Lacca e madreperla.
Un binomio di sicuro fascino.
Duraturo, consolidato come pochi in tutta l’Asia lontana.
Dalla Cina alla Corea, dal Giappone alle isole Ryūkyū, dalla Thailandia all’India, sono pochi i paesi di quel continente che non abbiano sperimentato nel corso della loro storia questa accoppiata vincente.
D’altronde, la superficie scura e levigata che scaturisce dalla sovrapposizione di strati di vernice di lacca ben si presta a esaltare la cangiante iridescenza della madreperla, stimolando da secoli la fantasia e l’ingegno di artisti e artigiani di tutta l’Asia.
L’uso della vernice che si ottiene dalla resina estratta dalla Rhus vernicifera – una pianta che cresce soltanto in alcune zone a clima tropicale dell’Asia – ha origini molto lontane nel tempo. Agli esordi era utilizzata quasi esclusivamente per le sue proprietà idrorepellenti. Applicata su oggetti in ceramica e legno, ne assicurava l’impermeabilità, garantendone un minore degrado. Per questo, oggetti in legno rivestito di lacca sono stati ritrovati pressoché intatti in contesti archeologici risalenti a oltre duemila anni fa.
Col tempo, le superfici laccate diventarono la base per ornati di vario genere, realizzati con una grande variante di tecniche decorative, tra cui la pittura. La lacca è infatti in origine trasparente, e solo con l’aggiunta di specifici ingredienti naturali assume colorazioni diverse, tra le quali il nero è sicuramente prevalente, ma piuttosto diffuso è anche il rosso, ed esistono anche le varianti del verde, del blu e di tutte le sfumature possibili tra i toni più puri.
L’utilizzo della madreperla – frutto meraviglioso di alcuni molluschi presenti nei fertili mari che lambiscono le lunghissime coste del continente asiatico – in combinazione con la lacca è sicuramente una pratica successiva che tuttavia ha con il tempo ottenuto un successo sempre più esteso.
In Cina, lacche decorate con madreperla cominciarono a essere realizzate in epoca Tang (618-907), com’è testimoniato da alcuni straordinari e rarissimi manufatti conservati nello Shōsō-in, il deposito imperiale giapponese nel complesso templare del Tōdai-ji di Nara, che fu consacrato nell’VIII secolo.
Nel successivo periodo Song (960-1279), il gusto prevalente – soprattutto a corte – predilesse oggetti in lacca nei quali ogni decorazione era considerata superflua, quasi potesse inficiare la semplice eleganza formale degli oggetti.
Il vero revival delle lacche a intarsio di madreperla si ebbe nel XIII-XV secolo, durante la dinastia Yuan (1279-1368) e la prima parte del periodo Ming (1368-1644). Fu allora che furono realizzati manufatti superbi per la maestria con cui erano applicate le scaglie, in un esercizio formale e artistico di raffinata armonia, tra il fondo scuro della vernice e il lucore riflettente del materiale marino.
E’ opinione diffusa che questa rinascita della tecnica dell’intarsio di madreperla sia stata stimolata in Cina dall’apprezzamento di quel che si stava sperimentando in quell’ambito in alcuni paesi limitrofi, tra i quali soprattutto la Corea.
L’arte della lacca è uno dei maggiori traguardi artistici raggiunti durante la dinastia Goryeo (918-1392).
Nonostante i manufatti conosciuti risalenti a questo periodo siano in realtà rarissimi, la qualità che li caratterizza permette di confermare quanto riportato da Xuging, un funzionario della corte dei Song il quale – in visita ufficiale in Corea nel 1123 – descrisse le lacche coreane decorate a intarsio di madreperla come le più belle che avesse mai visto.
E in effetti, questi oggetti emanano una una forza fuori del comune, per il perfetto bilanciamento con cui si dispongo gli elementi dell’ornato e la minuzia con sono applicate le tessere di madreperla.
Meno scontata è invece l’influenza sul gusto cinese di quell’epoca delle lacche giapponesi a intarsio di madreperla. L’arcipelago scelse a partire dalla fine del IX secolo di interrompere i rapporti diplomatici, fino ad allora costanti, con il potente impero continentale.
Questa scelta si riverberò profondamente su tutti gli aspetti della cultura nipponica che nella seconda parte del periodo Heian (794-1185) recuperò una sua più evidente autonomia rispetto ai due secoli precedenti in cui l’impatto della Cina e della Corea era stato davvero pervasivo.
Le arti di quest’epoca col tempo sono divenute paradigma del gusto giapponese più puro e meno ibridato dall’assimilazione degli stilemi cinesi, sia dal punto di vista iconografico sia in relazione alle tecniche utilizzate. Fu allora che gli ornati si liberarono dalle catene della simmetria, per esprimere una maggiore consonanza con le variegazioni della Natura, consentendo alla linea di esprimere tutta la sua forza formale.
Nei secoli successivi, il Giappone avrebbe alternato periodi in cui più forte si faceva sentire l’influenza cinese ad altri in cui lo spirito autoctono prevaleva.
Meno sussulti caratterizzano invece lo sviluppo dell’arte della lacca a intarsio di madreperla nelle Ryūkyū, quell’infilata di piccole isole che costituiscono lo strascico meridionale dell’arcipelago giapponese, corrispondente all’attuale prefettura di Okinawa.
La storia delle Ryūkyū è quella di un’indipendenza formale perseguita grazie al vassallaggio di volta in volta offerto alla Cina o al Giappone. Dal punto di vista artistico, gli artigiani delle Ryūkyū hanno dato sicuramente il meglio di sé proprio nella realizzazione di manufatti in lacca decorati a scaglie di madreperla, spesso utilizzati come doni diplomatici per i potenti vicini. Sebbene si individuino spunti decorativi e tecnici afferibili alla tradizione giapponese, le lacche intarsiate a madreperla delle isole Ryūkyū mostrano caratteri evidentemente cinesi, soprattutto nello sviluppo dell’impaginato delle composizioni, sia nei paesaggi sia nelle scene con ‘fiori e uccelli’. Similitudini così stringenti che non è sempre immediato distinguere un oggetto laccato e intarsiato delle Ryūkyū da uno cinese. E non aiuta la biografia a tutt’oggi esistente, ancora troppo scarna perché possa risolvere certi enigmi attributivi.
Non è inutile ricordare che la madreperla e gli effetti di luce che da essa si emanano affascinavano non solo i popoli dell’Asia ma anche gli europei. Il suo utilizzo a scopo decorativo anche in Europa ha origini antiche. Tuttavia, essa non poté essere associata alla lacca se non in tempi molto più recenti, poiché quella vernice poteva essere preparata solo utilizzando la resina estratta dalla Rhus vernicifera, pianta – come si è detto – autoctona solo di alcune zone dell’Asia.
I laccatori giapponesi furono i primi a intuire che l’accoppiata lacca e madreperla potesse entusiasmare gli europei, i quali avevano cominciato a commerciare con costanza in Asia solo a partire dall’inizio del Cinquecento. Tra la metà del secolo e l’inizio del Seicento, soprattutto a Kyoto si realizzarono grandi quantità di manufatti laccati destinati esplicitamente agli acquirenti stranieri, prevalentemente portoghesi e spagnoli, caratterizzati da forme che potessero assolvere a specifiche funzioni di tradizione europea e decori di gusto ‘esotico’, quest’ultimo esaltato esponenzialmente dal diffuso intarsio della madreperla. Questa produzione è denominata Nanban, letteralmente “barbari del sud”, in riferimento proprio agli europei, considerati allora dai giapponesi alla stregua di barbari incivili.
Le lacche Nanban con intarsio di madreperla ebbero un tale successo commerciale da stimolare sul finire del Cinquecento produzioni analoghe in altri luoghi dell’Asia, soprattutto negli avamposti portoghesi.
In qualche caso furono gli stessi giapponesi ad insegnare le tecniche di esecuzione ai membri delle botteghe locali. E’ il caso ad esempio di Macao e Gujarat, dove sembra si trasferissero alcuni artigiani giapponesi esperti in quest’ambito.
Pur mostrando caratteri stilistici vicini a quelli dei prototipi giapponesi, i manufatti laccati e decorati a intarsio di madreperla eseguiti in India si distinguono per proprie specifiche peculiarità. Se nelle forme essi continuano ad assolvere una funzione che potesse soddisfare le esigenze degli europei, negli ornati richiamano un’esuberanza tutta indiana, con esplicite assonanze alla ridondanza Moghul.
La varietà di madreperla utilizzata è, se si può, nei colori ancora più sfavillante, con screziature che vanno dal rosa al celeste elettrico. Di grandissimo pregio anche gli accessori in metallo, lavorati con finezza e massima attenzione nella resa dei dettagli.
Ancora nei secoli successivi, in Cina durante la dinastia Qing (1644-1911), in Corea nella seconda parte della dinastia Joseon (1392-1897), in Giappone nel periodo Edo (1603-1868) e in India nel suo lungo periodo coloniale, manufatti in lacca con decoro a intarsio di madreperla continuarono a essere realizzati senza soluzione di continuità.
Anche i paesi del Sud-Est asiatico si inserirono in quest’ambito, in particolare la Thailandia. Durante la dinastia Rattanakosin (1782-1932), le tecniche dell’intarsio furono applicate su una grandissima quantità di oggetti, molti dei quali destinati all’uso nelle funzioni buddhiste.
D’altronde, già in epoche precedenti questa tecnica aveva avuto molto spazio nei contesti religiosi del Regno di Siam, favorita per le vibrazioni tonali che scaturivano da riverbero della luce fioca delle candele sulle tessere madreperlacee in luoghi suggestivi quali i templi.
Questo brevissimo excursus non esaurisce in alcun modo la conoscenza sull’evoluzione della tecnica dell’intarsio di madreperla su oggetti laccati in Asia. Troppo numerose sono infatti le diramazioni che essa ha intrapreso nel corso di molti secoli e in un territorio sconfinato quale è quello qui considerato.
Si tratta dunque solo di spunti, riguardanti una cifra stilistica che accomuna molte culture antiche dell’Asia. Un gusto che trascende tempo e geografia, un mosaico di tessere brillanti a illuminare il nero lucido delle superfici.
Lacca e madreperla.