Il 28 maggio 2010 si è tenuta a Hong Kong presso Bonham’s un’asta dai risultati eccezionali. Al pubblico incanto è andato un gruppo di snuff bottles provenienti dalla prestigiosa collezione di Mary e George Bloch.
I 140 oggetti d’arte proposti si distinguevano per una bellezza drammatica, un pedigree insuperabile, una storia collezionistica mirabolante; tutti, o quasi, fecero parte originariamente delle raccolte imperiali cinesi, commissionati dagli stessi sovrani per soddisfare il proprio desiderio di possedere il meglio della produzione artistica del tempo.
Con tali premesse, l’esito commerciale della vendita di tanti capolavori non poteva che essere straordinario. E infatti la serie si è letteralmente volatilizzata: nessun invenduto, per un ricavo complessivo di cinque milioni e duecentomila sterline (!), un esemplare – al lotto n. 129 – che ha superato le 820.000 sterline (record assoluto per una snuff bottle). Cifre stratosferiche, per la soddisfazione di tutti, proprietari, casa d’aste e acquirenti, questi ultimi supponiamo tutti cinesi.
Eppure, a parte le recenti evoluzioni del mercato dell’arte estremo-orientale di cui qui non si darà conto, queste valutazioni hanno anche una loro logica squisitamente artistica. Perchè le snuff bottles sono indubitabilmente una delle più raffinate espressioni artistiche che la Cina dinastica abbia mai prodotto. Un concentrato (solo raramente superano i 6-8 cm. di altezza) di materiali preziosissimi (pietre di vario genere, avorio, vetro, ambra, metalli, lacca, porcellana, etc.); una lavorazione (intaglio, pittura, scultura, intarsio, fusione, etc.) dettagliata negli infinitesimi particolari e condotta con inimitabile maestria e padronanza di mezzi; una varietà pressoché inesauribile di temi decorativi, tutti legati ad una precisa, e a volte complessissima, simbologia benaugurale; una certa loro rarità perchè, se è vero che ai tempi moltissime furono realizzate, è pur vero che una gran parte sia andata dispersa o distrutta per le più varie ragioni; inoltre, ciò che è rimasto si trova per lo più nelle mani di collezionisti privati, mentre relativamente pochi sono i musei che ne posseggono nuclei significativi (tra Pechino e Taipei si suddivide una parte consistente della raccolta imperiale), nessuno dei quali in Italia.
Le bottigliette per tabacco da fiuto (in cinese biyanhu), più generalmente
note con il nome di snuff bottle, sono manufatti caratteristici esclusivamente della cultura cinese. La pratica di inalare polvere di tabacco, infatti, ha avuto in Cina una diffusione e un gradimento molto maggiori rispetto a gran parte degli altri paesi del mondo.
L’inizio di questa passione dei cinesi per il tabacco da fiuto si pone solitamente intorno alla metà del Seicento, contemporaneamente quindi all’instaurazione della dinastia mancese dei Qing (1644-1911), evento che avrebbe messo fine all’ultima dinastia imperiale di più pure origini cinesi, quella dei Ming (1368-1644). All’epoca i cinesi già conoscevano, e facevano largo uso, del tabacco da fumo (in cinese yan) sorbito con le pipe. L’introduzione di questa abitudine in Cina risale ai decenni finali del Cinquecento, importata forse attraverso la Corea dal Giappone, paese nel quale era stata diffusa dagli europei, portoghesi e spagnoli in testa. Gli iberici erano stati i primi occidentali a far uso di tabacco, dopo averne appreso l’esistenza e comprese le proprietà intorno alla fine del Quattrocento, durante i primi viaggi alla scoperta del continente americano: tradizione vuole che fosse il monaco Romano Pane ad interessarsene per primo nel 1496, durante un soggiorno ad Haiti. La pianta del tabacco è infatti originaria di quei luoghi: in America settentrionale e centrale le popolazioni precolombiane la fumavano non a scopo di diletto, bensì come antidolorifico, eccitante e allucinogeno.
Nel volgere di pochi decenni il tabacco divenne popolarissimo in tutto il mondo, nonostante non tutti fossero convinti delle sue proprietà benefiche. In Cina, dopo un primo periodo di incondizionata diffusione, nel 1639 il governo vietò l’utilizzo del tabacco da fumo. Tuttavia, concesse che si potesse far uso di quello da fiuto, poichè c’era la convinzione che quest’ultimo avesse proprietà curative.
Non sono chiare le modalità con cui i cinesi vennero a conoscenza del tabacco da fiuto, ovvero foglie di tabacco polverizzate alle quali si aggiungeva di solito polvere di altre piante aromatiche, come la menta, il gelsomino o la canfora. Secondo alcuni esso fu introdotto dai missionari gesuiti che risiedevano in Cina nel Seicento, i quali usavano fiutare la polvere di tabacco poichè credevano che questa aiutasse a placare le pulsioni erotiche. Oppure, è possibile che arrivasse in Cina attraverso le regioni settentrionali, allora molto frequentate da delegati e mercanti russi avvezzi a inalare polvere di tabacco. Comunque sia andata, è un fatto che per i cinesi questa abitudine in pochi anni divenne passione. Nei primi tempi, a partire dal lungo regno dell’Imperatore Kangxi (regno 1662-1722), fiutare tabacco era molto in voga tra i cortigiani, i nobili e i ricchi mercanti residenti nella zona della capitale Pechino. Era dunque un vezzo riservato ad una ristretta élite. Solo più tardi, dalla fine del Settecento, assunse connotazioni più popolari, praticato dai membri di tutte le classi sociali, anche quelle più basse.
Questa breve storia del tabacco da fiuto in Cina coincide, a grandi linee, anche con quella delle snuff bottles. Gli esemplari più antichi risalgono infatti alla metà del XVII secolo, durante il regno dell’imperatore Shunzi (regno 1644-1661). Si trattava di bottigliette in metallo che per forma e dimensioni ricordano quegli analoghi contenitori fino ad allora usati per conservare medicinali di vario tipo. La trasformazione di questi ultimi in snuff bottles avvenne semplicemente con l’inserimento di un piccolo cucchiaino fissato al tappo, utile a prelevare una piccola quantità di tabacco, poi avvicinata alla narice e quindi inalata.
Dal punto di vista artistico questi esemplari ‘arcaici’ erano molto modesti. Un grande sviluppo formale ed estetico si ebbe solo verso l’inizio del Settecento, nell’epoca in cui imperatore era Kangxi che era un abituale fiutatore. All’epoca risale anche la prima menzione scritta sulle snuff bottles, contenuta nello “Xiang Zu Bi Ji” (“Note sulle fragranze per un antenato”), compilato dal cortigiano Wang Shizhen nel 1703-1704. Tuttavia, le maggiori innovazioni si situano in un momento ancora successivo, durante il regno dell’Imperatore Qianlong (regno 1736-1795).
Esteta raffinatissimo e collezionista insuperabile, Qianlong ha lasciato il segno in tutti gli ambiti artistici cinesi. Assolutamente convinto che fiutare tabacco lo aiutasse a superare i frequenti momenti in cui mal di testa, raffreddore e nausea lo attanagliavano, questo imperatore-mecenate contribuì in modo essenziale alla produzione di quelli che sono considerati tra i maggiori capolavori dell’arte delle snuff bottles. Proprietario egli stesso di un’enorme collezione, oggi conservata in parte nel National Palace Museum di Pechino e in parte nel museo di Taipei, Qianlong promosse una produzione variegata e di qualità insuperabile, sia sfruttando al meglio le Manifatture Imperiali – fondate da suo nonno Kangxi sul finire del XVII secolo e site all’interno del recinto del Palazzo imperiale a Pechino – sia stimolando la produzione di laboratori artistici dislocati in altre zone del paese, ognuno dei quali specializzato in una particolare lavorazione: ad esempio, Jingdezhen per le porcellane, Suzhou per le pietre dure, Guangzhou (ovvero Canton) per le decorazioni a smalti policromi, Shanghai per gli avori, Yangzhou e Boshan per i vetri.
Verso la fine del Settecento la quantità di snuff bottles prodotte aumentò esponenzialmente, per poter così soddisfare le sempre più numerose richieste. In generale, ovviamente, la qualità artistica decrebbe. Nonostante ciò, non mancarono esemplari di grande fascino, soprattutto tra quelli destinati alla corte e alle persone più abbienti che continuavano a considerare le snuff bottles come uno tra i più apprezzati doni da fare o ricevere in occasioni importanti, come i compleanni, i festeggiamenti per il Capodanno, o il ricevimento di ospiti illustri, anche stranieri.
Tra le molte novità che hanno caratterizzato l’arte delle snuff bottles nell’Ottocento, un ruolo primario ha l’introduzione della tecnica della ‘pittura dall’interno’. Questa consiste nella decorazione a pennello delle pareti interne delle bottigliette, prevalentemente in vetro, ma anche in cristallo di rocca o altre pietre dure che si caratterizzassero per un grado di trasparenza, anche minimo, che consentisse alla scena dipinta di essere vista dall’esterno. Le migliori snuff bottles di questa tipologia mostrano una qualità artistica che non può essere confinata nell’ambito dell’ornato: si tratta, invece, di saggi di altissima pittura miniaturistica, venerabili inoltre per le difficoltà che gli artisti hanno dovuto superare per dipingere una superficie esigua maneggiando un pennello introdotto attraverso i pochi millimetri che costituiscono l’apertura della bocca della bottiglietta. Consci delle proprie abilità, gli artisti specializzati in questa tecnica erano soliti firmare e datare le proprie opere, proprio com’è concesso ai Maestri della pittura su ampie superfici.
Le evoluzioni della ‘pittura dall’interno’ – ancora oggi praticata con risultati eccezionali da un certo numero di artisti – andranno di pari passo con le ultime fasi della storia delle snuff bottles di epoca ‘imperiale’. In seguito all’esautorazione degli ultimi Qing nel 1911, nel Periodo Repubblicano (Minguo, 1912-1949) le manifatture di snuff bottles subirono un radicale ridimensionamento, a causa soprattutto della perdita dell’appoggio imperiale. Contemporaneamente, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, gli occidentali scoprirono questa sopraffine forma d’arte: acquistarono esemplari unici a prezzi a volte molto bassi, formarono raccolte, avviarono gli studi sull’argomento e, non da ultimo, stimolarono una produzione che, in alcuni casi, si caratterizzava per una certa qualità, in altri era invece modesta, mentre – già allora – cominciarono a proliferare falsi da rifilare a ignari e inesperti collezionisti. Anche gli artigiani giapponesi, volendo approfittare del momento favorevole, iniziarono in epoca Meiji (1868-1912) una produzione di snuff bottles ad imitazione di quelle cinesi, con risultati a metà tra l’artisticità e il tentativo di truffa.
Tuttavia, in Cina una certa ripresa qualitativa si ebbe con l’avvento della Repubblica Popolare (Renmin, 1949-), durante la quale questa forma d’arte tradizionale ha conosciuto una certa rinascita: le snuff bottles contemporanee, non assolvendo alla funzione originaria di contenere tabacco da fiuto, sono oggi apprezzate esclusivamente per il loro valore artistico.
Le parole che hai usato per introdurre questo discorso ci fanno capire quanto questi pezzi siano preziosi. Le foto poi testimoniano tutta la loro bellezza, evidente anche a occhi del tutto inesperti come i miei.
Per quel che ho visto qui le snuff bottles sono veramente delle piccole meraviglie. Dalle foto pensavo fossero più grandi ma poi hai specificato le dimensioni e, inutile dire che, vederle come piccolissime bottiglie conferisce loro ancor più un valore dal punto di vista tecnico(d’altronde gli orientali erano bravissimi nella realizzazione di pezzi minuscoli e bellissimi, penso ai netsuke).
Ho una domanda: l’introduzione della “pittura dall’interno” aveva una funzione? Magari poteva servire proprio come risposta al fenomeno che vide una grande fortuna (e conseguenze diffusione) delle snuff bottles. In tale ottica, potremmo dire che la caratteristica che differenziava una snuff bottle “media” (ormai c’era una diffusione più ampia, no?) da una “straordinaria” poteva essere proprio la presenza della decorazione interna?
cara Nadia,
anche a me le snuff bottles cinesi ricordano molto da vicino i netsuke giapponesi, poiché entrambe queste forme artistiche hanno come principale caratteristica le esigue dimensioni e l’attenzione parossistica alla resa del dettaglio più minuto. Tra le differenze, credo che ve ne sia una di non poco conto, che secondo me contribuisce in maniera sostanziale anche al maggior valore economico delle snuff bottles rispetto ai netsuke, che pure raggiungono stime altissime. E cioè che, mentre i netsuke erano prediletti dalla ‘classe media’ giapponese, ovvero da quei ricchissimi mercanti che vivevano nelle maggiori città del paese, le snuff bottles, almeno nel Settecento, erano manufatti quasi esclusivamente usati e collezionati dai nobili di corte e, in maggior misura, dallo stesso Imperatore, Figlio del Cielo. Per i collezionisti contemporanei deve certo significare qualcosa poter possedere un oggetto maneggiato dal sovrano cinese piuttosto che da un semplice commerciante…
Riguardo alla ‘inside painting’, la tua domanda mi permette di aggiungere una specificazione a quello che ho scritto. La mia opinione, sulla ruota del pensiero di esperti molto più qualificati di me, è che gran parte di queste bottigliette dipinte dall’interno non fosse in realtà destinata a contenere tabacco e quindi all’uso: il rischio che la pittura si rovinasse era troppo alto. Perciò i migliori esemplari di questo genere mostrano condizioni di conservazione della pittura pressoché perfette. Credo invece che nascessero proprio come opere di pittura in miniatura, per il godimento estetico di raffinati estimatori. D’altronde, nello stesso periodo in cui la ‘inside painting’ prendeva piega, alla fine dell’Ottocento, l’uso di sniffare polvere di tabacco si ridimensionava in tutto il paese.
Snuff Snow Bottles.
Non vorrei sembrare irriverente. Visto che l’abitudine di sniffare,
magari non proprio tabacco, è piuttosto diffusa anche oggi –
non potremmo promuovere un revival delle snuff bottles, possibilmente imperiali,
anche tra gli abituali frequentatori di discoteche e privé ?
Aggiungeremmo almeno un tocco di classe in un universo disperatamente banale.
e se tra coloro i quali acquistano oggi snuff bottles, anche quei pezzi da centinaia di migliaia di euro, non ci fossero già sniffatori di polverine…oh dio! molto chic, trendy. chissà che non possa accorgersene lo studioso del 2113, esaminando quelle strane concrezioni…