Il cosiddetto “Rotolo dei cervi” è un rinomato capolavoro dell’arte giapponese di tutti i tempi. Fu realizzato nel secondo decennio del XVII secolo circa, da una formidabile coppia di artisti: Hon’ami Kōetsu (1558-1637) e Tawaraya Sōtatsu (?-1640 circa). Il primo, Kōetsu, è stato uno dei maggiori artisti giapponesi del suo tempo. Nato in una famiglia di politori di spade da molte generazioni al servizio dei potenti del paese, Kōetsu ben presto mise a frutto la sua sensibilità artistica in diversi altri campi: profondo conoscitore della letteratura classica, del teatro Nō e dell’estetica della cerimonia del the, si cimentò, sotto la guida dei maggiori maestri dell’epoca, nella realizzazione di ceramiche e di disegni per lacche, producendo manufatti di stupefacente bellezza; nel 1615 fondò una comunità di monaci affiliati al Buddhismo di Nichiren, nella quale si pregava, si meditava e si producevano oggetti d’arte raffinatissimi. Pur essendo un artista poliedrico, Kōetsu è soprattutto noto come calligrafo, uno dei più ammirati nell’intera storia di quest’arte.

Nonostante si rifacesse consapevolmente ai canoni tradizionali del periodo Heian (794-1185), Kōetsu infuse nella sua scrittura una fluidità e una poeticità fuori della norma. Alcune delle sue calligrafie più belle furono vergate su supporti in carta appositamente decorati per lui da un geniale pittore, Tawaraya Sōtatsu. Nato e attivo anch’egli a Kyoto, Sōtatsu si fece dapprima conoscere come decoratore di ventagli, riuscendo ad entrare nelle grazie degli intellettuali della capitale che apprezzavano lo stile tradizionale della sua arte, sicuramente influenzata dai modi della scuola Tosa e dai canoni della Yamato-e, la pittura di gusto giapponese per eccellenza. Il sodalizio con Kōetsu ebbe inizio intorno al 1602, anno in cui i due collaborarono al restauro dei fogli del Sutra del loto, magnifica e molto venerata opera del XII secolo conservata nel tempio di Itsukushima. I due sembra che fossero inoltre legati da parentela, poiché pare che Sōtatsu avesse preso in sposa una cugina di Kōetsu. La fruttuosa collaborazione perdurò fino almeno al 1615, quando Kōetsu si ritirò nel suo eremo. Sōtatsu avrebbe continuato a dipingere con grande successo, realizzando opere per prestigiosi committenti e guidando fino alla morte un atelier molto conosciuto in tutto il Giappone.

Koetsu e Sotatsu, Il Rotolo dei Cervi, particolare

Per la sinuosa calligrafia di Kōetsu, Sōtatsu ideò delle composizioni di insuperata eleganza, che ben si adattassero ai formati del lungo rotolo orizzontale (emakimono) e dei fogli sciolti (shikishi). Limitando la sua tavolozza a pochi ma raffinatissimi colori, tra i quali prediligeva l’argento e l’oro, Sōtatsu si concentrò in questi lavori a due piuttosto sulla morbidezza e sul ritmo della linea, controbilanciando così il sinfonico succedersi degli ideogrammi di Kōetsu. Riguardo ai soggetti, Sōtatsu scelse quasi sempre elementi della natura, quali i fiori e gli animali; solo in seguito – terminato il progetto con Kōetsu – si sarebbe confrontato sempre più con temi tratti dalla letteratura tradizionale, come ad esempio il Genji monogatari, spesso dipinti sull’ampia superficie di un paravento a più ante.

Il “Rotolo dei cervi” è forse l’opera che meglio esemplifica la grandezza del sodalizio tra Sōtatsu e Kōetsu. Sul lunghissimo rotolo si alternano e si sovrappongono con inusitata armonia i cervi e la calligrafia. Gli animali sono in parte solo delineati e in parte riempiti nelle carni di colore: si susseguono esemplari isolati, oppure coppie e anche gruppi, mentre balzano, roteano oppure brucano o osservano; gli sguardi sono intensi, i movimenti musicali. La scelta del cervo per decorare quest’opera non fu ovviamente casuale: questo nobile quadrupede è per i giapponesi simbolo dell’autunno, ovvero della stagione della melanconia e della riflessione solitaria. Tutte le ventotto poesie di trentuno sillabe (waka) che accompagnano le immagini di cervi – contenute nella celebre antologia di versi intitolata Shin Kokin Wakashū commissionata dall’imperatore Go Toba nel 1201 – hanno anch’esse come tema l’autunno e le sue atmosfere decadenti. Kōetsu le trascrisse nel difficile stile corsivo (soshō) che egli aveva imparato a usare studiando con passione i capolavori della calligrafia del suo paese e della Cina. L’abilità di Kōetsu nel dosare le gradazioni dell’inchiostro e la sua sopraffine sensibilità raggiungono in quest’opera vertici estetici assoluti.

La storia del “Rotolo dei cervi” rimane a tutt’oggi in gran parte un mistero. Non si conosce infatti il committente, né si sa quello che successe in seguito. Le prime notizie che lo riguardano risalgono alla fine dell’Ottocento. Le sue peripezie iniziano invece nel 1935 quando il suo proprietario di allora, il famoso collezionista Masuda Takashi (o Donnō, 1848-1938), decise di dividere in due parti l’opera. Nel 1951 il Seattle Art Museum acquistò la seconda metà, mentre la prima parte fu ulteriormente suddivisa tanto che oggi frammenti del rotolo si trovano in cinque musei giapponesi e in due collezioni private, mentre due stralci sono scomparsi, noti agli studiosi e al pubblico solo grazie ad alcune fotografie in bianco e nero prese prima degli impietosi tagli.

Tra il 2003 e il 2004, il Seattle Art Museum, in collaborazione con le istituzioni e i privati giapponesi che conservano i frammenti del “Rotolo”, ha organizzato un grande progetto per ridare lustro a questo sensazionale capolavoro. Oltre ad un necessario restauro pittorico che ha restituito lo splendore originario all’opera, il Museo statunitense ha ricostruito virtualmente il rotolo nella sua interezza. Grazie a tecnologie informatiche d’avanguardia e alla generosità dei proprietari, si è potuto così ‘svolgere’ nuovamente questo strepitoso emakimono. Il risultato di questa iniziativa è permanentemente on line sul sito del Museo: vi compaiono tutte le notizie utili per comprenderne la grandezza, compresa la traduzione delle poesie e una breve biografia dei loro autori, oltre a dettagliate notizie storico-artistiche riguardanti l’opera. Ovviamente si tratta di un surrogato, che mai potrà entusiasmare lo spettatore quanto la visione dell’originale; tuttavia, non credo onestamente che vi saranno in futuro occasioni dal vivo e alternative per godere di questo superbo dipinto nella sua magica completezza.