Come si sa, esistono diverse tipologie di museo. Una di queste è quella della cosiddetta ‘Casa-Museo’.

Si tratta della casa privata del collezionista, così be arredata, così colma di oggetti d’arte, che può assurgere al rango di museo. In realtà, questa è la più antica forma di museo.

Senza volermi addentrare nella storia della museologia, posso però dire che erano già musei le residenze dei principi del Rinascimento italiano, che usavano riservare alcuni degli ambienti a loro disposizione all’esposizione delle proprie raccolte artistiche; ed era già museo lo Studio del letterato cinese.

Vaso con decoro wucai dalla collezione Butler, metà XVII secolo

Questi collezionisti amavano godere delle proprie raccolte da soli o in compagnia di selezionati intenditori. Nel tempo la fama delle loro collezioni si diffondeva, così che da ogni dove giungevano le richieste di visita alla ‘Camera delle Meraviglie’. Così alcuni di questi raffinati amatori dell’arte, e mi vengono in mente i Medici di Firenze e gli Uffizi nel Cinquecento, pensarono bene di sistemare parte delle loro raccolte in ambienti separati dalle sale residenziali, accettando di buon grado la visita, consci che ciò amplificava la notorietà del loro buon gusto, delle loro conoscenze artistiche, scientifiche e umanistiche e, perché no, delle loro ricchezze e del loro potere politico ed economico.
Tuttavia, fu verso la fine dell’Ottocento che le dimore di alcuni collezionisti, non solo tra quelle dei principi e degli aristocratici ma anche, e soprattutto, tra quelle dei membri della nuova borghesia illuminata, divennero ufficialmente musei, nel senso moderno e attuale del termine. Tanti sono gli esempi di questo genere di musealizzazione tardo-ottocentesca di case di privati collezionisti: lo Stibbert di Firenze, il Poldi Pezzoli di Milano, il Jacquemart-André di Parigi, la Wallace di Londra. In queste Case-Museo, ormai da cent’anni, si paga un biglietto per entrare, le sale sono sorvegliate da custodi, uno staff completo di curatori ne gestisce l’andamento.
Anche oggi non poche sono quelle case che, pur rimanendo private e quindi non aperte al pubblico, si possono considerare veri e propri musei. Come nel passato, anche i collezionisti del presente possono in certi casi arrivare a trasformare la propria dimora in una sorta di museo, disseminando nelle proprie stanze di vita i ‘trofei’ della loro passione. Mi è capitato in certe occasioni di visitare alcune di queste ‘cappelle riservate alla devozione privata’ e ho notato che, naturalmente, ognuno dei loro proprietari infonde al proprio ‘sacrario’ il suo gusto, la sua concezione di allestimento, la sua idea di sistemazione delle opere. In generale, però, posso dire che nella maggior parte dei casi i collezionisti sono più propensi a collocare i propri oggetti in diversi punti della casa e non concentrarli in un unico ambiente. Questa scelta si deve a vari motivi. Certo, in questo modo si finisce anche per ‘arredare’ la dimora così che, e più volte mi è stata data una simile risposta alla mia domanda sul perché di questo tipo di allestimento, i pezzi della raccolta ‘si vivono’ meglio, ubicati un po’ in tutti gli spazi vitali della casa, ognuno dei quali solitamente ospita l’inquilino in diversi momenti della giornata. Ovviamente questa è una generalizzazione, che molto dipende dal tipo di oggetto di cui si costituisce la collezione. Manufatti piccoli, ‘tascabili’, come i netsuke e le snuff bottles, necessitano di spazi modesti che li contengano, non certo di quell’ampiezza che possono, ad esempio, richiedere le sculture. Tuttavia, è anche vero che il collezionista che si dedichi alla raccolta di una particolare tipologia di oggetto estremo-orientale, pur di dimensioni contenute, tende in ogni caso a circondarsi anche di altri manufatti provenienti da quelle aree geografiche, pur non facendo questi ultimi parte nello specifico della collezione vera e propria.

Piatto 'bianco-blu' dalla collezione Butler, metà XVII secolo

Per spiegarmi con un esempio, è facile che il collezionista di netsuke abbia appeso alle pareti della propria casa un rotolo verticale di pittura (kakemono) oppure scelga per la propria console un vaso di porcellana cinese. Non sempre è così, ma ho constatato che spesso succede in modo simile. Per questo, ripeto, posso dire che i collezionisti di oggi, come quelli del passato, hanno la tendenza a trasformare la propria casa in un museo, una Casa-Museo, per l’appunto.
Esiste però un’altra tipologia di sistemazione della propria raccolta di oggetti d’arte, ben più rara rispetto a quella cui finora accennavo.
E’ quella in cui il collezionista, preso dall’impeto, decide di riservare un unico ambiente della propria dimora per ospitare la sua raccolta. In questo modo è come se la casa in cui il collezionista vive venisse separata dallo spazio destinato alla raccolta, che solo a questo scopo serve, all’esposizione, e non ad altro. Non si tratta più, dunque, di una Casa-Museo, bensì di un museo vero e proprio, privato però, annesso alla casa ma esterno alla stessa. Si ripete perciò quello cui accennavo più sopra con l’esempio del Cinquecento italiano, con i Medici che fondarono gli Uffizi con lo scopo principale di accogliere le proprie collezioni.
Una tipologia di sistemazione di una raccolta d’arte che, oltre a denotare una diversa concezione da parte del proprietario, si distingue anche per lo sforzo che è necessario obbiettivamente per la sua realizzazione. E non solo allo sforzo economico mi riferisco, ma anche, e soprattutto, all’impegno intellettuale che una simile scelta richiede. Il collezionista che l’abbia prediletta non modestamente si eleva al ruolo di deus ex machina del proprio museo, occupando tutti i ruoli della ‘filiera’: collezionista, storico dell’arte, conoscitore, direttore, curatore, architetto, custode, guida, e così via.
Il collezionista che abbia optato per questa scelta, dunque, può aver generato un progetto di grandissime ambizioni, per certi versi potrebbe essere accusato di avere manie di grandezza. Tuttavia, alla fine, a progetto realizzato, chi ha la fortuna di conoscere questo tipo di museo privato, solo può tentare un’analisi, esprimere un’opinione su un’opera altrui, tenendo in ogni caso presente che, in linea generale, ognuno a casa sua fa quello che meglio gli pare e che all’ospitalità bisogna offrire in cambio gratitudine. Scrivevo prima che non conosco molti ‘musei privati’, del tipo al quale mi sto riferendo. Ultimamente, nel corso del mio recente pellegrinaggio in Inghilterra, ho avuto modo di visitarne uno. E’ stata un’eperienza straordinaria, credo irripetibile, così suggestiva che credo non riuscirò a trasmettere perfettamente a parole scritte la sensazione di benessere psico-fisico che mi ha investito in quelle poche ore in cui si è conclusa la visita.
Cercherò quindi di limitarmi a raccontare brevemente e razionalmente quella giornata, consciò però che non sarà facile escludere il sentimento e il ricordo di quell’euforia.

Copertina del catalogo della mostra "Treasures from an Unknown Reign: Shunzhi Porcelain"

Chi ha la passione per la porcellana cinese dovrebbere conoscere la collezione di Michael Butler. Non dico lui personalmente, ma almeno i cataloghi delle mostre in cui è stata esposta la sua straordinaria raccolta. Chi la conosce, sa dunque che Sir Butler è un collezionista sui generis, assolutamente specializzato, dedito ad una sola tipologia nell’amplissimo ambito della porcellana cinese. La sua raccolta, infatti, si compone esclusivamente di vasellame realizzato nel XVII secolo, tra i decenni finali della dinastia Ming (1368-1644) e quelli iniziali della dinastia Qing (1644-1911). Per tali motivazioni cronologiche e storiche, questa porcellana era nota tutta insieme come del ‘Periodo di Transizione’, una definizione che proprio a Butler non va più giù e che non viene mai menzionata negli studi scientifici riguardanti la sua raccolta. Nella storia della porcellana cinese il Seicento è senz’altro un periodo di grande interesse. Riprendendo frasi ‘da manuale’, il secolo XVII si è caratterizzato per una grande turbolenza politica, sociale ed economica che ha sicuramente influenzato l’andamento della produzione di vasellame nelle fornaci imperiali di Jingdezhen le quali, al culmine delle rivolte, furono addirittura chiuse per un certo tempo. I ceramisti allora attivi produssero in parte privatamente una grande quantità di porcellane. Liberi da imposizioni dall’alto, ebbero l’opportunità di dare libero sfogo alla propria fantasia. Così, la porcellana di quel periodo mostra accentuati caratteri di originalità, nelle forme come nel decoro. Chi abbia voglia di approfondire questo argomento non può far altro che leggere i saggi dei cataloghi riguardanti la collezione di Butler, poiché quella è senza dubbio la più importante e completa raccolta di porcellana cinese del XVII secolo del mondo, di gran lunga rispetto a tutte le altre.
Ho conosciuto Sir Michael Butler qualche anno fa a Londra, quando parlai all’Oriental Ceramic Society. Poi lui venne in Italia per incontrarmi, insieme alla sua fida segretaria.
Mi ero sempre ripromesso di accettare il suo invito di fargli visita nella sua casa in Inghilterra per ammirare dal vivo la sua raccolta che conoscevo solo tramite fotografie e cataloghi. Sapevo che questa volta sarebbe stata quella giusta, per affrontare il viaggio verso il sud dell’isola inglese. Avevo il presentimento che non ne sarei rimasto deluso. Ho seguito il mio istinto e ho avuto ragione!

Veduta dall'interno del Museo Butler

Non avevo alcuna idea sul modo in cui questo noto collezionista aveva disposto le sue raccolte, che però sapevo erano vaste. Nella sala da pranzo che mi ha accolto, alle pareti c’erano già filari di ‘bianco e blu’, ma poca cosa. Mangiando già pregustavo il dopo-pasto. Tuttavia, non potevo in alcun modo immaginare quello che mi stava aspettando. Ne ebbi vaga percezione quando Michael, dopo il desinare, mi disse solerte di accomodarci verso il Museo.
“Il Museo?, pensavo tra me, “O Michael è un eccentrico, pure se a vederlo non si direbbe, oppure è a dir poco superbo…un museo? Qui, dentro casa? Mah…”.
Usciti di casa, rinfrancati dal venticello marino che si insinuava tra le fronde del verdeggiante giardino altrimenti colpito inerme dal soleggiare di quest’estate britannica, ci dirigiamo lenti verso un basso edificio contiguo alla casa, dalla quale si distingue immediatamente per il parco rivestimento grigio sull’esterno delle sue pareti, che contrasta nettamente con i tipici mattoncini rosso-marrone che ricoprono i muri della villetta, di gusto tipicamente inglese. Michael mi guida all’interno di questa bassa costruzione. Pochi passi e ora capisco cosa intendesse Michael quando parlava di Museo. Sono esterefatto, turbato, scioccato. Ma realizzo in pochi istanti. Quest’uomo, Michael Butler, ha un suo Museo, nel quale è esposta la sua straordinaria collezione di porcellane cinesi del XVII secolo.
Mi spiega Michael che la sua inaugurazione è avvenuta di recente. L’edificio è stato costruito ex novo tenendo in conto i rigidi vincoli paesaggistici inglesi. La sua struttura architettonica è semplice: un ampio ingresso dal quale si accede ad un’unica immensa sala rivestita di bianco e celeste-grigio, coperta da un enorme lucernario che garantisce un’illuminazione favolosa. Un largo corridoio la percorre in tutta la sua lunghezza. Lungo i suoi lati si apre quindi una serie di vani in cui sono disposte le porcellane su mensole di vario tipo. La disposizione scientifica dei pezzi è stata ideata naturalmente da Michael che ha prediletto in ordine pressoché cronologico. Ovviamente, in questo caso, le cronologie sono strettissime considerando che tutto il Museo è dedicato alla produzione ceramica cinese di un solo secolo. Non dirò qui dei singoli pezzi e del susseguirsi dei capolavori. Mi piace invece ricordare il vano riservato allo studio, con tavolino e sedie, poiché ho goduto quando Michael mi ha detto che quello è il posto riservato agli amici che avessero bisogno di studiare qualcuno dei pezzi della sua collezione, utilizzando la sua vasta biblioteca, anch’essa sobriamente sistemata in Museo. L’apice, ovviamente, l’ho avuto quando ho aggiunto che se volessi, potrei venire in quel luogo in altre occasioni, e sarei sempre ben accolto. Potenza dell’ospitalità inglese!