Ho cominciato a frequentare Londra per fatti di storia dell’arte estremo-orientale all’incirca vent’anni fa. Fin dalla prima volta che vi misi piede compresi che era quello il luogo più adatto sul pianeta terra per cercare di imparare qualcosa su quell’argomento.
A quei tempi la celeberrima collezione di ceramiche cinesi della Percival David Foundation era ancora esposta in un museo autonomo nei pressi della SOAS, l’altrettanto nota School of Oriental and African Studies. Poche centinaia di metri, e raggiungevi il British Museum, per il quale non c’è commento da aggiungere. Silenzio religioso anche per il Victoria & Albert Museum, che ha costituito tappa obbligatoria per tutti i miei pellegrinaggi in Terra d’Albione.
Ho sempre cercato, inoltre, di essere a Londra nei periodi in cui le maggiori case d’asta – Christie’s, Sotheby’s e Bonham’s – organizzavano le loro vendite di arte asiatica, ad esempio nel periodo dell’Asia Week, che cade solitamente ogni anno a inizio novembre. Nei dintorni di New Bond Street e della vicina King Street vi sono anche alcuni tra i maggiori antiquari specializzati in arte asiatica, tra cui Giuseppe Eskenazi: entrando in questa galleria si ha la netta sensazione di varcare la soglia di un piccolo museo, tanto i manufatti sono selezionati per rarità, stato di conservazione e pregio.
Solitamente, dopo aver visitato questi ‘mostri sacri’, meta obbligatoria era – e continua ad essere – Kensington Church Street. Più ‘a misura d’uomo’ rispetto ai luoghi appena ricordati, gli antiquari di questa elegante strada vivono quotidianamente la loro galleria, ed è quindi molto probabile che entrando in uno di quei negozi si possano scambiare quattro chiacchiere con commercianti che sono anche esperti conoscitori dell’arte orientale, magari tenendo tra le mani – con attenzione, per carità! – uno dei pezzi esposti nelle vetrine.
La prima volta che entrai da Marchant & Son era il 2004. Ad accogliermi c’era un signore di una certa età, elegantissimo, come solo alcuni gentlemen inglesi possono essere. Lo ricordo perfettamente poiché non solo i suoi modi erano cordiali, ma anche perché mi fece dono del catalogo delle Nuove Acquisizioni della sua galleria, che tuttora conservo con orgoglio e cura. Ricordo anche che ascoltò con interesse (o forse mi sembrò tale tanto era il mio entusiasmo allora…) quelle cose che gli raccontai a proposito delle mie ricerche di quei tempi e, fatto straordinario, prese dalle vetrine alcuni oggetti che avevano attratto la mia attenzione e mi spiego dei dettagli.
In anni seguenti mi sarei recato molte volte in quella galleria ma, ahime!, non avrei più incontrato Richard Marchant. Ebbi a che fare con suo figlio e i suoi collaboratori, altrettanto cordiali, ma confesso che quell’incontro è rimasto indelebile nella mia memoria.
Oggi, guardando l’offerta di Christie’s per la sessione autunnale di arte asiatica a New York, scopro un catalogo di 51 lotti in asta il 14 settembre che appartengono proprio a Marchant.
In un video che si abbina al catalogo online, nel quale è registrata un’intervista a Richard Marchant, si possono scoprire dettagli della quasi secolare storia di questa famiglia di antiquari specializzati in arte cinese, e si può inoltre comprendere in estrema sintesi quanto sia cambiato questo mondo negli ultimi decenni, con il recente prevalere di collezionisti e acquirenti cinesi rispetto a quelli statunitensi e inglesi che avevano guidato l’evoluzione del mercato dal secondo dopoguerra alla fine del secolo.
A dire il vero, non capisco quali siano le reali dinamiche che hanno portato Marchant, uno dei leaders dell’antiquariato cinese nel mondo, ad affidare i propri tesori ad una casa d’aste, piuttosto che gestirli autonomamente come è accaduto finora. Certo, le aste monografiche dedicate alle proprietà di antiquari non sono una novità, ma ho sempre avuto il sentore che si trattasse di un’ultima spiaggia, quasi dell’ammissione da parte del mercante di un infiacchimento delle proprie forze commerciali, che nel mondo attuale internettizzato non possono purtroppo più competere con quelle di imprese globali quali sono le case d’aste internazionali.
Però, non mi sarei aspettato che questo potesse accadere anche all’arte cinese che, come sappiamo, nonostante una leggera flessione rispetto ad anni appena precedenti, continua ad essere uno dei traini del mercato d’arte globale. Voglio dire, non credo che gli acquirenti cinesi, e mi riferisco a quelli che gestiscono milioni e milioni di capitale, non frequentino la nota galleria di Marchant. Forse, può aver guidato questa scelta la consapevolezza che a molti dei compratori cinesi il gioco del rilancio piace moltissimo. Voglio dire, a quale mercante non stuzzicherebbe l’idea che un proprio oggetto potrebbe essere acquistato per dieci volte il prezzo con cui l’avrebbe venduto in galleria?
O ancora, non sarà per caso il tentativo da parte di Marchant di inserire sul mercato dell’arte cinese nuove tipologie di manufatti, tra quelle che finora non hanno attratto i compratori asiatici? In fondo, non ne accenna lui stesso nel video, quasi invitando i collezionisti più giovani a rivolgere la propria attenzione verso nuovi filoni?
A questo proposito, sfogliando virtualmente il catalogo dell’asta Marchant del 14 settembre si nota la presenza in apertura (lots 701-707) di alcune ceramiche céladon di Longquan dei periodi Yuan (1279-1368) e Ming (1368-1644), un genere di vasellame che ha finora occupato un posto marginale tra i desiderata dei collezionisti, nonostante l’indubbio fascino di questi manufatti e il bagaglio di storia che essi rappresentano, esportati in Europa e Medio Oriente dal Medioevo e apprezzati dalla stessa nobiltà cinese.
Il céladon più importante offerto in asta è il grande piatto (diam. cm. 48,2) al lotto n. 706, stimato l’importante cifra di 300.000-400.000 $. Il piatto, dall’orlo lobato, è databile tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, periodo in cui le fornaci di Longquan erano sotto la diretta supervisione imperiale, condizione che garantiva certamente una maggiore qualità complessiva dei manufatti.
Ai céladon segue una selezione di bronzi (lots 708-723), datati tra il XV e il XVIII secolo. Anche i bronzi dinastici costituiscono una tipologia di manufatti che non è ancora entrata del tutto tra le grazie dei compratori, soprattutto se si tratta – come nel caso dei pezzi Marchant – di contenitori di vario genere e non di statue e statuette. L’incensiere a forma di zucca al lotto 715 ($ 50.000-70.000) risale alla seconda metà della dinastia Ming, nonostante – come moltissimi bronzi dello stesso periodo – rechi sulla base il marchio apocrifo dell’imperatore Xuande (regno 1425-1435). E’ un oggetto molto elegante, per la forma slanciata del manico, le applicazioni che lo impreziosiscono e la raffinata patinatura artificiale che gli fa assumere tonalità vicine al verde oliva.
I lotti 724-729 sono giade, una delle specialità per cui maggiormente è noto Marchant. Il pezzo che più mi ha incuriosito è una coppa con alto piede della dinastia Ming (lot 724, $ 15.000-20.000), alta cm. 7,3 e intagliata in un unico blocco di pietra dalla tonalità verde chiaro, con un decoro a leggero rilievo che incorpora caratteri di significato benaugurale. La sua forma a otto lobi è certamente una derivazione da prototipi in metallo di epoca Tang (618-907), a loro volta ispirati da analoghi manufatti di area persiana.
Seguono le porcellane, con le quali si conclude il catalogo.
Mi piace qui segnalare il grande vaso a balaustro con coperchio (h. cm. 81) al lotto 744, meticolosamente dipinto in ricca policromia con scene affollate di personaggi maschili e femminili ambientate in scorci di paesaggio, certamente ispirate da temi classici della letteratura e della pittura tradizionale cinese, come specifica Rosemary Scott nel lungo testo che accompagna la descrizione di questo lotto. Nonostante la prevalenza dello smalto verde, la presenza di quello rosa consente una sua datazione al periodo Yongzheng (1723-1735). La qualità della decorazione, le grandi dimensioni e la rarità delle scene scelte per l’ornato, sono elementi che giustificano la sua stima a 80.000-120.000 $.
Il top lot è ancora una porcellana. Si tratta di un grande vaso a balaustro (lot 748, h. cm. 70,5) di epoca Qianlong (regno 1736-1795), come confermato dal marchio apposto al centro della base. Dipinto al massimo delle possibilità della tavolozza Famiglia Rosa, mostra sul corpo due grandi riserve, una delle quali presenta una scena tratta dal Romanzo dei Tre Regni (Sanguo Yanyi), l’altra un gruppo di letterati che si godono la musica e ammirano un dipinto, tema classico nel repertorio di tutte le forme d’arte cinesi.
In questo caso, ci troviamo di fronte ad un bellissimo esemplare di una tipologia di oggetto che non comporta rischi nella prospettiva di una sua vendita, poiché appartiene a quel genere di porcellane che solleticano tutti i collezionisti. La stima di 300.000-500.000 $ pare fin troppo prudente, e non abbiamo dubbi che sarà aggiudicato ad un cifra di molto superiore, considerando anche che analoghe porcellane si trovano nel Palace Museum di Pechino, come specifica Rosemary Scott ne testo di accompagnamento alla descrizione, un confronto che è una sorta di garanzia della commissione imperiale di questo pezzo proveniente da un’importante collezione privata francese.