In questi ultimi mesi ho colpevolmente trascurato il mio Orientart: e non può essere una giustificazione aver anticipato in una sorta di avviso questa mia assenza. Così, negli ultimi giorni – avvertita una grande nostalgia di questa creatura che ho plasmato insieme ad un certo Davide (abbiamo lo stesso cognome ma non siamo parenti, mi credete?…) di Sideways e che tante soddisfazioni m’ha regalato – cerco di riprendere le fila di un discorso iniziato ormai più di tre anni fa, durante i quali ben ottantacinque sono stati i posts pubblicati.

Specchio in bronzo con decoro di tre animali fantastici su fondo geometrico. Cina, III sec. a.C. Parigi, Musée Guimet.

Il sentimento pseudo-romantico che mi ha spinto a scrivere ancora su Orientart si è unito, inoltre, alla considerazione che molte cose sono accadute negli ultimi tempi in relazione all’arte estremo-orientale (per non scrivere di tutto il resto…). Pur non dedicando loro quel tempo e interesse che avrebbero meritato, ho però preso nota di quello che ho potuto, almeno per quanto riguarda l’Italia. Oltre all’esposizione sull’arte giapponese tra Otto e Novecento di cui ho scritto nel post precedente, la visita a una mostra mi ha particolarmente gratificato, per i contenuti, la qualità degli oggetti e la scelta di un soggetto particolare, senz’altro specifico e circostanziato, ma davvero ricco di spunti di riflessione.
Ho riflettuto sulla riflessione e questi sono i riflessi della riflessione… Scusate il bisticcio di parole, ma la mostra di cui scrivo ha moltissimo a che fare con le superfici riflettenti. Si tratta di Riflessi d’Oriente. 2500 anni di specchi in Cina e dintorni, evento che si è tenuto presso il MAO di Torino tra il 23 novembre 2012 e il 24 febbraio 2013. Io la visitai a pochi giorni dall’inaugurazione, ed ebbi l’onore di farlo avendo come guida d’eccezione il direttore del museo Franco Ricca. I centoventisette specchi, selezionati dall’amico Marco Guglielminotti Trivel, curatore del museo che – purtroppo per me e fortunatamente per lui – in quei giorni era nelle Langhe a rigenerare corpo e neuroni dopo la fatica che comporta l’organizzazione di simili eventi, abbracciavano un arco cronologico che va dal VI secolo a.C. all’Ottocento, per gran parte realizzati nel vasto territorio che identifica attualmente la Cina, con l’aggiunta di esemplari prodotti in Corea, Giappone, Vietnam, Cambogia e Iran.

Specchio in ferro ageminato con decoro di nuvole e animali. Cina, III-IV secolo d.C. Torino, Collezione Jingzitang.

Ricordo perfettamente la bella impressione che ho avuto passeggiando tra gli ambienti di un museo, il MAO, che posso dire di conoscere ormai abbastanza bene, allestiti per questa mostra temporanea. Per stessa natura dei pezzi – dal diametro non superiore ai 25-30 centimetri per gli esemplari più  grandi – non erano necessari ampi spazi, e così l’esposizione ha potuto beneficiare di un ricchissimo apparato didattico, con schede introduttive alle varie sezioni e dettagliate didascalie ai singoli pezzi. Visitando la mostra, perciò, si poteva scegliere di ammirare gli specchi semplicemente godendo della loro bellezza oppure approfondire l’argomento e, quindi, alternare alla visione la lettura dei testi dotti e illuminanti approntati dal curatore. Il bianco dominava la scenografia, lo stesso tono che prevale nel ricco catalogo di accompagnamento edito da Silvana Editoriale. Un bianco neutro ed elegante che ben si prestava a valorizzare il materiale ‘principe’ della mostra: il bronzo, in tutte le infinite varietà cromatiche con cui si può presentare questa lega, che tanto ha contribuito al progresso e all’evoluzione dell’umanità.

Specchio in bronzo dipinto con decoro di scene di caccia e di corte. Cina, prima metà del II sec. a.C. Torino, Collezione Jingzitang.

Il bronzo ha rappresentato per l’antica cultura cinese uno dei maggiori traguardi tecnologici, artistici ed estetici. I manufatti in bronzo creati durante le dinastie Shang (II millennio a.C.) e Zhou (1046-256 a.C.) sono senz’altro tra i più notevoli capolavori che l’umanità abbia creato nel corso della sua plurimillenaria storia, sublimi per l’eleganza delle forme, la ricchezza e il fascino misterioso delle decorazioni, la perfezione tecnica con cui furono assemblati. Allorchè nel VI secolo a.C. i cinesi conobbero le potenzialità di un oggetto quale lo specchio, le fecero proprie realizzando manufatti che – oltre ad assolvere egregiamente lo scopo al quale erano destinati – si distinguono per qualità artistiche davvero pregevoli. Ed è questa storia che raccontavano gli oggetti in mostra a Torino, molti dei quali di straordinaria bellezza come lo specchio con decorazione dipinta di epoca Han, databile alla prima metà del II secolo a.C. e proveniente dalla Collezione Jingzitang di Torino, assemblata da Marcello Pacini nel corso di molti anni durante i quali si sono susseguite acquisizioni anche molto importanti.
La collezione Jingzitang ha contribuito al successo della mostra in modo determinante con il prestito di un gran numero di specchi. Tuttavia, molti altri sono stati i prestatori prestigiosi, tra cui il Musée Cernuschi (di recente oggetto di un articolo su Orientart) e il Musée Guimet di Parigi, il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma e, naturalmente, lo stesso MAO di Torino che ha messo a disposizione due esemplari di produzione giapponese del Periodo Edo (1615-1868). Di non poco conto la scelta di presentare molti specchi finora inediti, contribuendo così alla valorizzazione di oggetti poco noti non solo al pubblico non specializzato ma anche agli studiosi esperti.

Specchio in bronzo con decoro di animali e frutti. Cina, prima metà dell'VIII sec. d.C. Torino, Collezione Jingzitang.

Il catalogo rimarrà senz’altro uno strumento indispensabile di conoscenza per chi voglia anche in futuro approfondire un argomento così affascinante come quello degli specchi e dei riflessi che questi oggetti hanno avuto nella cultura tradizionale cinese, dall’antichità al XVIII secolo, allorché anche in Asia orientale si diffusero le più funzionali superfici riflettenti in vetro di origine occidentale. Tra i saggi, tutti di grande interesse, ho apprezzato particolarmente quello introduttivo redatto dal curatore della mostra, il quale ha dato conto della simbologia insita nell’oggetto specchio: introdotto dalle culture delle steppe dell’Asia Centrale, anche in Cina lo specchio assolse funzioni che andavano ben al di là della mera riflessione, coinvolgendo soprattutto ambiti magici, religiosi e filosofici, in particolare nell’ampia sfera del Daoismo. Più specialistico, ma altrettanto istruttivo, quello di Ma Jihong del Museo di Shanghai, dedicato alle tradizionali tecniche di realizzazione di questi manufatti metallici. A questi si aggiungano gli interventi di Marcello Pacini, come scritto collezionista e principale prestatore della mostra, di Gilles Béguin, già direttore del Musée Cernuschi, e di Aurora Testa della Western Washington University. Ai saggi si aggiungano poi le schede degli oggetti, molto dettagliate, e una ricca bibliografia, aggiornata fino agli studi più recenti sull’argomento.
Insomma, una mostra davvero interessante e molto ben riuscita, che rende onore ad un Museo quale il MAO, in particolare nelle persone del direttore Ricca e del curatore Guglielminotti Trivel. Io l’ho apprezzata quasi come una sorta di dimostrazione di coraggio, e mi spiego. In un periodo storico in cui si continuano a produrre principalmente mostre che sottostanno a particolari logiche di mercato, organizzate cioè soprattutto per compiacere misteriosi patti economici e per far cassa, sfruttando così una presunta ‘ignoranza’ del pubblico generico per propinare in realtà sempre la solita solfa (vedi cose tipo ‘I capolavori dell’arte cinese’, oppure ‘Le maraviglie di un Impero’: i titoli sono ovviamente inventati ma di esposizioni del genere anche in Italia se ne son viste molte negli ultimi anni…), la mostra di Torino se ne discosta nettamente, puntando su qualità scientifica e originalità di tema. Magari non avrà attratto folle oceaniche di visitatori ma, ne sono convinto, avrà senza dubbio interessato molti tra appassionati e curiosi, che difficilmente la dimenticheranno, al contrario di quanto accade per quell’altro tipo di mostre più roboanti, più ricche, più importanti, più grandiose, ma senz’altro dotate di meno personalità. Io, naturalmente, tifo per il MAO e per questo genere di mostre, che hanno quella rara forza di arricchire il bagaglio culturale di tutti noi.