Una mostra sulla seta a Lucca? Perchè no. L’idea non è stata peregrina, anzi. La bellissima città toscana, infatti, è stata nel XII-XIII secolo il più importante centro di produzione serica d’Europa, in cui si realizzarono i tessuti più raffinati allora in circolazione, con i quali si confezionavano gli abiti più lussuosi indossati dai più ricchi personaggi del tempo, regnanti e alti funzionari della Chiesa.

Insegna di rango in seta cinese ricamata, XIX secolo. Vicenza, Collezione Nedgri Cambiagio

I motivi per cui una mostra del genere a Lucca potesse coinvolgere direttamente la Cina sono altrettanto fondati storicamente. Il Regno di Mezzo è infatti il paese in cui, circa 5000 anni fa, si scoprì che il bozzolo prodotto da un insetto pasciuto a foglie di gelso, se lavorato e filato a dovere, poteva trasformarsi nel tessuto più prezioso, bramato nell’antichità come fosse panacea di molti mali: la seta.
La qualità e la bellezza della seta cinese erano rinomate in tutto il mondo allora conosciuto. Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historiadel I secolo d.C., racconta – non senza una certa acribia nei confronti dei suoi concittadini spendaccioni – che molte famiglie romane finirono per indebitarsi pur di acquistare quel bene proveniente da un luogo così lontano e misterioso. Egli identifica i cinesi con la merce stessa per cui erano allora famosi in Occidente, denominadoli Seres, ovvero il “popolo della seta”. Consci della superiorità del loro prodotto, e temendo l’altrui concorrenza, i setaioli cinesi si impegnarono perché quelle tecniche di lavorazione rimanessero un segreto. E ci riuscirono fino almeno al VI secolo d.C., quando i bizantini (proprio grazie a ‘rivelazioni’ non autorizzate da parte di fuoriusciti cinesi) dimostrarono di essere in grado di produrre tessuti serici. Da Costantinopoli quelle conoscenze furono trasferite in altre zone del Mediterraneo, tra cui la Calabria e la Sicilia che erano allora nell’ambito culturale bizantino e da lì, non si sa come, a Lucca. Gli ingegnosi lucchesi intuirono le potenzialità di quell’affare e, grazie a congiunture positive e alle loro abilità, divennero nel XII secolo i più importanti setaioli europei. L’arte della seta che impararono e misero così a buon frutto non era dunque quella originale e autonoma cinese, bensì la trasformazione e evoluzione alla quale andò incontro quest’ultima nel corso dei secoli precedenti, dal momento del ‘mistero svelato’ alla sua diffusione in Italia.

Seta lucchese 'alla cinese', XIV secolo

Tuttavia, ancora a quei tempi, nell’alto Medioevo, la seta cinese rimaneva quella di maggiore qualità, e perciò la più ambita anche in Occidente. Inoltre, nel periodo cosiddetto della pax mongolica, durante il quale gran parte del continente euroasiatico era sotto il controllo dei dominatori mongoli eredi di Genghis Khan, il volume di merci che dalla Cina raggiungevano l’Europa occidentale crebbe esponenzialmente, potendo beneficiare di speciali condizioni politiche che favorirono gli scambi di merci e di cultura. Manco a dirlo, tra i beni cinesi che più attraevano l’interesse dei ricchi europei, naturalmente insieme alle spezie, vi erano ancora le fantastiche sete cinesi, nonostante all’epoca fossero attive già anche in Italia alcune manifatture seriche. La leggerezza della seta cinese rimaneva inimitabile, così come la ricchezza dei suoi decori, di fauna e flora, disposti in maniera libera sulla superficie senza l’ossessione (tutta europea) per la simmetria a tutti i costi, trattati in modo alquanto naturalistico, al contrario della diffusa stilizzazione di gusto arabo-bizantino che caratterizzava invece le sete occidentali, anche quelle lucchesi.
Le seti cinesi della dinastia Yuan (1279-1368) fornirono dunque nuovi e più freschi modelli cui ispirarsi anche ai setaioli lucchesi, che poterono così rinnovare il proprio repertorio ornamentale, riuscendo a soddisfare con maggiore ritorno economico i gusti allora più in voga. Fu così che nei decori dei tessuti toscani comparvero fenici, draghi, peonie, tralci stilizzati, fiori di loto di stile cinese, mai però sviluppati come copia bensì elaborati e interpretati secondo i propri canoni estetici.
Queste sete lucchesi del XIII-XIV secolo, e poi quelle realizzate in altri centri tessili italiani (Firenze, Bologna, Venezia) in cui si spostarono a lavorare i setaioli lucchesi già nel Trecento allorché vennero a mancare certe condizioni politiche e sociali, sono la più antica forma di Cineseria di cui si abbia notizia, prodotta ben quattro secoli prima che nel Settecento (per antonomasia il Secolo della Cineseria)  venisse prepotentemente in auge quel gusto in cui prevalgono affinità stilistiche e tematiche con la cultura e l’arte cinese.

Abiti in seta dell'Uzbekistan, XIX secolo. Como, Fondazione Antonio Ratti

Sono dunque numerosi i motivi per cui, non solo una mostra sulla seta a Lucca è giustificata, ma che questa stessa mostra possa avere una profonda relazione storica, culturale e artistica con la Cina. L’eposizione che si è tenuta nella cittadina toscana presso Palazzo Guinigi dal 12 novembre 2011 al 31 gennaio 2012, curata da Elisa Gagliardi Mangilli dell’Università di Udine, intitolata La Via della Seta. Lucca – Hangzhou. Un lungo viaggio nella storia, ha voluto mettere in risalto proprio questa relazione privilegiata, attraverso la contemporanea esibizione di esemplari serici cinesi provenienti dal Museo Nazionale Cinese della Seta di Hangzhou e di tessuti in seta lucchesi dell’antichità. Neanche è casuale l’intervento del Museo di Hangzhou, poiché la bellissima città cinese non lontana da Shanghai, è da sempre famosa per i suggestivi paesaggi che si sviluppano intorno al suo lago e, per l’appunto, come centro d’eccellenza di produzione serica.
La collaborazione tra Cina e Italia si è negli ultimi anni molto intensificata, soprattutto in ambito artistico, con lo scambio nei due paesi di mostre di ogni genere e anche con l’ideazione di esposizione transculturali, nelle quali cioè, a volte con risultati efficaci altre volte meno, si mettono a confronti le due culture attraverso la loro produzione artistica (vedi ad esempio l’ambizioso progetto espostitivo I due Imperi del Palazzo Reale di Milano, 16 aprile – 5 settembre 2010). In questo contesto, mostre come quella di Lucca mi sembrano particolarmente interessanti poiché ripropongono fasi della storia in cui, come ora, due ambiti culturali molto diversi vennero in contatto ravvicinato.
Nel contesto attuale, si rimesta più volte nel concetto di Via della Seta, quale via di connessione tra Europa e Cina, poichè esso evidentemente funziona (o almeno immaginiamo che porti buoni risultati) nell’ottica di spiegare ad un pubblico più o meno variegato attraverso quali percorsi sia avvenuto l’incontro tra quelle macro-civiltà, lungo un tragitto di migliaia e migliaia di chilometri che non è assolutamente un ‘vuoto’ tra due estremi da riempire con un viaggio, bensì un succedersi di luoghi, popoli e culture che insieme hanno contribuito alla trasmissione di conoscenze e saperi. Non a caso a Roma, presso le Terme di Docleziano è attualmente in corso (21 ottobre 2011 – 26 febbraio 2012) A Oriente. Città, uomini e Dei sulle Vie della Seta, serie di eventi su questo amplissimo tema.

Seta cinese, XIX secolo. Vicenza, Collezione Negri Cambiagio

Mea culpa, ammetto di non aver visitato la mostra, nonostante arrivare a Lucca non sia per me un grande sacrificio in termini di tempo. Ho però tra le mani il catalogo pubblicato dalla casa editrice Il Portolano di Genova, che in questi ultimi anni già aveva messo in circolazione altri volumi sul tema dei rapporti tra Estremo Oriente e Europa (F. Surdich, La Via delle Spezie. La Carreira da Índia portoghese e la Cina, 2009; P. Carioti – L. Caterina, La Via della Porcellana. La Compagnia Olandese delle Indie Orientali e la Cina, 2010), sempre in collaborazione con il Centro Studi “Martino Martini” di Trento che è anche promotore di quest’ultima mostra lucchese. All’interno del catalogo si susseguono saggi di un certo interesse, con interventi di curatori di musei cinesi riguardanti la seta, e altri di studiosi italiani sul tema della Via della Seta come percorso di transazione di merci e di idee, e sul tema della storia della seta lucchese.
Poiché non si tratta di un catalogo di mostra in senso tradizionale, in cui ai saggi seguono le schede delle opere in esposizione, ma di un libro di accompagnamento all’evento, privo di schede, confesso di aver avuto difficoltà a percepire la reale portata della mostra. Leggendo nel colophon l’albo dei prestatori si intuisce che grandissima parte delle illustrazioni non è da mettere in relazione a oggetti realmente esibiti nelle sale di Palazzo Guinigi, ma serve piuttosto da compendio di immagini ai testi in catalogo. Non c’è nulla di male in tutto ciò: il volume diventa perciò utile anche a mostra conclusa, come libro sull’argomento della Via della Seta, delle sete cinese e di quelle lucchesi. Tuttavia, non mi sarebbe dispiaciuto, come accade in cataloghi di mostre di questo genere, tra cui quelli pubblicati di accompagnamento alle mostre del V&A di Londra, che in fondo al volume fosse presente un conciso elenco delle opere visibili in mostra. Così, chi acquista il catalogo a mostra ancora in corso per capire di cosa si tratta, può farsi un’idea più precisa, se valga o meno la pena di affrontare il viaggio per visitarla.