Qi Baishi è il campione della pittura cinese tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, l’autore che meglio ha interpretato uno dei più cruciali passaggi tra passato e modernità nella millenaria storia dell’arte grafica del suo paese.
Pure se contiene tracce della grande tradizione, echeggiando inoltre certi modi stilistici in voga tra gli artisti a lui contemporanei, la sua pittura è in tutto originale, semplice eppure potente, gioiosa, raffinata, libera.
Il suo talento va ben oltre l’abilità nel destreggiarsi con colori e pennelli.
I suoi dipinti emozionano soprattutto per una sublime vena poetica, riflesso spontaneo e ispirato di una personalità vivacissima, fuori dal comune.

Qi Baishi, Balsamina, 1948. Londra, The British Museum.

Con qualsiasi soggetto egli si sia confrontato, dal paesaggio ai ‘fiori e uccelli’, dai gamberetti ai granchi, dai pulcini alle nature morte, dalle verdure alla figura umana, Qi Baishi è riuscito immancabilmente a infondere vita alle sue creazioni, grazie a un approccio all’arte e all’esistenza profondamente pervaso di umiltà e pacata consapevolezza.
Nato nel 1864 a Xiangtan in una famiglia molto povera, Qi Baishi non ebbe modo di studiare e per la sua salute cagionevole frequentò pochissimo la scuola, lavorando fin da adolescente come carpentiere.
Fu proprio nella giovinezza che egli scoprì la sua passione per l’arte, stimolato dall’assidua lettura de Gli insegnamenti del giardino grande come un granello di senape, quel manuale di pittura della fine del XVII secolo che ha ispirato generazioni di artisti cinesi.
I suoi esordi furono dunque da autodidatta e solo in anni seguenti avrebbe affinato le sue tecniche grazie alla frequentazione di alcuni maestri, dai quali apprese lo stile gongbi, caratterizzato dall’uso di una pennellata precisa, quasi leziosa, in combinazione con una cura meticolosa per la resa dei dettagli delle composizioni. Uno stile, il gongbi, che ha segnato una parte piuttosto importante della storia della pittura tradizionale cinese.
Qi Baishi trascorse la prima parte della sua vita nei dintorni della cittadina dov’era nato, e solo verso i quarant’anni iniziò a viaggiare, visitando alcuni tra i più straordinari scenari del suo paese.
Ebbe inoltre modo di entrare in contatto con alcuni degli artisti più talentuosi del tempo tra cui Wu Changshuo, il maggiore esponente della Scuola di Shanghai, che promuoveva allora una pittura innovativa, caratterizzata da una inedita libertà espressiva, miscela di pennellate-fendenti ispirate dal rinvenimento di antiche epigrafi e ardite giustapposizioni cromatiche.

Qi Baishi, Gamberetti, 1927. New York, The Metropolitan Museum of Art.

La scoperta in quello stesso frangente delle opere di Xu Wei (1521-1593) e Bada Shanren (1625-1705), due artisti refrattari a ogni convenzione, provocò un radicale cambiamento di approccio da parte di Qi Baishi, che da allora scelse la via dello xieyi (letteralmente “pensieri abbozzati”), uno stile più immediato e spontaneo, che nelle sue opere assume a tratti i connotati di una sorta di espressionismo astratto.

Una convinta ricerca di libertà espressiva che si basava sulla volontà di scardinar canoni ormai desueti, come scrisse egli stesso su dipinto con Gamberetti del Metropolitan Museum of Art di New York: “Se hai la capacità di liberarti dalle teorie della pittura, riuscirai a non patire i suoi radicati effetti cattivi. Allora il tuo pennello volerà come i cavalli celesti che si librano nel cielo”.
Nel 1917 Qi Baishi si trasferì a Pechino, dove avrebbe vissuto gran parte della sua vita, attorniato dai numerosi figli avuti dalla prima moglie e poi dalla concubina.
Da allora, nonostante il periodo storico fosse funestato da eventi drammatici, dall’occupazione giapponese alla seconda guerra mondiale, la fama di Qi Baishi si diffuse ovunque e non solo in Cina. La mostra di suoi dipinti organizzata a Tokyo nel 1922 grazie all’impegno dell’amico e mentore Chen Shizeng, ebbe uno straordinario successo, catapultando Qi Baishi nell’olimpo della grande pittura internazionale. In pratica tutte le opere esposte in quell’occasione furono vendute, due a un collezionista parigino.

Qi Baishi, Paesaggio in stile Song, 1922. Kyoto National Museum.

Per inciso, la pittura di Qi Baishi ha da sempre entusiasmato i collezioni giapponesi, e a Suma Yakichirō (1892-1970) – diplomatico in Cina per oltre un decennio – appartenne il meraviglioso Paesaggio in stile Song del 1922 (Kyoto National Museum), eseguito sulla base delle memorie della sua visita nelle montagne Guilin nel Guangxi.
La consacrazione anche in Italia avvenne nel 1956, quando alcuni suoi dipinti furono esposti nel corso della Biennale di Venezia di quell’anno.
Qi Baishi sarebbe morto pochi mesi dopo, alla veneranda età di novantatré anni. Tra i numerosi premi e incarichi che ricevette, si può ricordare l’elezione nel 1953 a presidente della prestigiosa China Artists Association.
Nel corso della sua lunghissima carriera Qi Baishi ha realizzato all’incirca 15.000 dipinti, scolpito una grande quantità di sigilli (specialità nella quale eccelleva), intagliato numerose matrici per stampe delle sue stesse opere e composto oltre tremila poesie.
Negli ultimi decenni, con l’esplosione globale del mercato dell’arte cinese, le quotazioni dei suoi dipinti sono aumentate esponenzialmente, così come l’inarrestabile proliferare di falsi, anche di altissima qualità.
Nel dicembre del 2017 Poly Auction House di Pechino, la più importante casa d’aste cinese, ha esitato una serie di Dodici Paesaggi (cm. 180 x 47 ognuno) al prezzo folle di oltre 144 milione di dollari. L’opera, del 1925, fu regalata personalmente da Qi Baishi al suo amico Chen Zilin, al tempo tra i più famosi medici della capitale.

Qi Baishi, Dodici paesaggi, 1925.