L’ozio è utile.
Lo affermavano con decisione gli intellettuali greci e latini.
Poter gestire un tempo più o meno lungo della propria vita senza l’affanno del profitto consumistico, è occasione sempre più rara in quest’epoca di corri corri, e ancora corri, e continua a correre.
Bisogna dunque approfittarne.
Per quanto mi riguarda, le feste comandate – Natale e Capodanno soprattutto, ma anche l’intero mese di agosto – costituiscono un momento per praticare un sano ozio.  Telefono per lo più muto, messaggi elettronici ridotti al lumicino. I rimorsi di coscienza per ‘non essere stato produttivo’ diventano evanescenti, grazie all’assunto incontrovertibile che “tanto siamo tutti in vacanza”.
E allora, finisce che mi siedo comunque alla scrivania, che accendo reiteratamente il computer, che eseguo meccanicamente le azioni che guidano la mia routine di tutto il resto dell’anno.
Ma poi, finisco per abbandonarmi lungo lungo sulla poltrona.
Non penso, penso, e infine rivolgo lo sguardo ai miei libri, senza però l’assillo di dover trovare tra quelle pagine qualcosa di specifico, connesso con il mio lavoro.
Ne prendo uno, di libro, finalmente solo per il piacere di sfogliarlo, magari era tantissimo che non riuscivo a farlo, così, libero.

Incontro d’amore. XVIII secolo. Già Collezione Bartholet.

Oggi, il caso ha voluto che scegliessi il lussuoso volume di Ferdinand M. Bertholet intitolato Gardens of Pleasure. Eroticism and the art in China, versione inglese di un libro pubblicato per la prima volta a Parigi nel 2003.
Si tratta di una miscela di testo e di bellissime immagini che riproducono alcuni dipinti cinesi di altissima qualità di tema erotico, databili tra la fine della dinastia Ming (1368-1644) e il XIX secolo.
Immagini spesso esplicite, nelle quali sono raffigurati amplessi di vario genere, anche se non mancano scene meno pruriginose, in cui gli artisti, per lo più anonimi, hanno concentrato la loro attenzione sugli aspetti più psicologici, romantici, del rapporto amoroso uomo-donna.
Composizioni spesso ambientate nel contesto di meravigliosi giardini in cui si aprono vedute di interni di padiglioni con sale arredate con gusto, a mettere in evidenza da un lato l’approccio dionisiaco di derivazione taoista e dall’altro quello apollineo di tradizione confuciana, per essere molto sintetici e pur usando termini appartenenti alla cultura europea.

Scena da “Il tappeto da preghiera di carne”, XVIII secolo. Già Collezione Bartholet.

Piccoli fogli d’album, formato che consentiva una maggiore riservatezza considerando l’argomento, spesso ispirati dai maggiori capolavori della letteratura cinese di tema erotico, tra cui si ricorda il celebre Jin ping mei (“Il pruno nel vaso d’oro”), pubblicato anche in Italia e magistralmente condensato da Magnus in quell’immensa sua opera a fumetto intitolata “Le 110 pillole”.
Ho letto con un certo interesse l’introduzione storica di Jacques Pimpaneau sull’evoluzione dell’arte cinese di tema erotico che apre il volume di Bertholet, ma mi sono soffermato con più entusiasmo sul più breve testo di quest’ultimo, nel quale egli racconta com’è iniziata la sua passione per questo aspetto della cultura artistica del Regno di Mezzo, in verità ritenuto piuttosto marginale sia dagli studiosi sia dai collezionisti fino a qualche decennio fa.
I dipinti riprodotti a piena pagina che compaiono nel libro sono infatti una selezione delle opere che formano la collezione dello stesso Bertholet, messa insieme nel corso di trent’anni di costante ricerca.

Scena di amplesso, XVIII secolo. Già Collezione Bertholet.

Olandese di nascita, artista egli stesso e col tempo votato anche al restauro, Bertholet ha iniziato a raccogliere opere d’arte cinese di tema erotico durante uno dei suoi primi soggiorni a Hong Kong. Da allora, scrive, tra le sue mani sono passate centinaia di oggetti, comprati, studiati e in alcuni casi venduti, per motivi di una progettualità che egli stesso spiega così:
“Collezionare è una questione di esperienza. La propria prospettiva si amplia e, lentamente, si comincia a esaminare le cose in un modo diverso. All’inizio, si commettono errori monumentali, ma sono questi che consentono di migliorare. Si può imparare solo a proprie spese. Con il tempo, collezionare diventa un’avventura, una ricerca che conduce ogni giorno a nuove scoperte”.

Scena di amplesso. XVIII secolo. Già Collezione Bertholet.

L’epilogo del suo testo è un auspicio. Egli infatti sperava che la sua collezione tanto amata un giorno potesse entrare a far parte delle raccolte di un museo, a beneficio dunque di chiunque nutrisse amore per l’arte.
Un desiderio che tuttavia, per motivi a me non noti, non si è evidentemente realizzato se un nucleo importante della sua collezione – tra cui molti dei dipinti illustrati nel volume del 2003 – è stato offerto in asta da Christie’s Hong Kong il 22 aprile 2022.
Poco male, tanto – come specificava ancora Bertholet – ognuno di noi è solo temporaneo custode dei manufatti di cui si circonda durante una vita.
Le opere d’arte, gli oggetti, servono a vari scopi, a lenire le ferite del quotidiano, a trasmettere gioia, a indurre alla riflessione.
Una volta che hanno assolto a questo fine per una persona, serviranno allo stesso scopo per un altro animo sensibile.
Menomale, direi.