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Imperatore Huizong (1082-1135) (attr.), “Le cortigiane preparano nuove sete tessute”. Boston, Museum of Fine Art.

Il Victoria & Albert di Londra è un museo eccezionale, famoso in tutto il mondo per l’incredibile varietà delle sue collezioni. Ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni nel blog di OrientArt che questo museo è forse il mio preferito, oltre ad essere uno dei più utili per chi voglia imparare sull’arte orientale. Già, perché, come scrissi, il Victoria & Albert possiede una tale varietà di materiali che se qualcuno andasse alla ricerca di un confronto plausibile per datare, ad esempio, una porcellana cinese, lo troverebbe senz’altro visitandolo. Tuttavia, il Victoria & Albert non è il Museo del Mondo (che, tra l’altro, non esiste…), e non pochi sono i suoi ‘punti deboli’, com’è ovvio che sia. Tra questi, certamente, rientra la pittura, quella occidentale così come quella orientale. Non che il V&A ne sia completamente sfornito, ma non si può però affermare che sia il suo forte. Per questo motivo, la mostra sulla pittura cinese allestita nelle sue sale destinate alle esposizioni temporanee, dall’ambizioso titolo Masterpieces of Chinese paintings 700-1900 e visitabile dal 26 ottobre 2013 al 19 gennaio 2014, è un avvenimento particolarmente importante, che a qualche addetto ai lavori avrebbe potuto anche far storcere il naso. Ma la ragione principale perché questa mostra sarà ricordata nel futuro è che essa è davvero strepitosa! La qualità delle opere è infatti talmente alta che difficilmente i visitatori rimarranno indifferenti di fronte a cotanta bellezza. Un vero e proprio diluvio di pennellate traboccanti di vitalità e virtuosismi, in un superbo alternarsi di ampie porzioni di superficie riservate al vuoto e di esaltanti tratteggi a modulare gli spazi.

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Chen Rong, “I nove dragoni” (particolare), 1244. Boston, Museum of Fine Arts.

Nonostante possa immaginare quali difficoltà possa comportare l’organizzazione di una mostra di questa portata, i capolavori non mancano, a cominciare dall’apertura del percorso, che meglio non si poteva fare. Che emozione infatti poter ammirare quel piccolo rotolo orizzontale, con quelle dame elegantemente drappeggiate, dalle espressioni eteree, senza tempo, dalla bellezza ‘classica’ quale può essere quella greca, dettagliate a minute pennellate di incredibile raffinatezza. Per non dire dei meravigliosi giochi compositivi che formano la scena, e che contribuiscono a evocare un’atmosfera di quotidianeità nonostante l’alterità stilistica delle figure. Sono dee quelle che compongono la rappresentazione, eppure cuciono e preparano i loro broccati, ma con ale superbo autocontrollo da far pensare ad un convivio di bodhisattva tra le nuvole. Il rotolo con Le cortigiane preparano nuove sete tessute, attribuito all’Imperatore Huizong (1082-1135) e ora conservato presso il Museum of Fine Art di Boston, con i suoi soli 147 cm di lunghezza, è un capolavoro dell’umanità, al pari de Las Meninas di Velázquez o del trittico di Utamaro con le Dame che cuciono. Si vede immancabilmente su ogni libro di storia dell’arte cinese, quale supremo e rarissimo rappresentante di pittura di epoca Song (960-1279), Poterlo ammirare dal vivo, con gli occhi spiaccicati sul vetro della teca a circa 10 cm di distanza, è un privilegio riservato a tutti, a patto che ci si rechi a Londra nei prossimi tre mesi.

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Anonimo, “Ritratto del pittore Shen Zhou all’età di 80 anni”, 1506. Pechino, The Palace Museum.

Ma quest’opera non è il solo ‘masterpiece’ della pittura cinese in mostra al V&A. E’ infatti in ottima compagnia, con numerose opere databili tra l’VIII e il XIX secolo, grazie alle quali il visitatore può farsi una certa idea di quella che è stata l’evoluzione di questa forma d’arte che – insieme alla calligrafia – meglio rappresenta la cultura cinese, oggi come nel passato.

Immagino che a molti spettatori meno abituati a questo genere di visioni la visita a questa mostra scateni l’irrefrenabile desiderio di fare un confronto tra la pittura cinese e quella europea. Personalmente, ritengo non sia un approccio molto giusto poiché le due manifestazioni artistiche sono talmente diverse che non esistono neanche le basi per un paragone. A partire dai mezzi tecnici utilizzati. Colori più pregnanti e materici per Tiziano, semplice inchiostro bruno per Ma Yuan; tele, tavole e spesse preparazioni gessose per i ritratti di Raffaello, carta o seta sottili per i paesaggi di Ni Tsan; tempeste di pennellate per Monet, rade campiture per Mi Youren; pennelli e tavolozza per Goya, pennello e calamaio per Chen Rong, il primo a stendere velature su velature, il secondo a scrivere sulla superficie la sua trama. E non mi si dica che i pittori cinesi non utilizzavano quella prospettiva e quel chiaroscuro che tanto grandi hanno fatto Piero e Rembrandt, poiché essi l’avevano. Solo diversa, una prospettiva di piani digradanti con i quali ottenevano le più mirabolanti profondità; e anche di sfumati e variazioni tonali si servivano, tra mille e più giochi di inchiostri densi-tenui-acquiginosi. Per questo, credo che non sia giusto visitare la mostra sulla pittura cinese cercando un confronto; meglio lasciarsi trasportare nelle atmosfere oniriche e meravigliose di quei giochi di luce, ombra e colori, senza pregiudizi così che, vedrete, saranno quei capolavori a voler ‘stringere amicizia’ con voi, con la forza della maestria con cui furono realizzati.

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Li Keran (1907-1989), “Paesaggio in rosso”. Venduto dalla casa d’aste cinese Poly il 3 giugno 2012 per oltre 40 milioni di dollari.

PS 1: All’inizio era già tutto perfetto.

Spero di non ripetermi (chissà se ne ho già scritto…) raccontando quel che rispondo a quell’amico o conoscente che, venendo a visitare l’Italia per la prima volta, mi chiedesse: “Se dovessi scegliere, quale museo e luogo consiglieresti di visitare ad uno straniero perché possa capire qualcosa dell’Italia, e più in generale della cultura europea?”. Non ho dubbi: il Museo Archeologico di Napoli e, soprattutto, la sua favolosa sezione con i resti di Pompei ed Ercolano. Lì si capisce perfettamente chi siamo, le nostro radici, finendo certe volte per ammettere che molto di quello che siamo oggi (salti tecnologici a parte) era già stato fatto allora, che molto di quello che si realizza nel nostro presente è diretta conseguenza di quello che produceva allora. Questa riflessione si può applicare anche alla storia della pittura cinese. Voglio dire, pur ammirando incondizionatamente le opere degli artisti dei periodi Ming, Qing e del XX secolo, l’unica venerazione che provo è per i dipinti più antichi, delle dinastia Song e Yuan. Come per Roma e per Pompei, così la storia della pittura cinese è stata scritta quasi completamente prima del XIV secolo. Poi i ricorsi, le rivisitazioni, i revivals, le manipolazioni e anche i geni che, pur essendo tali, ne hanno dato dimostrazione proprio attraverso l’elaborazione degli stili del passato. E’ così il Rinascimento, il Neoclassicismo, lo Storicismo, l’Accademia, e per contro il Medioevo, il Barocco e le Avanguardie. Riscoprire per capire, andare contro per trovare nuove vie. Con questo non si può certo dire che la parte finale della mostra sulla pittura cinese al V&A non sia di adeguato livello, anzi. Tuttavia, il mio cuore è andato in fibrillazione soprattutto nelle prime sale allorché ho avuto la sensazione di vivere nei volumi sulla pittura cinese di Osvald Siren.

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Fu Baoshi (1904-1965), “Paesaggio”. Venduto a Londra da Christie’s il 5 novembre 2013 per 782.500 sterline.

PS 2: Al mercato della pittura cinese oggi.

Il mercato dell’arte cinese riserva alla pittura uno spazio importante. Al contrario di quello che ci si potrebbe però aspettare, le valutazioni sui dipinti sono comunque molto alte, sia opere antiche sia contemporanee. Per alte si intendono ovviamente prezzi nell’ordine anche dei milioni di euro per gli artisti più blasonati, e ne è un esempio il Paesaggio in rosso di Li Keran (1907-1989) venduto dalla casa d’aste cinese Poly il 3 giugno 2012 per oltre 40 milioni di dollari. Nel mondo delle aste, solitamente, la pittura cinese costituisce una sezione a sé stante, diversa da quella che riunisce gli oggetti d’arte. Le più importanti case d’asta, infatti, organizzano con cadenza regolari delle sessioni autonome di pittura cinese. Ciò avviene soprattutto negli Stati Uniti, nella stessa Cina e in Giappone. Solo raramente in Europa. E infatti i dipinti e le calligrafie che transitano nelle aste europee sono solitamente inseriti nei cataloghi più generali di arte cinese. Per questo, nel corso della sessione autunnale di Londra, in coincidenza con la Asian Week, i dipinti erano davvero pochi. Tuttavia, e nonostante ciò, alcuni di loro hanno raggiunto traguardi economici di tutto rispetto, come ad esempio l’opera di Fu Baoshi (1904-1965) venduta da Christie’s lo scorso 5 novembre per 782.500 sterline. Gli acquirenti di dipinti sono tra i più esigenti nell’ambito del mercato dell’arte cinese. Al contrario di chi cerca porcellane, mobili o ogni altro tipo di oggetto d’arte, chi è interessante alla pittura e alla calligrafia deve per forza di cose possedere una certa attitudine all’esplorazione del dettaglio e una grande conoscenza delle antiche tecniche, oltre che ad avere nozioni minime di storia della pittura.

Per chi abbia voglia di saperne di più, o di migliorare le proprie conoscenze sull’argomento, in consiglio più vivo è quello di approfittare della grande occasione offerta dalla mostra del V&A, un evento eccezionale che speriamo si ripeta più spesso.

PS 3

Mentre inserivo questo mio articolo sulla mostra di Londra e sui risultati delle aste in relazione alla pittura cinese, mi è capitato di leggere un articolo sul magazine www.china-files.com

Ve lo consiglio vivamente. E’ chiarificatore.