo infallibile. Tuttavia, la mia opinione è che questi appellativi siano certe volte fuorvianti, soprattutto perché ho coscienza che vi siano in giro professori di diverso tipo, da coloro che insegnano con passione e professionalità a coloro che finiscono per scaldare una poltrona… Comunque, a parte i casi specifici, se “Professore” è colui che insegna, alle scuole medie, alle superiori e all’università, allora non possono negare di essere anch’io ‘uno di quelli’, anche se non me la sento di affermare che “professo” qualcosa. In ogni caso, grazie Davide per avere iniziato così la tua lettera.

La scultura di Davide con Ebisu e Daikoku

Arrivo al dunque della tua richiesta.
Sulla tua scultura, un intaglio a rilievo nel legno di dimensioni eccezionali, sono raffigurati Daikoku ed Ebisu, due dei “Sette Dei della Fortuna (Shichifukujin). Riguardo al primo, situato nella tua opera più in basso, esso si riconosce abbastanza facilmente perché tiene nella mano sinistra un martello e ai suoi piedi ha una balla di riso, due attributi che accompagnano sempre la raffigurazione di questa divinità. Più in alto sta invece Ebisu, il quale è molto spesso mostrato insieme a Daikoku. Tuttavia, non riesco a vedere il pesce di tipo tai, che di solito compare nell’iconografia di quest’ultimo dio che, per l’appunto, era considerato il protettore dei pescatori. Nella tua immagine Ebisu ha nella mano destra un ventaglio pieghevole e in quella sinistra una moneta gigantesca. Altre monete si vedono fuoriuscire dal grosso sacco davanti a Daikoku. Non è casuale che in questa composizione compaiano monete. Infatti, ad Ebisu e Daikoku i fedeli si rivolgevano principalmente per chiedere favori di tipo mondano, quali la prosperità e la ricchezza. E questo tipo di intercessioni riguardavano un po’ tutti gli altri Shichifukujin (Bishamonten, Benten, Hotei, Fukurokuju e Jurōjin, oltre a Daikoku ed Ebisu). Queste divinità, di provenienza eterogenea, si costituirono in un gruppo all’inizio del periodo Edo (1615-1868), ottenendo fin da subito un grandisssimo successo popolare. Non si trattava di fede nel senso in cui consideriamo noi questo sentimento, ma di una sorta di credo nel buon auspicio. Per questo era lecito chiedere a queste divinità favori nell’ambito del quotidiano, come la longevità, la ricchezza e l’amore.
Riguardo al tipo di legno utilizzato, così, dalla foto e a prima impressione, mi sembrerebbe il castagno (tochinoki), ma non ne sono sicuro. Sarebbe necessario che lo vedessi dal vero. Resta il fatto che la ‘fetta’ ha dimensioni a dir poco notevoli, se non risultasse posi essere assemblaggio di diversi tocchi di legno.
Per quanto concerne la valutazione, leggendo il post che inaugurava questa sezione “Expertise”, avrai la risposta.
In conclusione, così, a occhio, mi sembra un’opera di una certa qualità, grandiosa nelle misure, e ben dettagliata nell’intaglio, il quale ben si  combina con la naturale variegazione del legno, secondo una pratica di rispetto per il materiale naturale molto diffusa in Giappone. Ad una prima impressione ti direi che si tratta di un pezzo del XX secolo (è questa datazione recente nulla toglie alla qualità dell’opera), ma per saprne di più bisognerebbe approfondire.
Spero rimarrai soddisfatto, anche se parzialmente, da queste mie riflessioni e,mi raccomando, continua a seguire Orientart e le opinioni del “Professor Morena” (wow!).