Un bell’articolo di Eleonora di Iulio ci introduce tra le atmosfere straordinarie di uno dei più bei musei di arte orientale del mondo, il Cernuschi di Parigi, capolavoro di un uomo di personalità fuori del comune.

Nel 1873 quasi novecento casse provenienti da Cina, Giappone, Mongolia, Indonesia, India e Sri Lanka raggiungono Parigi. La città si arricchisce dei Cinquemila oggetti d’arte che Enrico Cernuschi ha scrupolosamente riunito durante il suo straordinario itinerario orientale.

Enrico Cernuschi nel 1876

Militante repubblicano e patriota, banchiere e impresario, collezionista e filantropo; così può essere delineata la versatilità di una personalità tanto poliedrica. Enrico Cernuschi (Milano 1821-Mentone 1896) milanese di nascita, poi francese per adozione, lascia l’Italia nel 1850 approdando a Parigi esule e accusato di azioni sovversive dopo una fervida militanza ai moti risorgimentali del 1848-49 fra Milano e Roma.
In terra straniera, il prestigio finanziario ottenuto con la fondazione della Banque de Paris nel 1869 conduce a numerosi viaggi intorno al mondo. All’inizio degli anni Settanta, spinto da avido spirito d’avventura e desiderio di conoscenza, progetta un itinerario asiatico della durata di un biennio (1871-1872), affiancato dal compagno di viaggio Théodore Duret, critico d’arte difensore del gruppo impressionista. A spasso fra Giappone, Cina, Mongolia, Giava (Indonesia), Ceylon (Sri Lanka) e India, l’ambizione collezionistica di Cernuschi si focalizza su un esorbitante patrimonio artistico costituito da oggetti d’arte, suppellettili, album fotografici, libri e stampe, accuratamente descritto dalla penna di Duret nel diario “Voyage en Asie”, pubblicato nel 1874 per l’edizione parigina Levy.
Fra le tappe fondamentali del tour emergono il Giappone di epoca Meiji (1868-1912), ormai per larga parte aperto ai costumi occidentali e la Cina. In questi luoghi, Cernuschi acquisisce primariamente ceramiche e bronzi, di cui si contano più di duemila pezzi. Si tratta in effetti di un momento piuttosto favorevole per condurre acquisti in terra straniera, specie in Giappone. Le lotte interne derivanti dall’abolizione delle antiche signorie di stampo feudale, sostituite dalle prefetture del nuovo governo retto dal Mikado, conducono a una profonda crisi economica. Numerosi oggetti d’arte di pertinenza feudale sono messi all’asta, templi e monasteri distrutti sono invece assaliti da turisti e mercanti locali. Da queste circostanze deriva dunque la fortuna collezionistica di Cernuschi, che in un tempo davvero rapido entra in possesso di interi lotti di manufatti preziosi.

Buddha giapponese di Meguro al museo Cernuschi

Per quanto l’ultimo trentennio dell’Ottocento sia caratterizzato da un’estrema diffusione del gusto japoniste, considerando la moda del viaggio in Oriente, il commercio nelle boutique specializzate europee e l’apertura di musei e collezioni permanenti, il Guimet per citarne uno (1889), la collezione Cernuschi è dotata di altissimo pregio e unicità. In un panorama “orientalizzante” così variegato, la raccolta bronzea non ha eguali. Entusiasticamente accolta da visitatori e critica, è esibita in occasione della prima esposizione pubblica al Palazzo dell’Industria – oggi il Grand Palais di Parigi – poi trasferita nel “Palazzo incantato”, l’elegante appartamento sito in Avenue Vélasquez, nell’ottavo arrondissement, appositamente commissionato per la conservazione della collezione, di cui le fonti giornalistiche di fine secolo narrano incessantemente.
Sul finire di novembre 1882, Cernuschi, ormai naturalizzato francese, annuncia il dono della raccolta e dell’immobile che la contiene alla municipalità di Parigi, sua seconda patria. La volontà è sottoscritta nel testamento olografato nel gennaio 1896, quattro mesi prima della scomparsa.
La casa-museo è inaugurata al pubblico due anni più tardi, il 26 ottobre 1898. Al segretario del collezionista, Eugène Benoît Causse spetta la nomina di primo conservatore museale e il riordino della raccolta mediante la redazione del primo inventario ragionato.

Veduta esterna del Museo Cernuschi

La fisionomia odierna del museo è drasticamente mutata in rapporto al primo confusionario allestimento fin de siècle, in cui gli oggetti sono sorprendentemente stipati nella maggior parte delle sale senza criterio cronologico e tipologico. I saloni un tempo abitati e arredati da Cernuschi, hanno ceduto il posto a una collezione permanente efficace e scientificamente pianificata, contraddistinta da un’esposizione tanto sobria quanto pregnante, dotata di un percorso didattico ben strutturato. La missione dell’Istituzione museale unifica la tutela della dimora storica all’esposizione della collezione originaria, progressivamente incrementata da acquisizioni e donazioni.
Al limitare del parco pubblico Monceau, il candido ed elegante edificio a due piani echeggiante un palazzetto rinascimentale accoglie il visitatore con un minuscolo giardino ospitante flora di derivazione orientale e due leoni o cani di Fo, enormi brucia incensi provenienti dal Giappone affiancati al portone d’ingresso sin dal 1874.
Il museo custodisce più di dodicimila oggetti, di cui solo novecento in esposizione, per un totale di nove sale visitabili al piano nobile e spazi adibiti all’esposizione temporanea al piano terra. I nuclei tematici sono quattro: giapponese, cinese, indiano e giavanese, affiancati da un fondo vietnamita costituito nei primi anni Trenta del Novecento. Nonostante la ricchezza tipologica e l’ampia mappa geografica di provenienza dei manufatti, il percorso di visita si snoda per la quasi totalità fra reperti d’arte e archeologia della Cina.

La sala con i manufatti del Neolitico cinese

Il Cernuschi, denominato anche Musée Chinois de la Ville de Paris, può quindi ritenersi un museo specialistico. Focalizzato su un arco temporale assolutamente ampio, dal periodo Neolitico al XII secolo d.C., espone statuaria, armi, vasi rituali, utensili, statuette funerarie, pitture su carta e materie tessili, frammenti d’oreficeria e ceramiche.
Una cospicua parte della collezione storica risalente al nucleo originario di fine Ottocento è conservata in deposito, anche se i manufatti più significativi, fra cui bronzi, okimono (brucia incensi giapponesi) e vasellame, si susseguono segnalati dalla dicitura “Legato Henri Cernuschi, 1896” lungo il percorso di visita e presso il Memoriale: una piccola area non percorribile ma fruibile attraverso una parete vetrata. Nell’ala dell’edificio che un tempo ospitava il fumoir, luogo di riposo e ricevimento, è ricostruita l’atmosfera caotica ma allo stesso affascinante del primo allestimento (1898), una sorta di wunderkammer esotica allestita per mezzo delle testimonianze fotografiche conservate in archivio.
In origine l’appartamento era dotato di un apparato decorativo oggi perduto, fra cui modanature in stile Luigi XIII e stucchi sostituiti nel 1935 da un rivestimento color crema. Non è rimasta traccia dell’originale carta da parati di colore rosso pompeiano inframmezzata da motivi a svastica desunti dalla tradizione indiana, crisantemi e gru, riallestita però presso il Memoriale.
Nella hall centrale al piano nobile, la sala di più imponente metratura, illuminata da una grande finestra a serliana e fulcro dell’intero edificio, troneggia il Buddha Amithāba, “Luce senza fine”, datato alla metà del XVIII secolo. Denominato anche Buddha di Meguro, in relazione alla provenienza attestata presso un monastero dismesso nell’omonimo sobborgo di Tokyo, è da subito considerato il simbolo dell’intera collezione. L’imponente Buddha bronzeo assiso su un fiore di loto misura poco meno di quattro metri e mezzo in altezza, per un totale di quattromila chilogrammi di peso. La mano destra è sollevata nel gesto del non temere, la sinistra poggiata in grembo con il palmo rivolto verso l’alto simboleggia la meditazione. Il capo è incorniciato da una gigantesca aureola bronzea, un’aggiunta tarda, in tutta probabilità a sostituzione dell’originaria andata perduta. Prima della collocazione al centro del salone, costruito ad hoc per ospitarla, la statua è assemblata da un atelier parigino in seguito alla drastica scomposizione in più parti, indispensabile affinché il monumentale bronzo potesse raggiungere la Francia a bordo di un piroscafo e un treno.

Una delle sale nel Museo Cernuschi

Nelle decorazioni parietali del salone riecheggiano le tappe simbolo del viaggio in Asia. Sulla parete sud, alla sinistra del Buddha, è trascritta la parola “Chine”, alla sua destra “Japon”, mentre in corrispondenza della parete laterale per ciascuna nazione di appartenenza, il nome di alcune città visitate: Pechino, Canton, Yangzhou e Dolanor in Cina; Nara, Osaka, Kyoto e Tokyo, per il Giappone.
Appartenente al circuito delle collezioni permanenti municipali, Cernuschi è il secondo museo d’arte orientale più visitato e noto in Francia dopo il primo classificato Musée Guimet e il quinto specializzato in arte cinese su scala europea.
L’oasi orientale a pochi chilometri da Place Charles de Gaulle è protetta e seminascosta dalle quinte arboree del Parc Monceau. I tesori offerti alla comunità raccontano ogni giorno l’impresa di Enrico Cernuschi, assoluto promotore nella diffusione della cultura asiatica nella Francia di un tempo così in quella dei nostri giorni.

Eleonora di Iulio