Il prossimo 7 ottobre la casa d’aste Veritas Art Auctioneers di Lisbona metterà al pubblico incanto un oggetto particolarmente interessante.
E’ il lotto 22, e si tratta di un paravento a due ante giapponese che misura complessivamente cm. 171 x 185. E’ dipinto su carta in policromia, alla quale si aggiungono – nelle zone non toccate dal pennello – applicazioni di foglia d’oro, secondo un uso molto in voga nella pittura tradizionale giapponese su paravento. La scena dipinta si svolge senza interruzione sulle due ante: è raffigurata una nave nelle immediate vicinanze della costa. Fervono i preparativi di attracco, e infatti una scialuppa ha già raggiunto la riva: i personaggi sulla barchetta già stanno svolgendo le operazioni di scarico delle mercanzie.
Il dipinto, come si è detto, è giapponese, ma gli elementi della composizione sono tutti europei, portoghesi in particolare. La nave è infatti un veliero lusitano, e tutti i membri dell’equipaggio sono evidentemente – per fisionomia e tipo di abbigliamento – non giapponesi bensì portoghesi. A dire il vero, compaiono pure dei personaggi con la pelle scura, forse africani oppure indiani, assoldati dai portoghesi che a quei tempi già dominavano grandi aree tra lo Stretto di Gibilterra e l’Indonesia. La scena va infatti riferita ad un periodo storico ben preciso, compreso tra la metà del Cinquecento e i primi anni del XVII secolo. Fu allora che i portoghesi per primi raggiunsero le coste del Giappone, seguiti a breve dagli spagnoli, e poi dagli inglesi e dagli olandesi. Le relazioni amichevoli tra europei e nipponici, impostate soprattutto sugli scambi commerciali, furono intense da subito ma durarono per pochi decenni, a causa soprattutto della crescente ingerenza dei missionari cattolici negli affari interni dell’arcipelago. Indispettiti e delusi, i giapponesi si decisero tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 per l’espulsione di tutti gli stranieri e per la persecuzione di tutti i giapponesi che in quegli anni si erano convertiti al Cristianesimo. Solo alcuni anni dopo, verso il 1640, lo shogunato Tokugawa concesse a delegazioni di cinesi e di olandesi (questi ultimi protestanti per niente interessati all’evangelizzazione) di risiedere nell’isoletta di Deshima nel golfo di Nagasaki, perché potessero avere rapporti commerciali col paese. Una situazione questa che perdurò per oltre due secoli, durante i quali il Giappone rimase sostanzialmente isolato dal resto del mondo.
L’arrivo degli europei stimolò anche la fioritura di un’arte connessa con questo evento. Essa è genericamente nota con la definizione di Namban, ovvero “barbari del sud”, nomignolo dispregiativo con cui i giapponesi chiamavano gli europei. Non solo i giapponesi crearono manufatti esplicitamente destinati ad essere venduti agli stranieri, come ad esempio le lacche, ma produssero anche oggetti per il mercato interno che – per un verso o per un altro – avessero a che fare con gli occidentali. Tra questi, i paraventi con soggetti europei sono certamente tra i più spettacolari, commissionati dall’élite militare del paese che soddisfaceva così il suo desiderio di esotismo. Realizzati in gran parte da artisti della Scuola Kanō, questi dipinti descrivono in maniera dettagliata alcuni momenti relativi all’incontro tra giapponesi ed europei. Il motivo dell’attracco del galeone alle coste nipponiche è tra i prediletti: molta impressione dovettero fare quelle navi, per la loro mole nettamente più grande rispetto alle piccole giunche locali ma anche per il colore nero della pece sull’esterno, così che furono denominate dai giapponesi col termine kurobune, le “navi nere”. Inoltre, proprio su quelle navi gli stranieri trasportavano merci molto ambite, provenienti da tutto il bacino dell’Oceano Indiano.
I paraventi Namban più famosi sono sicuramente quelle coppie di esemplari a sei ante. In giro per il mondo ve ne sono alcune, come ad esempio quella molto nota nel Museu de Arte Antiga di Lisbona. Più rari sono gli esemplari a sole due ante, anche se ne esistono in un certo numero. Un paravento davvero molto simile a quello offerto dalla Varitas Art Auctioneers fu esposto per mia scelta a Palazzo Pitti nella mostra “Di linea e di colore. Il Giappone, le sue arti e l’incontro con l’Occidente”. Anch’esso proveniva da una collezione privata portoghese, e anch’esso era stato pubblicato nel catalogo di una mostra che si era tenuta a Bruxelles nel 1989. I due paraventi sono davvero molto simili tra loro, se si eccettua la totale assenza della scialuppa con i suoi personaggi in quello esposto a Firenze. Per il resto, essi si equivalgono persino nelle posizioni dei personaggi sulla nave, differendo sostanzialmente nella scelta dei colori. E’ evidente quindi che l’autore sia lo stesso, e che abbia tratto ispirazione da un’unica fonte per impostare la composizione.
Nel catalogo online il paravento non ha stima né base d’asta: il prezzo è “on request”. E’ facile presagire che in molti se lo contenderanno, considerando la rarità di questi manufatti così affascinanti anche per la storia che raccontano.