Secondo alcuni è il più bel netsuke che sia mai stato intagliato. Sicuramente è uno dei netsuke più famosi del mondo. E’ il “Kirin Meinertzhagen”, cosiddetto per il soggetto che rappresenta, ovvero il mitico unicorno della tradizione cinese e poi giapponese, e per il suo primo proprietario, Frederick Meinertzhagen, il più grande collezionista, mercante e studioso di netsuke di tutti i tempi.
La storia della sua fama inizia il 13 febbraio 1911, quando Meinertzhagen, allora giovanissimo, lo vide nella vetrina di un piccolo negozio di Finsbury Pavement, a Londra: fu amore a prima vista. Lo acquistò, per una cifra allora considerevole, e lo tenne con sè per circa mezzo secolo finchè, poco prima di morire, non lo regalò al suo amico W.W. Winkworth. Alla morte di quest’ultimo il prezioso netsuke fu venduto ad un collezionista privato, che lo conservò in gran segreto per alcuni decenni, lasciando che fosse ammirato dal pubblico solo una volta nel 1980, in occasione di un’esposizione a Londra. Infine, qualche anno fa cambiò ancora proprietario, finendo nelle mani di Joseph Kurstin, grande collezionista e attuale presidente della prestigiosa International Netsuke Society.
Proprio quest’ultimo ha recentemente pubblicato sulla rivista della INS un breve articolo su questo suo netsuke, ricostruendone la storia, esaltandone la bellezza e la fama. Riprendendo il giudizio di Meinertzhagen, scritto nel marzo del 1950 su una delle sue migliaia di notissime schede (conservate nel British Museum e pubblicate nel 1986 in un ormai introvabile libro), Kurstin ha ribadito che anche per lui si tratta di un netsuke realizzato da un anonimo artista attivo a Osaka o a Kyoto: come Meinertzhagen, anche Kurstin lo data al XVII secolo, per la splendida patina che lo riveste, l’assenza di firma, l’evidentissimo afflato cinese e la potenza dell’intaglio.
E’ difficile non dare ragione ai due eminenti studiosi riguardo al luogo di esecuzione di questo netsuke. A Kyoto e a Osaka, soprattutto nel XVIII secolo (lo dicono le fonti del tempo), operava gran parte dei maggiori intagliatori, come Shūzan, Masanao e Tomotada: molti di loro erano particolarmente abili nel lavorare l’avorio, in composizioni spesso virtuosistiche e ricche di dettagli, anche minutissimi; lo stile era spesso ridondante (“barocco”, come dice Kurstin), ma raffinatissimo, tecnicamente ineccepibile, oltre che potente e maestoso; ancora nella seconda metà del Settecento si preferiva realizzare netsuke di grandi dimensioni, non lontane da quelle che caratterizzano il “Kirin Meinertzhagen” (cm. 11,5 x 5,2), apponendo, solitamente sul retro, due himotoshi (i fori per il passaggio del laccio che lega il netsuke alla borsetta) di notevoli proporzioni. Il “Kirin Meinertzhagen” presenta tutte queste caratteristiche: esso è elegantissimo nella torsione del collo e nella posizione della zampa anteriore destra sollevata, potente nelle fauci socchiuse, mirabolante nell’intaglio delle lingue fiammeggianti che rivestono il petto muscoloso, e nell’ardita ricciolatura della coda; la tratteggiatura minuta, a incisione e inchiostratura, per la resa del pelo, esalta il gioco di ombre e luci su tutto il corpo dell’animale, tanto che, per certi versi, non si può non essere d’accordo con il Meinertzhagen che definì questo netsuke come un capolavoro assoluto della scultura mondiale di tutti i tempi.
Più difficile è, secondo me, accettare senza riserva una datazione di questo formidabile netsuke al XVII secolo. Finora gli studiosi sono abbastanza concordi nel situare intorno alla fine del XVI secolo l’inizio della produzione di netsuke, allorchè venne in auge l’usanza da parte degli uomini di portare al proprio fianco borsette di vario tipo. Quasi sicuramente i giapponesi vennero a conoscenza di questa moda dai cinesi, che a loro volta l’appresero dalle popolazioni delle steppe centro-asiatiche, abituate a indossare questo tipo di contrappeso per poter cavalcare in maggiore libertà. Le prime raffigurazioni di netsuke su dipinti di vario genere risalgono in Giappone all’inizio del XVII secolo; in letteratura Ihara Saikaku per primo ne citò alcuni nei suoi romanzi della fine del Seicento. Tuttavia, fino al 1781, anno in cui fu compilato il Sōken Kishō di Inaba Tsuryū nel quale compaiono figure e notizie circostanziate sugli intagliatori e su alcune tipologie stilistiche, non esistono dati certi e documentati sull’evoluzione artistica di questo manufatto. La datazione dei netsuke ha quindi come ante quem e post quem proprio il su citato volume del 1781. Nonostante ciò, col progredire degli studi, in molti hanno più volte tentato di costruire una cronologia del netsuke più dettagliata, soprattutto in riferimento al periodo più antico, ovvero dall’inizio del Seicento alla metà del Settecento. Si è quindi, man mano, costituito un gruppo di netsuke del XVII secolo, individuato grazie a constatazioni di vario tipo, tutte però di tipo stilistico, in attesa che futuri aggiornamenti possano documentare quelle che finora rimangono solo ipotesi. Anche il “Kirin Meinertzhagen” è dunque un netsuke del XVII secolo solo per ipotesi. A mio parere, anzi, esso presenta caratteristiche stilistiche non dissimili dalla produzione della metà del XVIII secolo circa. Pur avendo, infatti, una notevole personalità, che non permette di associarlo ad alcun artista noto, simili composizioni erano nelle corde di intagliatori attivi in quel frangente sia nella capitale sia nella non lontana Osaka. Se dovessimo andare più nel particolare, saremmo più propensi per associare il “Kirin Meinertzhagen” con intagliatori attivi ad Osaka come Garaku o Gechū, noti proprio per l’esuberanza che caratterizza le loro opere, realizzate prevalentemente in avorio. Si potrebbe dunque pensare che l’anonimo artista che ha realizzato il famoso Kirin (forse attivo nella prima metà del secolo) abbia preceduto e in qualche modo influenzato questo gruppo di intagliatori attivi nella seconda metà del Settecento.
In conclusione, il “Kirin Meinerthagen” è un netsuke fuori dalla norma, affascinante anche per l’aurea di mistero che lo circonda. Non so se si possa definire come “il più bello del mondo”, ma senz’altro è uno dei più famosi. Chissa quanto ha pagato Joseph Kurstin per entrarne in possesso…