Il Tokyo National Museum celebra i centotrenta anni di amicizia tra Giappone e Thailandia con una mostra intitolata Celebrating 130 Years of Amity between Japan and Thailand. Thailand: Brilliant Land of the Buddha, inaugurata il 4 luglio e chiusura prevista per il 27 agosto 2017.
Centoquaranta oggetti per raccontare la storia culturale di un paese ricchissimo di tradizioni, che è riuscito nei secoli ad elaborare un complesso di manifestazioni artistiche molto originali, nonostante la vicinanza di ‘giganti’ quali l’India e la Cina.
Anzi, proprio le influenze esterne hanno contribuito in maniera sostanziale a formare il carattere dell’arte thailandese. Fin dai primi secoli dell’era cristiana, mercanti provenienti dall’India fondarono basi commerciali in Thailandia per traghettare le proprie merci nel resto del sud-est asiatico e verso la Cina. Furono loro a introdurre l’Induismo e, soprattutto, il Buddhismo che sarebbe diventata la religione più diffusa del paese.
Fino al XIII secolo il territorio corrispondente all’attuale Thailandia era in realtà suddiviso tra numerosi regni autonomi, tra cui quello ancora misterioso di Dvaravati che fiorì tra il VI e il X secolo prima che fosse assorbito dall’espansione dei Khmer. Fu in quel periodo di circa mezzo millennio che la Thailandia subì la più accentuata indianizzazione, con l’introduzione del Theravada, la ramificazione più conservatrice del Buddhismo, ancora oggi prevalente in gran parte della penisola indocinese. Contemporaneamente, a sud, nella penisola malese si formò la confederazione di città-stato Srivijaya, anch’essa profondamente influenzata dalla cultura indiana ma molto vicina anche all’Indonesia con la quale mantenne costanti rapporti politici, culturali e commerciali.
Gli albori della Thailandia come stato unitario risalgono alla metà del XIII secolo, allorché un gruppo di regni indipendenti si riunì sotto un’unica capitale, Sukhothai. Nel volgere di pochi decenni la città divenne un rigoglioso centro culturale e artistico, soprattutto nel periodo in cui regnò Ramkhamhaeng (1275-1317), una delle figure più importanti nella storia del paese. A questo sovrano illuminato si deve l’introduzione dell’alfabeto ancora oggi in uso, e la promozione di un’arte collegata con il Buddhismo.
L’opera che meglio esemplifica il periodo Sukhotai è senza dubbio il Wat Mahathat, un meraviglioso tempio buddhista edificato in uno stile architettonico che superava le influenze Khmer e stabiliva definitivamente le forme di uno stile puramente thailandese, modello per tutte le sue successive evoluzioni. Il grande Buddha in pietra che ancora oggi si erge immoto e superbo tra le colonne dell’edificio principale del santuario, è paradigma della scultura buddhista thailandese, e una delle icone più ammirate del Buddhismo internazionale.
La scultura di epoca Sukhothai è infatti una delle più raffinate forme d’arte collegate con il Buddhismo di tutto il continente asiatico. I volti del Buddha di questa produzione, in bronzo o pietra, trasmettono un sentimento di profonda religiosità e inducono lo spettatore al silenzio e alla meditazione. La variante del Buddha ‘in cammino’, anch’essa tipica del periodo Sukhothai, ha uno slancio che si ritrova raramente nella statuaria buddhista, espressione di una profonda riflessione dell’artista sulla raffigurazione ‘in moto’ della divinità.
Contemporaneamente alla fondazione del regno di Sukhothai, nel nord della penisola nasceva il regno di Lanna che pose la capitale a Chiang-mai. Esso cadde sotto l’influenza della Birmania che tentò ripetutamente di conquistare anche Ayuthaya, la capitale dell’omonimo regno fondato verso il 1350 che avrebbe infine soppiantato Sukhotai.
Secondo quanto riportato dai viaggiatori europei, Ayuthaya era una città di straordinaria bellezza. I numerosi templi e i palazzi reali si ergevano al di sopra di una natura lussureggiante eppure domata. Migliaia di sculture raffiguranti il Buddha puntellavano le aree sacre, facendo rivivere i fasti di Sukhothai e contemporaneamente richiamando la tradizione Khmer.
I tentativi birmani di occupare Ayuthaya ebbero infine successo nel 1767. La popolazione della capitale si spostò allora verso sud, a Bangkok che divenne la più importante città della Thailandia, titolo che tuttora detiene. Ebbe allora inizio il cosiddetto periodo Rattanakosin, durante il quale il paese dovette fare i conti anche con i tentativi di colonizzazione da parte degli stati europei. Grazie alle straordinarie doti diplomatiche di alcuni suoi sovrani, la Thailandia riuscì però a conservare la sua autonomia, unico stato tra tutti quelli del sud-est asiatico.
Nella storia della cultura thailandese, furono perciò vitali gli sforzi di rendere Bangkok una città in cui si conservasse memoria del glorioso passato e, contemporaneamente, si percorresse la strada verso il rinnovamento. Le architetture e le opere d’arte realizzate a Bangkok tra Otto e Novecento si caratterizzano dunque da una parte per il richiamo alle tradizioni Sukhothai e Ayuthaya, e dall’altra per l’adozione di stilemi di provenienza cinese ed europea. La Cina era infatti diventata il partner commerciale principale della Thailandia, ed è ovvio che la sua millenaria cultura stimolasse gli artisti locali. Così come è naturale che un paese desideroso di entrare nella comunità internazionale si aprisse anche dal punto di vista artistico alle culture occidentali. In quest’ottica si inserisce, ad esempio, la prestigiosa commissione a Galileo Chini della decorazione della Sala del Trono del Palazzo Reale, completata tra il 1911 e il 1913.
Nell’ambito delle arti dell’Asia orientale, la Thailandia ha molto ancora da esprimere. La bellezza dei suoi templi, della sua scultura, della sua pittura e delle sue arti applicate aprirà senz’altro nuovi orizzonti di conoscenza nel prossimo futuro. Per questo, iniziative come la mostra del Museo Nazionale di Tokyo contribuiscono a restituire a questa cultura il rispetto e l’apprezzamento che merita, al di là di qualsiasi interesse o valutazione di tipo economico, ne siamo certi.