Ci sono oggetti che, per un motivo o per un altro, hanno un’importanza così grande da poter essere considerati delle pietre miliari nella storia dell’intera umanità.
Il British Museum di Londra conserva più di uno di questi totem della civiltà globale, basti pensare alla celeberrima Stele di Rosetta o ai due vasi da altare in porcellana ‘bianco e blu’ datati al 1351 e già appartenuti a Sir Percival David.
Un altro manufatto che merita senza dubbio un posto in questo Olimpo della conoscenza di tutti i tempi, è il Reliquiario Bimaran.
Si tratta di un piccolo contenitore a sezione circolare (è alto solo 7 centimetri), in oro. Sull’esterno si svolge una decorazione in accentuato rilievo, che consiste in una serie di otto nicchie architettoniche parallele, all’interno di ognuna delle quali si erge una figura stante, mentre negli spazi di risulta di ognuna delle ogive superiori si staglia un uccello a ali spiegate. Il fregio è chiuso in alto e in basso da due bande che alternano un motivo a doppio cuore stilizzato e un incavo cabochon che racchiude un rubino della regione del Badakhshan.
I personaggi raffigurati sono per due volte il Buddha storico, affiancato da Brahma e Indra. Le due triadi sono separate da due figure maschili che si possono identificare come bodhisattva.
Il Buddha è descritto secondo un’iconografia tuttora prevalente, vestito di ampia tunica dal panneggio mosso, sul cranio la protuberanza usnisha e i lobi delle orecchie allungati. Nel complesso, questa figura mostra evidenti affinità formali con la rappresentazione umana così come si era evoluta nel mondo ellenistico.
Questo modello greco è la cifra stilistica precipua dell’arte del Gandhara, la regione storica che si sviluppò in territori oggi compresi tra il Pakistan e l’Afghanistan. In quelle terre a tratti aspre si era formata una comunità in cui le popolazioni locali si miscelarono con i discendenti dei soldati macedoni che accompagnarono Alessandro il Grande nella sua straordinaria e ambiziosa spedizione in India nel 327 a.C.
L’arte che si generò da questa combinazione è uno dei più esaltanti fenomeni di ibridazione che la storia dell’umanità ricordi. L’umanesimo classico si innescò nei costumi di derivazione indiana, l’antropocentrismo greco che si insinua nella più sofisticata filosofia del mondo antico.
L’arte del Gandhara è una crocevia unico nella storia del mondo.
Il Reliquiario Bimaran è così noto dal nome della località dell’Afghanistan dove fu ritrovato nel 1833-1838 dall’inglese Charles Masson, archeologo e avventuriero in quegli anni alle prese con gli scavi di un sito buddhista.
Il prezioso manufatto si trovava all’interno di un contenitore con coperchio in steatite, sull’esterno del quale sono visibili iscrizioni che fanno esplicito riferimento ai donatori e al contenuto: le reliquie del Buddha.
Quando fu riscoperto, in realtà al suo interno non c’erano resti organici ma alcune pietre preziose e delle monete.
Lo stato di conservazione di queste ultime, praticamente intatte, ha fatto supporre che esse fossero state inserite nel reliquiario subito dopo il conio. Esse sono state identificate come risalenti al regno di Kharahostes, che governò una vasto territorio a nord del sub-continente indiano tra il 10 a.C. e il 10 d.C.
Questa datazione è sorprendente soprattutto se si ritenga come un’ancora per supportare la datazione del reliquiario stesso. E sebbene nei numerosi studi che si sono succeduti, queste proposte cronologiche rimangano confinate all’incirca alla prima metà del I secolo d.C., in molti sostengono che il manufatto del British Museum sia la prima raffigurazione antropomorfica nota del Buddha, fino a quel periodo evocato solo attraverso simboli, come la ruota del Dharma oppure le impronte dei suoi piedi.
Considerando inoltre la raffinatezza con cui il Buddha è delineato nel Reliquiario Bimaran, tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che già in precedenza dovevano essere state realizzate icone del Buddha di questo tipo.
Una storia davvero affascinante, per un oggetto che ha pochi eguali nella storia della civiltà umana.

PS
A proposito del Buddha, è di questi giorni la notizia della vendita all’asta di un gruppo di reliquie che un gentiluomo inglese di nome Peppé ritrovò nel 1898 nei suoi possedimenti di Piprahwa, nel nord dell’India e ai confini con il Nepal, zona in cui nacque e visse il Principe Gautama. Si tratta di una quarantina di pietre semipreziose e preziose, ritrovate in uno stupa che conteneva anche resti organici che una documentazione storica accertata mette in relazione con il fondatore storico del Buddhismo.
Ai tempi del ritrovamento, l’inglese si accontentò di un quinto dei materiali rinvenuti, donando il resto alle istituzioni indiane (una parte si trova attualmente anche nel Metropolitan Museum di New York).
I suoi eredi hanno affidato a Sotheby’s Hong Kong la vendita di questi preziosissimi cimeli. Ma il governo indiano si è opposto e l’asta è stata rimandata, nella speranza che l’intricata questione si risolva.
La mia opinione proposito di fatti come questo non è granitica.
Capisco infatti che non si stia parlando di meri oggetti, bensì di devozione.
Tuttavia, siamo sicuri che queste pietre – così come lo splendido reliquiario di Bimaran – sarebbero sopravvissute agli eventi della storia (in quelle regioni del globo spesso infausti, ahime…) se l’inglese di turno non li avesse compresi e quindi trasferiti nelle sale ovattate di un museo?
Una risposta che non può essere univoca.
Mio parere.