Ogata Kōrin (1658-1716) è uno degli artisti che meglio hanno interpretato i paradigmi della cultura di Kyoto nel periodo Tokugawa (1615-1868). Nonostante al tempo il centro politico ed economico del paese fosse Edo (attuale Tokyo), l’antica capitale Kyoto, sede della corte imperiale, continuava a essere la città depositaria delle antiche e più sofisticate tradizioni culturali del Giappone. Anzi, forse proprio in opposizione alle novità sociali e artistiche che si andavano delineando nella città degli shōgun, verso l’inizio del Seicento a Kyoto prese il largo un rinnovato interesse per la cultura tradizionale, promosso anche dall’aristocrazia che voleva così dimostrare il proprio dissenso nei confronti del neonato governo militare.

Il primo e più riuscito frutto di questa sorta di revival fu la pubblicazione di nuove e più moderne edizioni dei classici letterari del passato, soprattutto di epoca Heian (794-1185), l’”età d’oro” della storia giapponese. Noti come Saga-bon (“libri Saga”) dal nome del sobborgo di Kyoto dov’erano ubicate le stamperie, il merito di queste iniziative è da ascrivere soprattutto a Suminokura Soan (1571-1632), ricco mercante e intellettuale lungimirante. Nella sua impresa editoriale Soan si servì spesso della collaborazione di Hon-ami Kōetsu (1558-1637) – esteta, ceramista e calligrafo di straordinario talento – che si occupava di realizzare i modelli calligrafici per i testi poi riprodotti su matrici a caratteri mobili per la stampa. Kōetsu di lì a poco avrebbe iniziato un fruttuoso sodalizio con il pittore Tawaraya Sōtatsu (?-1640 circa), ancora per alcuni Saga-bon, quindi per altre opere, in cui i suggestivi disegni di Sōtatsu facevano da sfondo alla fluente calligrafia di Kōetsu.

Le opere di Kōetsu e Sōtatsu furono senz’altro una delle fonti primarie di ispirazione per Kōrin e per il fratello di quest’ultimo, Ogata Kenzan (1662-1743), anch’egli valentissimo artista. Tanto più che i due Ogata potevano vantare tra i propri familiari lo stesso Kōetsu, la sorella del quale aveva sposato Ogata Dōhaku, avo dei due fratelli e fondatore del famoso negozio di tessuti di famiglia. Inoltre, il fratello minore del padre dei due avrebbe assunto con il nome di Sōnyū la guida della famiglia Raku, famosa per le omonime ceramiche da cerimonia del tè.

Kenzan e Kōrin si formarono quindi in un ambiente artistico molto stimolante. Insieme collaborarono alla realizzazione delle ceramiche prodotte nel forno fondato nel 1699 da Kenzan, anche se Kōrin si dedicava con sempre più successo alla carriera di pittore; nel 1701 gli fu attribuito il rango di hokkyō, un’onorificenza tra le più ambite. Fino alla sua morte nel 1716 Kōrin avrebbe continuato a confrontarsi con la pittura, tentando anche di penetrare nel ricco mercato di Edo, città presso la quale si trasferì per un certo periodo prima di fare definitivo ritorno nella sua amata Kyoto.

Korin, Susino bianco e susino rosso

All’ultima fase della sua carriera, forse tra il 1710 e il 1715, si data anche quello che può essere considerato il più grande capolavoro di Kōrin. Si tratta della coppia di paraventi a due ante (cm. 156 x 172,2) conservata presso il museo MOA di Atami, intitolata Susino bianco e susino rosso. La composizione è molto semplice: sulla sinistra un albero di susino dai rami contorti punteggiato di fiori bianchi, sulla destra un altro albero di susino dai fiori questa volta di colore rosso; al centro, tra le due piante, un sinuoso corso d’acqua dal basso si allontana verso l’alto. Il fondo è per intero rivestito di foglia d’oro; in basso a destra e in basso a sinistra compaiono le due firme dell’artista, entrambe seguite da un sigillo circolare in rosso.

I due paraventi sono non solo superbo paradigma dell’arte di Kōrin, ma esemplari di tutto un genere pittorico, i cui esordi possono essere rintracciati nell’opera di Kōetsu e Sōtatsu. Tutti gli affiliati alla “Scuola di Kōrin” (Rinpa) predilessero prevalentemente soggetti tradizionali giapponesi, relativi all’antica cultura del proprio paese; soprattutto, si cimentarono con la raffigurazione della Natura, cercando di illustrarne i ritmi e le trasformazioni. Anche lo stile della loro pittura risente della riscoperta dei canoni tradizionali delle Yamato-e, le “immagini del Giappone”, di epoca Heian, in particolar modo nella scelta di rinunciare ad una netta linea calligrafica, di derivazione cinese, per sviluppare invece la macchia pittorica. Si prendano ad esempio i due monumentali tronchi di susino nel paravento di Kōrin: stendendo i colori uno sull’altro quando quello sottostante era ancora fresco (tecnica del tarashikomi), il Maestro è riuscito a suggerire la scabrosità della corteccia, punteggiata di muschi e licheni, superando con metodo tutto pittorico la necessità di riempire una cornice a linee calligrafiche. Colpisce inoltre il modo in cui Kōrin ha reso le trasparenze dell’acqua, su cui si riflettono i toni scelti per i due tronchi e i loro fiori, e il fluire del moto ondoso: una stilizzazione estrema che contrasta vivacemente con il naturalismo che caratterizza gli alberi. Un’astrazione anch’essa di puro gusto giapponese, che fa venire in mente, ad esempio, i decori utilizzati per i tessuti, che Kōrin conosceva per esperienza diretta nella fabbrica familiare. La monumentalità della composizione, la scelta del formato del paravento e l’utilizzo dell’oro sono, invece, eco della conoscenza di Kōrin della pittura di epoca Momoyama (1573-1615). La tradizione Kanō, potente sintesi tra calligrafismi di origine cinese e cromatismi di stampo nipponico, contribuisce sostanzialmente allo sviluppo estetico dell’Ogata: d’altronde, Kōrin inevitabilmente, considerando il prestigio di questa scuola pittorica, svolse parte della sua formazione proprio presso alcuni maestri Kanō.