Lo Stibbert è un museo sfortunato. Pur essendo uno dei musei più belli al mondo, con una collezione che vanta una serie cospicua di capolavori negli ambiti artistici più eterogenei; pur essendo uno di quei pochi musei che ha conservato quasi integralmente il suo allestimento originario, così come l’aveva concepito il padrone di casa che vi aveva lavorato fino alla morte nel 1906; pur essendo l’edificio davvero straordinario, con i suoi enormi saloni di rappresentanza che si alternano alle stanze in cui effettivamente si viveva, di dimensioni più adatte all’intimità familiare e alle faccende quotidiane; pur essendo la villa immersa in un ampio parco punteggiato di piante secolari, padiglioni alla moda eclettica di fine Ottocento e spazio per l’immancabile laghetto artificiale. Pur avendo tutti questi pregi, e molti altri ancora, il Museo Stibbert rimane un museo sfortunato. Perché?
Perché il Museo Stibbert si trova a Firenze, città in cui i musei non mancano certo. Anzi, l’intero centro storico di Firenze si può dire sia un enorme museo, in cui edifici musealizzati (alcuni dei quali, come ad esempio gli Uffizi, la Galleria dell’Accademia, Palazzo Pitti e il Bargello sono tra i più noti e visitati del mondo) si alternano a spazi aperti che per loro stessa natura si possono considerare musei (cosa sono altrimenti Piazza del Duomo, oppure Santa Croce, oppure il Giardino di Boboli?). Per questo, il turista medio che arriva a Firenze per un tempo solitamente limitato tende a rimanere nel centro storico, poiché tre-quattro giorni sono in verità appena sufficienti a passeggiare in alcuni di quei luoghi imperdibili sopra citati, dovendo comunque rinunciare a visitarne molti altri altrettanto belli. Figuriamoci se, con tutto quello che il centro storico di Firenze può offrire a portata di camminata, possa valere la pena di spostarsi fuori porta… E se anche decidesse di farlo, magari perché il turista ha gusti ‘particolari’, magari perché ha più tempo a disposizione, magari perché non è la prima volta che viene a Firenze, perché non visitare una di quelle splendide Ville medicee che si possono raggiungere con qualche decina di minuti di corriera, tipo Poggio a Caiano, La Petraia, e così via? E se anche questo tipo volesse fare l”originale’ a tutti i costi, perché non visitare uno dei bellissimi borghi antichi che se ne trovano a iosa in tutta la Toscana? Oppure una delle cittadine solo poco più lontane, quali Siena oppure Lucca, o ancora Arezzo? E un’escursione in una fattoria in cui si produce il di-vino Chianti? Perché no?
Si può quindi immaginare quale sia la percentuale di turisti che, in questo oceano di offerta culturale, decida di scegliere una visita al Museo Stibbert… Abbandonare il rassicurante centro storico vuol dire senz’altro rinunciare ad uno dei ‘must’ sopra citati; significa avventurarsi su un autobus che solo per capire dove sia la fermata in centro sarà un’impresa (è in Piazza dell’Unità, il n. 4, io lo so, ma non sono sicuro che alla fermata sia indicato lo Stibbert come scalo durante il percorso…), e se non si spiccica una parola di italiano? Chissà come si comunicherà all’indolente autista la direzione “Stibbert”? Col linguaggio dei segni? L’eccentrico e tenace turista che, ‘fuori dagli schemi”, scegliesse lo Stibbert al posto del Bargello o della Rinascente potrà solo sperare di incontrare un conducente di origini locali, fiorentine. Uno di quelli che, alla domanda “Vorrei andare allo Stibbert? Quest’autobus mi ci porta?”, espressa con lingua probabilmente extraeuropea (urdu? cinese? polinesiano? molfettano stretto? sardo primitivo?), una frase che nel dettaglio sarebbe assolutamente incomprensibile per un italiano medio che non sia esperto di lingue strane o estinte, se non percependo in quello che gli sembrerebbe altrimenti un farfugliare la parola universale “Stibbert”, avrebbe un moto di particolare reazione. Uno di quelli che, a sentire “Stibbert”, gli riaffiorano incondizionatamente ricordi di infanzia fino a quel momento sopiti: gli accadrebbe qualcosa di simile a quello che successe a Monsieur Ego quando sorbì la prima cucchiaiata della minestra preparata dal topino nel film Ratatouille. E allora all’autista, colto da un déjà vu aggressivo come mai aveva provato fino ad allora, si arcueranno le labbra in un sorriso involontario e gli si illanguidiranno gli occhi, ripensando a quelle mattine di domenica in cui suo padre, allora giovane, biondo, alto, bello e forte come il sole (in realtà, ripensandoci solo pochi minuti dopo il fatto, l’autista sarà di nuovo cosciente che suo padre era in realtà piuttosto bassino, scurissimo di carnagione e di capelli, invecchiato da anni di lavoro manuale e piuttosto magrolino per essere così prestante…), in cui suo padre lo portava proprio allo Stibbert; e lui, l’autista-bambino ricorderebbe perfettamente quelle armature straordinarie, il luccichio dei metalli forgiati, quella Cavalcata che impressiona anche gli adulti, figuriamoci dei bambini alle prese con la scoperta di tutto!
E allora, trascorso il breve tempo equivalente ad un’inzuppatina di madeleine nel té, l’autista riprenderà possesso delle sue facoltà e, felice per aver avuto un padre che, nonostante gli sganascioni, gli ha permesso con quelle sue uscite domenicali di svolgere al meglio le sue funzioni pubbliche da adulto, risponderà con convinzione e orgoglio al turista straniero (in italiano naturalmente…): “Non ti preoccupare! Ti ci porto io allo Stibbert, che lo conosco alla perfezione!”, pensando – nel mentre continua a parlare in italiano della sua infanzia al tipo straniero che di italiano conosce solo ‘pizza’ e ‘cappucino’ e che continua a non capire un acca del diluvio di parole che gli vengono rivolte – per un momento a come poter deviare il percorso del bus e affrontare l’erta salita di Via di Montughi pur di condurre l’ospite davanti al cancello d’entrata del museo! Poi rinsavisce, rendendosi conto delle conseguenze che comporterebbe un simile gesto (l’incubo della vecchina seduta infondo al bus che strepita: “Autistaaaa, ha sbagliato strada!!!”). Tornato a casa, a cena con la moglie, quella sera le dirà: “Sai, cara, credo di essere portato per le lingue straniere, soprattutto quelle asiatiche. Oggi ho portato un signore allo Stibbert – ah, lo Stibbert! E papà, te lo ricordi papà che forte che era papà? – e lungo il tragitto abbiamo parlato e parlato, intendendoci a meraviglia! Mi informerò, voglio studiare il cinese! Mi sembra che fosse cinese, con quegli occhi a mandorla…”.
Il turista eccentrico e fortunato avrà intanto ammirato il bellissimo Museo Stibbert: rimarrà per sempre nella sua memoria quell’esperienza straordinaria, così diversa rispetto a gran parte delle visite a musei che pure deve aver fatto. Rimarrà impressionato sicuramente dall’esuberanza dell’allestimento, con le sue migliaia di oggetti esposti con gusto eclettico tutto ottocentesco; apprezzerà il mecenatismo del gentiluomo anglo-fiorentino che in vita commissionò opere e arredi di ogni genere agli abili artigiani e artisti locali; avrà curiosità per alcune delle scelte collezionistiche di Stibbert, come ad esempio l’attenzione per le culture del mondo, da quella europea a quella islamica, da quella indiana a quella balcanica. E forse si chiederà pure come mai, nonostante Frederick Stibbert sia vissuto in un periodo storico in cui avvenne una vera e propria riscoperta delle culture estremo-orientali, di oggetti cinesi e giapponesi non v’è ombra nel percorso museale, se si eccettuano alcune porcellane in particolare di specie ‘Compagnia delle Indie’. Il dubbio verrà in parte fugato in prossimità dell’uscita allorché, sbirciando tra le pubblicazioni relative al museo in vendita al Bookshop, noterà che alcune, più di una, sono in verità dedicate proprio al Giappone e le sue arti. Leggendo velocemente le introduzioni a questi volumi apprenderà poi che in verità la collezione di arte giapponese del Museo Stibbert è forse il ‘fiore all’occhiello’ della raccolta, con centinaia di pezzi, molti dei quali di straordinaria qualità, soprattutto tra le lame, le armature, gli elmi e tutti quei manufatti strettamente connessi con il mondo dei samurai.
Allora rimarrà ancora più perplesso, e le sue riflessioni lo porteranno a formulare diverse ipotesi: “Ho saltato la sala? Ma no, la visità era accompagnata da una custode del museo…”; “Forse c’è una zona dell’edificio-museo chiusa al pubblico, forse in restauro, peccato, proprio quella…”. Come avrebbe potuto invece immaginare che esiste un intero amplissimo ambiente dedicato all’arte giapponese, così come l’aveva immaginato Stibbert, al quale si accede grazie ad una spiralidosa scaletta a chiocciola, che purtroppo però non è dotato di moderne uscite di sicurezza ed è quindi visitabile solo su prenotazione, un giorno alla settimana e ad un numero limitato di persone? E allora lo sconforto… “chissà quando mi ricapiterà di venire a Firenze, forse mai più… Però, e vabbé l’importanza della museografia e del recupero degli allestimenti storici ma, se quella giapponese è la sezione più impressionante della raccolta di questo museo, perché non trasgredire la regola a beneficio del pubblico, e quindi anche del museo che così darebbe più visibilità a certi suoi capolavori, attraendo senz’altro un numero maggiore di visitatori certo paganti?”
Chissà se un giorno si potrà davvero stravolgere i piani di Stibbert e realizzare un nuovo allestimento per la sezione giapponese. Di certo non sarà operazione facile, oltre che per il carico di responsabilità che si prenderebbe chi dovesse fare una tale scelta, anche per il costo di una simile modifica strutturale, impensabile nelle attuali condizioni economiche italiane, drammatiche soprattutto per l’ambito culturale.
Per adesso bisogna accontentarsi di iniziative temporanee. Come quella che proprio in questi mesi (dal 29 marzo al 3 novembre 2013) si svolge nelle sale dello Stibbert riservate alle mostre speciali. L’evento è intitolato Samurai! ed è, ovviamente, dedicato all’arte giapponese soprattutto nella sua declinazione al ‘militaresco’. Nelle ampie vetrine a disposizione, illuminate da una luce adeguata e non fastidiosa, elegantemente rivestite di tessuto nero, si
dispongono alcuni dei pezzi più belli della collezione, con spettacolari armature complete, entusiasmanti per la perfezione tecnica con cui furono eseguite e per l’inimitabile fantasia dei motivi decorativi che ne ornano le parti. In particolare, impressionano i cosiddetti ‘elmi straordinari’ (kawari kabuto), modellati con l’aggiunta di figure a volte mostruose a volte terribili che servivano in teoria a impressionare i rivali, anche se di battaglie, questi accessori militari ne hanno viste invero pochissime considerando la pace duratura che caratterizzò la storia del Giappone durante il periodo Edo (1615-1868), epoca in cui gran parte di questi capolavori di fantasia fu realizzata. In pratica, dunque, essi soddisfacevano piuttosto il desiderio dei samurai di fare sfoggio di accessori eccentrici e di grande qualità artistica, soprattutto durante le numerose occasioni formali, quali le parate ufficiali. Insieme alle armature, in mostra si possono vedere anche alcune superbe lame di finissimo e letale acciaio, un gruppetto di tsuba di raffinatissima decorazione e alcuni oogetti il legno laccato che esemplificano le tipologie di manufatti di cui amavano circondarsi i samurai e i loro entourage: tra questi, spicca per importanza e rarità la ormai ben nota sedia pieghevole con stemma dei Tokugawa, del tutto giapponese nello stile e nelle tecniche della decorazione, preziosa testimonianza invece della ricezione da parte dei nipponici di forme straniere, cinesi se non occidentali.
“Con questa mostra sui Samurai! si festeggia allo Stibbert l’insediamento del nuovo Soprintendente che va a prendere il posto di Cristina Aschengreen Piacenti la quale ha lasciato l’incarico dopo oltre dieci anni. Il nuovo direttore è Enrico Colle che l’ha infine spuntata dopo uno scontro a colpi di titoli e pubblicazioni con un nutrito gruppo di pretendenti. Il dott. Colle vanta ormai una pluridecennale esperienza nel campo della storia dell’arte. E’ autore di molti e importanti volumi, dedicati soprattutto ai mobili italiani, agli allestimenti di interni e alla storia del gusto, dal Rinascimento all’Eclettismo ottocentesco. Ha curato molte mostre e ha svolto attività di insegnamento in molte università, oltre che aver collaborato con numerosi musei in Italia e all’estero”.
Il tenore delle agenzie stampa relative alla mostra Samurai!, mi immagino, sarà stato all’incirca questo. Io l’ho riproposto volutamente nello stile poiché preferisco rimanere nella neutralità riguardo alla nomina di Enrico Colle a Soprintendente del Museo Stibbert. Troppi anni di amicizia ci legano ormai, durante i quali ho imparato a conoscere la professionalità di quest’uomo, le sue competenze specifiche e, soprattutto, la sua straordinaria gentilezza, la sua inimitabile educazione e i suoi modi affabili ed elegantissimi. Per questo preferisco concludere qui la mia segnalazione per questa mostra sull’arte giapponese allo Stibbert, poiché grande è il rischio che corro di trasformarla in un elogio, in una inutile sequela di complimenti per una scelta di amministrazione museale finalmente giusta e lungimirante.
Non posso però che ringraziare Enrico per la scelta di inaugurare questa sua nuova avventura di vita e di lavoro con una mostra proprio sul Giappone e le sue arti, così attraendo ancora la volta l’attenzione di quei padri che alla domenica scegliessero di portare la propria figliolanza proprio allo Stibbert, così come tanti anni addietro fece il genitore di quell’autista d’autobus che ogni tanto, a ripensarci, gli riaffiorano i ricordi belli, quelli che davvero sciolgono il cuore e inumidiscono gli occhi! Forse forse domenica ci porto i miei di figli allo Stibbert così ho anche una speranza in più che imparino le lingue, che io ci tengo davvero tanto! Se non fosse che ci son stai già almeno quattro volte…