Per un un po’ voglio abbandonare del tutto il mio ruolo di storico dell’arte e di modesto conoscitore della cultura del Giappone, e indossare solamente i panni del curioso in viaggio per l’Estremo Oriente.
Avete idea di cosa possa essere un matsuri?
E se ne ne avete un’idea, è perche avete vissuto questa esperienza?
Bene, io, sulla soglia dei …anta (è necessario svelare la mia età? Nohoho, perché mai…) ho avuto la fortuna di partecipare ad un matsuri, dal vivo. Di  passeggiare tra le vie di una cittadina giapponese nel bel mezzo di una festa.
Per chi non lo sapesse, infatti, la parola matsuri identifica la tipica festa tradizionale giapponese.
Per sintetizzare, un’orgia colorata e rumorosa di sacro e profano, di alcol e squisitezze gastronomiche, di costumi, tamburi e flauti, di donne e di uomini, anziani e bambini, che ballano, cantano, scherzano, bevono, mangiano, passeggiando tra le strade principali della cittadina, mentre ai lati dei viali si susseguono venditori ambulanti di ogni genere di mercanzia. Cibo soprattutto, del tipo che si mangia anche in piedi, non necessariamente da seduti.
Ora, questo tipo di festa non è certo una peculiarità giapponese. Nella mia vita, da giovane soprattutto (chissà a cosa si riferisce quell’…anta, siete curiosi, eh?), ho frequentato moltissime di queste feste popolari. Di quelle che ricorrono puntualmente ogni anno, nel giorno in cui tutto il paese festeggia il santo protettore o la santa patrona. E allora mi ritornano in mente quei profumi celestiali di salsicce alla brace, di patatine fritte al ketchup e mayonese; quei colori verissimi sulla bancarella con le caramelle, le mandorle caramellate e lo zucchero filante. E poi il suono della banda che, immancabile, dava il via alle danze in tarda mattinata, subito dopo la processione religiosa, con la statua del santo portata a spalla dai devoti fino al santuario. La messa del prete, la benedizione, e poi via tutti a prepararsi per la baldoria serale. A volte, poi, sistemato in un luogo un po’ defilato rispetto al centro del paese, arrivava il carrozzone con le giostrine, le ‘macchine da scontro’ o il ‘tagadà’, il gioco nel quale tu spari col fucile a salve sui birilli, se cadono vinci un premio tipo peluche gigantesco (così ho visto e cosi m’hanno detto, io ho giocato a volte, sì, ma di vincere ‘neanche col binocolo’…).

Una scena del matsuri di Sakura

Beh, proprio quest’ultimo divertissment era tra quelli che ho visto a Sakura durante il matsuri! Avrei voluto provare, per sentirmi un po’ meno gli …anta addosso (che poi, io questi …anta, in verità, ancora non l’ho nemmeno compiuti, beato me!), ma una frotta di ragazzini aveva la precedenza, così mi sono limitato a guardare, e a sorridere.
Anche i profumi di vivande cotte sul momento c’erano a Sakura. Tuttavia, di un tipo totalmente diverso da quelli che associavo io alle feste popolari italiane. Effluvi di pesce arrostito, di polpette fritte e speziate imbottite di polpo tako, di spaghetti di soba con vedure alla piastra, di pollo fritto. E ancora caramelle e bananachoko, ovvero banana-split infilzate in un lungo stecchino, per i bambini, i quali avevano inoltre a disposizione un’ampia varieta di giocattoli, tutti rigorosamente cinesi.
Sui lati delle strade, poi, tutte le case e i negozi erano aperti. Gran parte offriva cibo e bibite in vendita, anche se nel resto dell’anno queste stesse case rimangono chiuse senza commercio oppure – se negozi – hanno in esposizione tutt’altro genere di mercanzia. Alcune di queste case si erano attrezzate meravigliosamente, con la grande bacinella di plastica riempita di ghiaccio per tenere fredde le bibite. Proprio come ricordo si faceva alle feste della mia gioventù, oppure come ancora si fa in qualche splendido luogo dell’Africa del nord, tra Trapani e Frosinone…
Tuttavia, se solo al cibo e ai giochi la festa di Sakura si fosse limitata, sarebbe in vero stata ben poca cosa. Infatti, la più spettacolare attrazione era tutt’altro, ovvero quei carri che in gran numero si incrociavano tra le strade di quel paese. Carri monumentali, ognuno dei quali trainato a corda da un gruppo di persone. Ogni gruppo riconoscibile dall’altro non solo per il carro ma anche per i vestiti indossati, ovvero una semplice giacchetta vergata di ideogrammi, braghe nere e sandali, i cui colori era il segno di distinzione tra i gruppi. In realtà erano le donne a sopportare la fatica di muovere tutto il carro; gli uomini, a ruota, davano mano sì, ma li ho visti soprattutto tracannare sake da bottiglioni da due litri… Intanto sul carro i suonatori di flauto e tamburo cadenzavano ritmi semplici e ripetitivi; altri personaggi ballavano; altri incitavano il gruppo a cantare, dettando parole suoni e volumi. All’improvviso dal carro veniva fuori un personaggio mascherato che, libero da ogni condizionamento, si muoveva sinuoso usando il ventaglio, oppure altri oggetti tradizionali tenuti in mano. Tra queste maschere ho riconosciuto senza dubbio Okame, Ebisu e Daikoku, divinità molto popolari in Giappone. Gli ultimi due fanno parte dei “Sette Dei della Fortuna” (Shichifukujin): a loro i devoti chiedevano, e chiedono tuttora evidentemente, favori mondani, ricchezza, felicità e longevità. Ogni tanto ognuno dei carri si fermava nei pressi di un certo negozio sulla via; il gruppo di cantanti e ballerini, e la divinità, rivolgeva esplicitamente la propria attenzione a questo commerciante il quale, semplicemente, aveva sponsorizzato insieme ad altri esercizi quel carro, richiedendo in cambio una speciale menzione; indirittamente si rivolgeva alla divinità, come buon auspicio per un anno di affari remunerativi.

Una scena dal Matsuri di Sakura

Insieme a questi carri tirati a fune, per le vie della città girovagavano anche altari portati a spalla da un certo numero di uomini. A loro toccava una tale gran fatica che si risparmiavano quei canti e quei balli che gli altri eseguivano anche per loro. Ho notato che l’età media dei protagonisti della festa era molto bassa. Quasi tutti ragazzi e ragazze. Solo qualche persona più anziana che apriva i vari cortei insieme ad alcuni bambini, splendidamente abbigliati con costumi tradizionali. Ho pensato che questo si potesse spiegare come un’eco delle feste shintoiste ancestrali, alle quali – così ricordo – partecipavano soprattutto giovani uomini in aria di diventare adulti. E, infatti, ancora nel 2011, nonostante la radicalità dei cambiamenti culturali degli ultimi decenni, a Sakura si avverte una certa carica erotica tra le giovani donne e gli aitanti uomini che partecipano attivamente alla sfilata. Chiaramente, questa soffusa sessualità oggi non ha avuto conseguenze diciamo palesi, mentre un tempo questo tipo di festa si trasformava proprio in una ‘caccia aperta’ tra giovani con gli ormoni strabordanti.
Lo shintosimo costituisce il fulcro anche per il matsuri di Sakura. Tutto parte e finisce dal locale jinja, ovvero il santuario shinoista che in questa cittadina è dedicato ad Amaterasu, la divinità già citata nel Kojiki del 712 d.C., il più antico testo giapponese, molto venerata in tutto il paese, ed in particolare nel tempio di Ise. Con quest’ultimo, lo jinja di Sakura sembra avere una sorta di gemellaggio. Qui, nei pressi di questo tempio, i carri si radunano prima di partire per la sfilata e alla sua conclusione. All’interno del recinto, superata la difesa di due ‘leoni coreani’ (komainu) in pietra e l’accesso dal portale torii, dopo l’abluzione rituale, si arriva alla sala vera e propria. Non è molto ampia, ma lo stile cinese della sua architettura si impone nella fermezza delle linee di contorno, in maniera oltremodo affascinante. Il fedele, davanti all’ingresso di questo edificio si ferma, butta una monetina (piuttosto efficaci sono quelle col buco…), esprime un desiderio per una grazia, e suona una delle campanelle fissate con altrettanti festoni alla trave esterna del soffitto verandato dell’ingresso. All’interno del recinto si sono anche i luoghi dove affiggere le striscioline di carta col desiderio e quelli che ospitano le ema, le tavolette votive, ornate in questo tempio con la figura di Daruma e quella di una bambinetta che non riconosco. Vicino è anche il negozietto dove comprare tutta l’attrezzatura necessaria per poter porre la richiesta alle divinità. Tutto ciò, naturalmente, non stupisca. Anche nelle nostre chiese si accendono i ceri a santi e madonne per cifre più o meno simboliche, così come si acquistano santini vari con donazioni in euro non proprio volontarie….
La festa per me non è finita molto tardi. Domani mi aspetta altro giorno, sono sicuro altrettanto interessante. Tornato alla ‘base’, continuo a sentire in lontananza canti e vocìo. Chissa, magari tutto quel discorso che ho scritto appena sopra, sui tempi cambiati che non giustificano più certi comportamenti libertini alla fine di questo tipo di festival shintoisti, è solo una mia idea che non corrisponde alla realtà. Magari, sul finire della notte si scatena la libido dei giovani giapponesi, con uomini ebbri che rincorrono ragazze anch’esse emancipate, per l’effetto dell’alcol e per la generale euforia. Non so… Sta di fatto che non poche volte stasera, estraniandomi dal contesto ovviamente contemporaneo, ho avuto la netta sensazione di vivere nel passato, quanto meno nel periodo Edo, quando ancora il Giappone non aveva incontrato l’Occidente. Vedevo tutti in abiti tradizionali, anche quelli che in realtà avevano jeans, maglietta e cellulare in mano. Vedevo negli abitanti della moderna Sakura tutti quei personaggi che c’erano allora in ogni paese del Giappone, l’ubriaco, lo scemo, il commerciante, la vecchina, l’uomo di lettere, il samurai, e così via; tutti insieme come specchio di una cultura. E’ stato, per usare parole scontate, come fare un tuffo nel passato, ed ho anche avuto i brividi in certi momenti, confesso…
Magari chi leggerà queste righe potrà farsi un’idea di quello che è il matsuri di Sakura nel 2011. Certo però non so quanto io abbia avuto la capacità di trasmettere queste sensazioni di piacere assoluto. Non importa e, soprattutto, non crucciatevi, il matsuri ritorna l’anno prossimo a Sakura, simile a quello di quest’anno. Analogo a quello di centocinquant’anni fa. Eco di quello di duemila anni fa.

Sakura, prefettura di Chiba, 14-16 ottobre 2011