Tutt’altra cosa, rispetto alla tipologia cui appartiene il Museo di Münster, sono quei musei che io solitamente definisco ‘mostri’. Fa parte di questo genere di spazio espositivo un certo numero di istituzioni museali ubicate in diversi paesi del mondo. Si può anzi affermare che ognuna delle nazioni sensibili verso l’arte e la propria storia ospitino sul proprio territorio almeno uno di questi ‘mostri’. Il Museo Nazionale di Tokyo è un ‘mostro’; il Metropolitan di New York è un ‘mostro’; il Museo Nazionale di Baghdad era un ‘mostro’, prima che fosse saccheggiato; Palazzo Pitti a Firenze è un ‘mostro’.
Alcune delle più importanti metropoli del mondo – come Parigi, Roma, Berlino, New York – hanno la fortuna di ospitare più di uno di questi ‘mostri’. Londra è tra queste città forse la più emblematica. A pochi isolati di distanza l’uno dall’altro si situano infatti la National Gallery, che è un ‘mostro’, il Natural History Museum, che è un ‘macro-mostro’, il British Museum, che è un ‘mega-mostro’, il Victoria & Albert Museum, che è un ‘iper-mostro’; senza contare una pletora di altri musei più piccoli che punteggiano i distretti cittadini. Una vera e propria manna per il visitatore, che in questo caso letteralmente ‘scende dal cielo’ visto che la maggior parte di loro è a ingresso gratuito!
Per chi è appassionato di arte orientale Londra è una sorta di paradiso. Oltre ad una serie consistente di antiquari di altissimo livello, associazioni culturali che organizzano conferenze ed eventi, residenze storiche ricchissime di tracce della passione degli inglesi per le culture asiatiche, università rinomate nel mondo, librerie fornitissime di testi specialistici, la metropoli anglosassone ospita due musei eccezionali in quest’ambito, ovvero il British Museum e il Victoria & Albert.
Io ho visitato Londra innumerevoli volte, la maggior parte delle quali per studio e per lavoro (che sono poi il mio più grande divertimento). Ho visitato per giorni interi, dall’apertura alla chiusura, sia il BM sia il V&A. Quest’ultimo, in particolare, mi ha sempre lasciato allibito per l’universalità delle sue raccolte. Tutti gli ambiti della storia dell’arte mondiale, antica, moderna e contemporanea, sono rappresentati; la quantità di oggetti esposti è strabordante, la qualità a volte superba. Insomma, sono sincero, è uno di quei posti in cui avrei dato non so che cosa per lavorarci, per scoprirne più da vicino i segreti, per godere appieno della sua bellezza. Se avessi il vizio dell’invidia, ne proverei per la mia amica Luisa Mengoni, espertissima studiosa formatasi a Napoli, che da qualche anno è stata scelta per meriti come curatrice per la sezione cinese del V&A; però, tra i tanti vizi cui soccombo, l’invidia proprio non mi tange…
Una delle sezioni meglio fornite del V&A è senz’altro quella delle ceramiche. Si tratta forse della raccolta più completa al mondo, grazie alla quale è possibile ripercorrere, fin nei minimi dettagli, l’intera evoluzione di quest’arte. Uno dei punti di maggior pregio della collezione è, manco a dirlo, la sezione estremo-orientale, cinese in particolare. Vi assicuro, visitare l’ultimo piano del Museo riservato alle ceramiche – prima che iniziassero i lavori di un riallestimento, più moderno per criteri di esposizione e sicurezza, che sarà ultimato a breve – era un’esperienza travolgente, sublime. Le prime volte che visitai questa sezione ero ancora alle prime armi. Dopo avere studiato sui libri, lo scopo che avevo era quello di imparare la storia della ceramica cinese e giapponese attraverso la visione diretta dei pezzi: quale posto migliore avrei potuto trovare? In seguito mi recai più volte per lavoro. Migliaia e migliaia di capolavori si susseguivano ininterrottamente: più volte avrei trovato un pezzo simile a quello su cui mi scervellavo ormai da mesi senza risultati, potendolo oltretutto fotografare con calma senza tema dei custodi-censori, poichè nel V&A è possibile farlo, anche con il flash!
Va da sé che una simile collezione si presti meravigliosamente alla compilazione di volumi scientifici, nei quali si ripercorre la storia della ceramica cinese. Nel passato ne sono stati pubblicati alcuni, poi diventati indispensabili per ogni biblioteca sulle arti estremo-orientali che si rispetti (ad esempio, J. Ayers, Far Eastern Ceramics in the Victoria and Albert Museum, Londra-New York 1980; R. Kerr, Chinese Ceramics. Porcelain of the Qing Dynasty, Londra 1986; R. Kerr, Song Dynasty Ceramics, Londra 2004).
L’ultima pubblicazione di questo genere risale a soli pochi mesi fa. Si tratta del volume Chinese Ceramics, edito dallo stesso V&A nel 2009.
L’autrice, Stacey Pierson, è personalità riconosciuta nell’ambito degli studi sulla ceramica cinese, autrice e curatrice di numerosi e importanti volumi sull’argomento. Attualmente insegna presso la School of Oriental and African Studies (SOAS) di Londra. Soprattutto, però, ella è stata per alcuni anni curatrice dell’adiacente Percival David Foundation of Chinese Art, una delle più ragguardevoli collezioni di porcellana cinese del mondo, recentemente confluita nelle collezioni del British Museum, dopo la chiusura dell’elegante palazzina in cui era conservata ed esposta al pubblico. In quest’ultimo ruolo l’ho conosciuta alcuni anni or sono, in una delle mie incursioni a Londra. Bella e giovane donna, sicura di sè, fu disponibile nell’accogliermi nel suo studio. Le presentai le mie ricerche sulla collezione di Palazzo Pitti, lei mi ascolto brevemente, poi mi diresse verso le sale del Museo. Non fu un incontro memorabile, lo ammetto, soprattutto se lo confronto con altri che ho avuto durante la mia vita professionale, ma tant’è…
Il suo ultimo libro è una pubblicazione elegante. Le immagini sono tutte di altissima qualità e il testo scorre fluidamente. Alcuni dei pezzi erano inediti, e ciò è sicuramente un punto a favore. Inoltre, la Pierson mostra di essere aggiornatissima sull’argomento, inserendo nel suo testo notizie riguardanti le più recenti scoperte della ricerca e dell’archeologia. Tuttavia, nonostante l’alta scientificità, nel volume non si perde mai di vista l’approccio divulgativo.
Chinese Ceramics è stato infatti concepito per poter interessare un pubblico molto ampio, e non solo gli addetti ai lavori. Opportunamente, quindi, la Pierson ha individuato per il volume alcuni fili conduttori di ampio interesse, coincidenti pressapoco con la suddivisione in capitoli: la tecnica, il design, la funzione, il commercio e lo scambio di dati ornamentali. In particolare il testo si concentra da una parte sulle evoluzioni stilistiche della ceramica cinese, dall’altra su quanto queste abbiano influenzato non solo le civiltà estremo-orientali ma anche quelle del resto del mondo. In più punti del volume, ella ricorda inoltre che quella ceramica è stata per i cinesi una vera e propria industria, avendo avuto solo raramente nel corso della sua storia delle velleità artistiche. Solo in tempi più recenti – in Cina nella dinastia Ming (1368-1644) e in Occidente dalla fine del XIX secolo – l’antico vasellame cinese è diventato oggetto di collezionismo artistico, raggiungendo straordinarie valutazioni economiche.
L’ultima parte del libro è forse anche la più interessante. Pur avendo a disposizione poche pagine, la Pierson dà conto in maniera esauriente degli sviluppi della ceramica cinese dalla fine dell’Impero (1911) agli anni più recenti, sviluppando un tema che è stato finora trattato poco dagli specialisti, nonostante il mercato dia sempre maggiore spazio a queste produzioni del XX e del XXI secolo. Anche di questi prodotti moderni e contemporanei il V&A possiede collezioni di prestigio. In particolare, l’autrice fa notare che, sebbene politicamente la Cina attraversasse uno dei periodi più oscuri della sua storia, culminato nelle devastazioni della Rivoluzione Culturale (1966-1976 circa), alcune fornaci – soprattutto l’intramontabile Jingdezhen – continuavano a realizzare ceramiche di elevatissimo livello tecnico, tra cui quelle raffiguranti Mao Zedong e gli altri ‘eroi’ del paese.
Infine, un paragrafo è dedicato all’analisi delle produzioni più vicine ai nostri giorni. Artisti rinomati, come Xing Liangkun e Ai Weiwei, utilizzano la ceramica come materiale artistico d’elezione per le proprie opere. Intanto, vasellame di grandissima qualità con funzioni di vario genere continua ad essere realizzato, ora come nel passato, dalle fornaci più importanti del paese.
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