Nel 1921 Munakata Shikō aveva appena diciotto anni.
A quell’epoca il suo desiderio di diventare un artista era già molto forte, ma egli ancora non aveva individuato la strada da percorrere perché esso si realizzasse.
Proprio in quell’anno, tuttavia, ricevette un dono che molto avrebbe influenzato le sue future scelte.
Si trattava di alcune riproduzioni di opere di Vincent Van Gogh, tra le quali un dipinto con girasoli in un vaso, tra i temi prediletti dall’artista olandese.

Munakata Shikō, Autoritratto con girasoli, 1965. Xilografia dipinta.

Da allora, Munakata Shikō affermò costantemente e con convinzione la sua volontà di emulare il genio della pittura europea e, sebbene nel corso della sua carriera abbia infine elaborato un suo stile personale e riconoscibilissimo, la sua ammirazione per Van Gogh resterà sempre vivissima, come dimostra un autoritratto del 1965, nel quale egli compare a mezzo busto immerso tra i girasoli, alcuni dei quali raffigurati in vaso come nel dipinto di Vincent.

Ammaliato dall’arte europea, nella prima fase della sua carriera Munakata si cimentò dunque prevalentemente con la pittura a olio di tradizione occidentale, decidendo nel 1924 di trasferirsi a Tokyo per tentare di farsi strada in quel genere artistico di importazione.
Fino a quel momento era vissuto a Aomori, nel nord dell’isola di Honshu, dov’era nato nel 1903, sesto di quindici figli. Il padre per mestiere forgiava lame.
L’entusiasmo per essersi finalmente trasferito nella città più effervescente dal punto di vista culturale del paese aveva ben presto dovuto fare i conti con una realtà tutt’altro che facile.
Pur realizzando opere con continuità, egli non riuscì a essere ammesso all’Esposizione Imperiale (Teiten) fino al 1928.

Munakata Shikō, Il monte Hakkoda, 1924. Olio su tela. Aomori Museum of Art.

Due anni dopo, nel 1930, avrebbe sposato Akagi Chiya, anch’ella originaria di Aomori. I due vissero separati per alcuni anni, poiché l’artista non poteva ancora permettersi di mantenerla a Tokyo.
Tuttavia, a quel tempo, pur continuando a dipingere a olio, egli aveva infine scoperto la tecnica tradizionale della stampa xilografica, ovvero dell’intaglio di una matrice in legno, con la quale iniziò a confrontarsi intorno al 1927, dopo aver visto un’opera di Kawakami Sumio (1895-1972).
Fin da subito predilesse la stampa xilografica in bianco e nero (sumizuri-e), divenendo nel volgere di pochi anni un esponente di spicco del Sōsaku-hanga, letteralmente “stampe creative”, un movimento originatosi all’inizio del Novecento in opposizione allo Shin-Hanga (“nuova stampa”). Quest’ultimo si può considerare l’erede diretto delle Ukiyo-e, le “immagini del mondo fluttuante”, le xilografie che così bene avevano descritto la società borghese di epoca Edo (1603-1868). Come queste ultime, anche le shin-hanga erano il risultato di una stretta collaborazione tra l’artista che concepiva la composizione e alcuni professionisti che contribuivano a commercializzarla come stampa, dall’intagliatore della matrice allo stampatore, tutti supervisionati dalla fondamentale figura dell’editore.
Gli artisti affiliati alla Sōsaku-hanga si occupavano invece di tutti i passaggi della produzione di una stampa, dalla fase creativa a quella più artigianale, in maniera piuttosto simile a quanto da sempre accadeva in Europa.
Un procedimento che sicuramente aveva maggiori affinità con le scelte artistiche di Munakata, in pratica autodidatta e fin dalla giovane età a suo agio con l’estetica europea.
Le stampe di Munakata Shikō ottennero fin da subito un buon successo, anche di pubblico. Dopo la prima personale del 1931 a Tokyo, egli ricevette incarichi come illustratore e critico per riviste specializzate, cominciando a entrare in contatto con quell’ambiente artistico della capitale che promuoveva uno stile più vicino alla cultura popolare e autentica del Giappone.
Un movimento che era stato promosso con convinzione in particolare da Yanagi Sōetsu (1889-1961), teorico del Mingei (letteralmente “artigianato popolare”), quel gusto che recuperava le più antiche tradizioni artigianali dell’arcipelago.
L’incontro con Yanagi nel 1936 fu fondamentale per Munakata Shikō. Il filosofo, che in quell’anno inaugurava un museo dedicato alle arti che più amava (il Mingei-kan, ancora oggi una delle istituzioni museali più suggestive della capitale), intuendo il potenziale delle opere di quel giovane artista, acquistò diverse sue stampe e, non da ultimo, lo mise in contatto con Hamada Shōji (1894-1978) e Kawai Kanjirō (1890-1966), i due talentuosi ceramisti che meglio interpretavano il gusto mingei.

Le opere di Munakata Shikō alla Biennale di Venezia del 1956.

Dal 1939 Munakata Shikō espose regolarmente le sue opere al Mingei-kan, cominciando contestualmente – su suggerimento dello stesso Yanagi – a policromare le sue stampe, dipingendole a colori vivaci sul retro, con effetto finale in tutto originale.
Nel 1945, dopo aver perso tutte le sue opere a causa della distruzione della sua casa il 25 maggio di quell’anno durante le fasi finali della Seconda Guerra, si trasferì a Toyama dove sarebbe rimasto fino al 1951.
In quello stesso anno le sue opere furono esposte in una mostra a San Paolo del Brasile. Fu il primo di una serie di eventi che sanciranno per lui il successo internazionale, tra i quali si ricorda la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1956 dove ricevette il Gran Premio per la sezione Incisioni.
Nel 1959 trascorse un lungo periodo negli Stati Uniti, grazie a una borsa di studio, e in quello stesso anno si recò in Europa dove poté finalmente rendere omaggio alla tomba del suo amato Van Gogh.
Un clamore che avrà eco anche nel suo paese natale, nel quale ricevette diverse onoreficenze tra cui l’Ordine del Merito (Kunsho), la più prestigiosa elargita dal governo a un artista vivente.
Pur continuando a viaggiare costantemente in tutto il mondo, Munakata Shikō tornò spesso in Giappone, dove si spense nel 1975.
In quello stesso anno Aomori gli dedicò un museo che ancora oggi costituisce una delle principali attrazioni della sua città natale.

Munakata Shikō, Monju (Manjusri), dalla serie Dieci discepoli del Buddha e Due Bodhisattva, 1939. Xilografia in ‘bianco e nero’.

Munakata Shikō è stato un artista poliedrico.
Fu infatti pittore, incisore, calligrafo, poeta e illustratore di riviste e libri d’arte.
Nell’ambito della pittura e della grafica si cimentò con diversi soggetti, dal paesaggio alla natura morta, dalla raffigurazione degli animali al ritratto.
Tuttavia, il tema che lo identifica meglio è sicuramente l’iconografia buddhista.
Il suo capolavoro è la serie di dodici xilografie con i Dieci discepoli del Buddha e Due Bodhisattva, alla quale lavorò intensamente per diversi mesi nel 1939, ristampata più volte e premiata in più occasioni.
Si tratta di grandi composizioni che l’artista realizzò intagliando le matrici in legno senza l’ausilio di alcun disegno preparatorio, lasciando che l’ispirazione del momento si trasformasse in linee e campiture tanto decise quanto potenti, anche grazie all’utilizzo di strumenti di lavoro semplici che gli consentivano di scarnificare meglio il legno duro di katsura.
Figure incombenti, che dominano lo spazio con tratti spigolosi e netti.

Scultoree nella definizione dei volumi, non dissimili nell’effetto complessivo dalle opere di Enkū (1632-1695), il monaco buddhista che fendeva il legno per dare vita a divinità di impianto quasi futurista.
Come Enkū, anche Munakata Shikō – profondamente affiliato al Buddhismo Zen – era mosso insieme dall’arte e dalla fede.
Le sue opere sono infatti con evidenza anche veri e propri atti di devozione, con i quali l’autore riesce a trasformare l’arte in un processo di elevazione spirituale.
Un percorso religioso e filosofico personale che si combina con lo studio costante della tradizione artistica del suo paese, dalle stampe popolari che raffiguravano il Buddha (inbutsu) all’antica scultura lignea conservata nei templi di Kyoto, che aveva potuto ammirare durante il suo soggiorno del 1936 nell’antica capitale giapponese.
Come scritto più sopra, Munakata Shikō ebbe già in vita premi e onori, ma crediamo che i titoli di hokkyō (letteralmente “Ponte della Legge Buddhista”) e hōgen (letteralmente “Sigillo della Legge Buddhista”), ricevuti rispettivamente nel 1961 e nel 1962 dal tempio Horinji di Tokyo, lo abbiano infine consacrato per quello che era.
L’artista giapponese Zen più influente del Novecento.

Munakata Shikō, Makakayo (Mahakasyapa), dalla serie Dieci discepoli del Buddha e Due Bodhisattva, 1939. Xilografia in ‘bianco e nero’.

* E’ attualmente in corso presso il National Museum of Modern Art di Tokyo la mostra intitolata The Making of Munakata Shiko: Celebrating the 120th Anniversary of the Artist’s Birth.
Presenta una notevole selezione di sue opere, grazie alle quali si può ripercorrere l’intera carriera di questo talentuoso artista.