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Domenico Tintoretto, Ritratto dell’ambasciatore giapponese Ito mancio, olio su tela, 1585

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io lo conoscevo.
Mi aveva mostrato la foto di questo dipinto un mio amico qualche anno fa, nel 2012. Allora ero impegnato nell’organizzazione della mostra “Di linea e di colore. Il Giappone, le sue arti e l’incontro con l’Occidente” che si sarebbe tenuta tra aprile e giugno nelle sale del Museo di Palazzo Pitti a Firenze. Avevo concepito un’ampia sezione della mostra con oggetti che raccontassero la storia dell’incontro tra l’Europa e il Giappone, con un occhio di riguardo alle relazioni storiche tra l’Italia, Firenze e l’arcipelago asiatico. Ebbi l’onore di avere in prestito un nucleo di oggetti di importanza straordinaria, provenienti da musei famosi e collezioni storiche. Riuscì anche ad esporre il bellissimo ritratto di Hasekura Tsunenaga, l’ambasciatore giapponese che visitò Firenze nel 1615. Non si trattava della prima ambasceria giapponese che giunse in Italia e in Toscana. Già nel 1585 era arrivata una delegazione, la prima che visitò l’Europa. Per raccontare quello straordinario avvenimento esposi i ritratti che degli ambasciatori fece Urbano Monti, disegni presenti all’interno di un codice conservato a Milano.
Di questa prima ambasceria esiste un resoconto dettagliatissimo scritto ‘in presa diretta’ dal Gualtieri e pubblicato nello stesso 1585. In più, si conservano negli archivi storici di tutte le città italiane che gli ambasciatori visitarono, documenti sul loro passaggio, molti dei quali pubblicati a partire dalla fine dell’Ottocento. Evidentemente l’evento fu epocale: nessuno infatti fino ad allora aveva visto genti giapponesi, tanto diverse non solo nelle abitudini e nei costumi, ma anche nell’aspetto fisico. Ebbene, proprio il Gualtieri – facendo la cronaca dei giorni trascorsi a Venezia degli ambasciatori – scrisse che i quattro delegati principali furono ritratti da Tintoretto. Una notizia che era senz’altro vera, dunque. Tuttavia, per molti secoli a venire di questi ritratti si era persa traccia, e chiunque si fosse cimentato con lo studio di quel brano di storia ha dovuto laconicamente ricordare quella perdita. Io stesso l’ho ammesso, ad esempio in uno dei saggi che ho scritto nel catalogo della mostra sopra citato: il quadro era perso.
Fino a quel giorno del 2012, quando l’amico mi mostrò quella foto.
L’emozione fu grande poiché il quadro, oltre che importante, sembrava di ottima qualità e molto ben conservato, e che importa che non si trattasse del ben più famoso Jacopo ma invece di suo figlio Domenico! L’opera era la risoluzione di un enigma, un tassello importantissimo in quel mosaico che è la storia delle relazioni culturali e diplomatiche tra Italia e Giappone.
Per motivi che non è il caso che stia qui a raccontare, l’ovvio proposito di pubblicare quel quadro non si realizzò. In più di un’occasione ho ripensato a quell’opportunità, ma c’era un patto e poi, personalmente e per una mia etica, non ho molta attitudine per l’uso di sotterfugi al fine de ottenere qualcosa, pratica che invece – a quanto ne sappia – è molto diffusa anche tra gli storici dell’arte.
Comunque, l’opera è stata infine resa nota. L’ha pubblicata Paola Di Rico nel volume “Aldèbaran II. Storia dell’arte” a cura di Sergio Marinelli (Scripta Edizioni), in un saggio dal titolo “L’ambasciatore giapponese di Domenico Tintoretto” (pp. 83-94). Nella comunicazione relativa alla scoperta che circola su internet leggo che il dipinto si trova in collezione privata, senza mai citare quale. Tuttavia, mi sembra sia un mistero facile da decifrare: Paola Di Rico lavora presso la Fondazione Trivulziana che si occupa della valorizzazione dei beni della nobile famiglia Trivulzio; inoltre, proprio la Fondazione ha ospitato nella sua sede di Milano nell’ottobre 2014 la visita del primo ministro giapponese Shinzo Abe, giunto in Italia per ammirare questo ritratto così importante.