Nevica.
Dappertutto, o quasi, in Italia e in Europa, e in chissà in quanti altri luoghi nel mondo.
Nevica anche qui, lo vedo attraverso i vetri delle finestre, che i fiocchi leggeri danzano leggiadri danzano, per poi posarsi sulla strada, sui tetti, sugli alberi, su ogni cosa.
Com’è pulita la neve! In questa città poi, sporca come tutte le altre, la neve che raramente vi arriva ha perfino la forza di coprire quel sudicio che perennemente insozza l’asfalto e il cemento. Quasi si trattasse di calce, la neve purifica, disinfetta, purtroppo solo per il tempo in cui rimane, che qui è davvero poco.

Essa poi attutisce quei rumori che imperversano tra le strade. Le automobili, sempre più rare man mano che la neve continua a cadere e a raccogliersi, sfilano sempre più lente, timorose. Anche le persone, quelle che debbono stare fuori, sono più silenziose e, trafelate, si spostano per le vie verso la meta al coperto. Tutto è ovattato, morbido, lento, al ritmo dei fiocchi che cadono. Così è, almeno fino all’uscita di scuola. I bambini, loro i più contenti di tutti per l’inaspettata nevicata, finito il tempo tra i banchi e i quaderni, strabuzzano gli occhi per l’inusuale spettacolo della Natura, poi ridono, sorridono e magari giocano, tra loro a tirarsi palle di neve, riuscendo qualche volta anche a strappare un sorriso all’adulto più reticente, che ancora non sa o non può rallentare il tempo delle sue giornate al cospetto del Grande Bianco che tutto copre. Poi, quando anche il momento dei giochi all’aperto finisce, e anche i bambini è meglio che tornino fra muri amici, il silenzio nevoso ritorna, sempre più intenso con l’avvicinarsi della sera e poi della notte.

Tra le tantissime raffigurazioni dell’arte giapponese in cui compare la neve, ve n’è una a me molto cara. Peraltro non sono l’unico che ne sia rimasto estasiato, considerando la sua grandissima popolarità, sia tra gli appassionati di arte nipponica sia tra il pubblico più generico. Essa è infatti un vero e proprio capolavoro di ogni epoca e di ogni luogo, un’opera che – tra linee e colori – è pura poesia, come lo sono i versi di Petrarca, gli haiku di Bashō e le tele di Monet.
Hiroshige (1797-1858), l’artista che l’ha ideata, la concepì sicuramente prima del 1833-1834 circa, periodo in cui essa fu pubblicata insieme alle altre sue opere che formano la celebre serie delle “Cinquantatré stazioni di posta del Tōkaidō” (Tōkaidō gojūsantsugi no uchi). Composto in realtà di cinquantacinque fogli sciolti, questo gruppo di xilografie policrome è un viaggio virtuale lungo la strada che da Edo (l’attuale Tokyo) conduceva a Kyoto, il Tōkaidō per l’appunto. Su questa via, il viandante aveva l’oppurtunità di effettuare delle soste programmate per tradizione, ovvero le cinquantatre stazioni, nei pressi delle quali spesso si trovavano locande per rifocillarsi e per far riposare i cavalli, per chi aveva la fortuna di averne. Si trattava di luoghi notissimi a tutti i giapponesi. Anche colori i quali non si erano mai avventurati nel viaggio di circa cinquecento chilometri che divideva, e tuttora divide, la sede dello shogunato, Edo, e la capitale del paese, Kyoto, avevano però conoscenza di quelle stazioni, magari per aver visto le incisioni di Hiroshige e di chi, già prima di lui, si era cimentato con l’illustrazione di quei luoghi.
Ammirando quest’opera di Hiroshige, senz’altro una delle sue più riuscite, abbiamo la sensazione di effettuare non solo un viaggio attraverso lo spazio, così come tale sensazione avevano anche i giapponesi che vissero nell’Ottocento, ma anche attraverso il tempo. Possiamo così catapultarci, noi esseri del XXI secolo, in un’epoca ormai lontana, in cui la Natura era ancora incontrastata protagonista del paesaggio, e l’uomo – che pure compare in tutte le composizioni della serie di Hiroshige – si inseriva mesto, solo per passaggio, piccolo e rispettoso nei confronti della grandiosità dell’ambiente in cui era calato.
La stampa che preferisco tra quelle di questa serie di Hiroshige è senza dubbio quella intitolata “Kanbara. Neve di sera” (Kanbara. Yoru no yuki), che è poi l’opera alla quale accennavo appena sopra. Essa è poesia a due dimensioni, miracolo della grafica d’autore. Una composizione di un equilibrio straordinario, costruito a partire dalla linea che dalla sinistra alla destra del foglio, in basso, crea il presupposto per i diversi piani di profondità, dal gruppo di case più vicine sulla destra, al filare di abitazioni a sinistra, oltre le quali, alberi e quindi montagne. Una scena impostata quasi esclusivamente sulla giustapposizione di toni di nero e il bianco immacolato della neve, se si eccettuano i tenui tocchi di colore che animano abiti e suppellettili dei tre piccoli esseri umani che si avventurano, di sera, sul candido, morbido, manto. Tutto il resto è immoto. Silenzio, quello che si percepisce è solo il fruscio dei fiocchi che cadono, e cadranno ancora fin quando le nubi cariche di neve non lasceranno, così immagino, il posto ad una notte stellata. Allora, il firmamento e le sue innumerevoli luci lontane finiranno per sembrare fiocchi di neve, fermi però, immobili per sempre nel cielo.
Questa non è certo l’unica opera di Hiroshige in cui compare la neve. Ne ha ideate, e quindi pubblicate, moltissime in tutto l’arco della sua prolifica carriera. Anzi, si può dire che le scene innevate siano state una sua specialità, così come già notava Mary McNeill Fenollosa, che nel 1901 intitolò la sua monografia su questo artista giapponese “Hiroshige. The Artist of Mist, Snow and Rain”. Tuttavia, a me la scena con il borgo di Kanbara sommerso dalla neve, quei piccoli uomini che, ultimi, si dirigono alle proprie case, lenti e stanchi, ha sempre entusiasmato.
La neve, il silenzio, il candore, la Natura, la Poesia, il Giappone di un’altra epoca.
A tratti, solo a tratti, in quei rari giorni, come questo, in cui anche la mia città subisce la forza della Natura, riesco a immaginare la sensazione di trovarmi a Kanbara, quella sera in cui la neve, benché fredda, aveva steso la sua bianca coperta e riscaldato il cuore di quegli uomini.

Auguro a tutti buone Feste, magari con la neve…