E’ stato forse il più influente pittore cinese nella prima metà del XX secolo, e la sua opera ha avuto la forza non solo di contaminare l’arte di un folto stuolo di suoi studenti e discepoli, ma anche di smuovere le coscienze di moltissimi cinesi, in uno dei periodi più difficili nell’intera storia di quel grande paese.

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I cinquecento compagni di Tian Heng

Xu Beihong (1895-1953) nacque a Yixing (Provincia dello Jiangsu, nel sud della Cina), cittadina famosa fin dall’antichità per essere uno dei maggiori centri di produzione ceramica del paese. Studiò  da bambino la calligrafia e la pittura in stile tradizionale con suo padre, ma il primo vero momento di svolta si situa nel 1915 allorché si trasferì a Shanghai. Da allora avrebbe iniziato un lungo girovagare che l’avrebbe dapprima portato a Tokyo nel 1917, quindi a Pechino e, soprattutto, tra il 1919 e il 1927, in Europa.

A Parigi il giovane Xu Beihong frequentò l’Accademia Julian e quindi l’École Supérieure des Beaux-arts, istituzioni nelle quali ebbe modo non solo di apprendere i rudimenti tecnici della pittura europea, tra i quali l’uso lo dei pigmenti a olio e della prospettiva matematica, ma anche  di confrontarsi con uno stile improntato alla ricerca in pittura del realismo, ovvero di una raffigurazione che cercasse di rappresentare quanto più verosimilmente possibile gli elementi della scena. Ovvero, quanto di più lontano possa esserci rispetto alla pittura tradizionale cinese che, da sempre, ha prediletto una visione idealizzata, fuori dagli schemi della realtà, quanto invece basata sulla reiterazione di formule pittoriche impostate su linea e atmosfericità.

Tornato in Cina dopo il lungo soggiorno all’estero, Xu Beihong ebbe in più occasioni modo di esprimere queste sue opinioni. Egli fu piuttosto duro soprattutto nei confronti della ritrattistica cinese che, a suo dire, e fin dai suoi esordi, non aveva mai risposto alla funzione che le spetterebbe, ovvero descrivere con adeguata precisione i lineamenti e le caratteristiche fisiche e morali del ritrattato.

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Il vecchio pazzo che spostava la montagna

In quest’ottica, Xu Beihong non risparmiò critiche anche verso la nuova pittura occidentale che aveva avuto modo di ben conoscere. Cézanne e Matisse, a suo dire, era il frutto di logiche di mercato che nulla avevano a che fare con la reale ispirazione artistica… L’accademia e il realismo erano i soli stili che potevano raccontare una società in fermento come quella cinese, alle prese allora con uno stato continuato di guerra civile, e che di lì a poco avrebbe dovuto fare anche i conti con l’invasione giapponese.

Si veda, ad esempio, quella che è forse la sua opera più famosa, I cinquecento compagni di Tian Heng, conservata presso lo Xu Beihong Memorial Museum. Si tratta di un grande dipinto a olio su tela (cm. 197 x 349), nel quale è raffigurato il momento nel quale il condottiero Tian Heng convince i suoi fedeli compagni che l’unico modo per mantenere intatta la propria virtù e il proprio onore sia il suicidio collettivo. Questo narra Sima Qian (145-86 a.C.) nelle sue Memorie. E questo riporta graficamente Xu Beihong, in un’opera che mostra palesemente l’ispirazione alla pittura di argomento storico europea che si sviluppò compiutamente nell’Ottocento, prima dell’arrivo delle avanguardie. Una pittura che fa del realismo la sua cifra identificativa, esattamente come la interpretò Xu Beihong. Una pittura che vuole contribuire a diffondere nel popolo cinese quei sentimenti che ne avevano plasmato la memoria collettiva da millenni a questa parte.

Tuttavia, sarebbe fuorviante pensare che Xu Beihong sia stato un pittore dedito esclusivamente allo stile occidentale. Egli ha infatti realizzato soprattutto opere in stile tradizionale, anche se la sua formazione internazionale si insinua pure in quei dipinti che a prima vista sembrano più puramente cinesi.

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Cavallo al galoppo

Si guardi a questo proposito, per esempio, l’altrettanto famoso e grande dipinto intitolato Il vecchio pazzo che spostava la montagna del 1940 (cm. 144 x 421), conservato nello stesso Xu Beihong Memorial Museum. Il soggetto è senza dubbio un’esortazione per i cinesi a resistere contro l’invasore giapponese, e l’artista lo realizzò durante un suo soggiorno a Singapore. Xu Beihong costruisce una scena complessa nella quale il lavoro degli uomini nudi fa da contrappunto al particolare con il ‘vecchio pazzo’ che parla con una donna accompagnata da un bambino. La tecnica usata è quella tradizionale cinese, con inchiostro e colori su carta, ed anche il formato è quello classico del rotolo orizzontale. Tuttavia, le anatomie dei personaggi tradiscono chiaramente la conoscenza dell’artista delle regole della pittura europea, così come la scelta degli scorci con cui le figure sono presentate. Ed anche l’incarnato è costruito grazie ad un uso sapiente di chiaroscuro e sfumato. Xu Beihong è stato dunque capace di miscelare con gusto i principii fondamentali della sua formazione artistica, dando il via a sperimentazioni e ibridazioni che avrebbe segnato profondamente tutta la successiva storia dell’arte cinese.

Chi abbia un minimo di dimestichezza con la pittura cinese conosce senz’altro Xu Beihong per i suoi cavalli al galoppo, una vera e propria icona dell’arte estremo-orientale del Novecento. L’artista ne ha dipinte moltissime versioni, riuscendo a imprimere il suo stile inconfondibile ad un tema non facile qual è quello dell’animale in movimento. Purtroppo, com’è prevedibile, le repliche e i falsi di queste opere di Xu Beihong letteralmente invadono il mercato. Quando, però, ci si imbatta in una versione autentica, della quale magari si conosca la provenienza, il suo valore economico può essere davvero notevole.

Uno splendido Cavallo al galoppo, datato marzo 1949, e piuttosto grande (cm. 118 x 77), è stato aggiudicato in un’asta Christie’s tenutasi a Hong Kong il 26 e 27 novembre 2012, per la bella cifra di 780.000 $.