In quel grandioso e straordinario ‘melting pot’ culturale che è la cosiddetta ‘regione Himalayana’ – racchiusa a ovest dal corso del fiume Indo, a est dal Brahmaputra, a nord dai confini settentrionali del Tibet e a sud da quelli dell’India – hanno convissuto per secoli numerose civiltà. Nonostante le moltissime affinità frutto di un’ininterrotta trasmissione di dati, ognuna di queste culture ha sempre mostrato specifiche caratteristiche che le hanno permesso di differenziarsi dalle altre.
Certamente la religione e la filosofia costituiscono l’aspetto che maggiormente accomuna le popolazioni di questi territori. In particolare, il Buddhismo, la grande dottrina di origini indiane, ha permeato per secoli la spiritualità dell’area Himalayana, ispirando la realizzazione di una grandissima quantità di opere d’arte e di architettura.
Tra le opere più esaltanti, frutto dell’ingegno e delle abilità tecniche degli artisti attivi in quei luoghi, vanno annoverate senza dubbio le sculture in metallo di tema buddhista. Praticamente tutte le culture che hanno abitato, e abitano tuttora, l’area Himalayana hanno prodotto icone tridimensionali in rame e in leghe metalliche a base di rame, come il bronzo e l’ottone. Nella stragrande maggioranza dei casi queste sculture, di dimensioni varie, sono state realizzate con il metodo della cera persa, ovvero producendo un modello della scultura in cera sostenuto da un’armatura in ferro, imbottito e rivestito rispettivamente di un nucleo e di un involucro in argilla. Attraverso dei fori preparati preliminarmente, nel fantoccio così creato viene introdotto il metallo fuso il quale scioglie il modello in cera e lo va a sostituire; una volta raffreddatosi, il nucleo e l’involucro in argilla vengono distrutti lasciando magicamente libera la statua in metallo. All’abilità dell’artista-artigiano era affidata la messa in opera dei dettagli decorativi: in gran parte questi erano già applicati sul modello in cera, anche se nei pezzi di maggior pregio si eseguivano particolari a cesello; sui modelli in cera si riservavano anche quelle cavità che, secondo i progetti, sarebbero state riempite con l’incastonatura e l’intarsio in materiali diversi (lo stesso rame, l’argento, pietre oppure vetri). Su molti pezzi si applicava una doratura (a mercurio oppure a freddo) o, in alternativa, una policromia dipinta.

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Il Buddha Śākyamuni. Kashmir, fine X-inizio XI secolo. The Cleveland Museum of Art.

Il Kashmir è una delle molte regioni dell’area Himalayana in cui si produssero icone buddhiste in metallo. L’amministrazione dei suoi territori, situati nell’estremo settentrione del continente indiano, è attualmente suddivisa tra le nazioni del Pakistan, dell’India e della Cina, ognuna delle quali periodicamente rivendica la sua sovranità. La lunga storia della civiltà del Kashmir ha dovuto da sempre fare i conti con l’arrivo di stranieri conquistatori: principale ragione di queste contese è stata la sua posizione strategica nell’ambito dell’Asia Centrale, punto di snodo e di passaggio tra la Cina e l’India lungo la direttrice nord-sud, tra la Persia e l’Asia sud-orientale nella trasversale ovest-est. Il Buddhismo e l’Induismo sono state le dottrine più diffuse in Kashmir fino almeno al XII secolo, allorché i Musulmani non presero possesso di questi territori, dominandoli ininterrottamente fino alla metà dell’Ottocento con l’arrivo dell’Impero Britannico. L’indipendenza dell’India nel 1947 ha significato la spartizione attuale dei territori, la quale è permanente motivo di contesa tra Pakistan e India.
La maggior parte delle opere d’arte buddhista realizzate in Kashmir risalgono perciò ai secoli precedenti l’invasione musulmana del XII secolo.
Solo pochissime sculture in metallo sono state ritrovate in Kashmir. Tuttavia, nella storia di questo territorio compilata da Kalhana nel XII secolo (v. M.A. Stein, Kalhana’s Rājataranginī, 2 voll., Delhi 1961) compaiono non pochi riferimenti ad una produzione bronzea di già alto livello tecnologico e artistico. Per questo, gli studiosi che si sono occupati di questo argomento hanno cercato confronti plausibili per le loro teorie nelle sculture in pietra che ornano i numerosi templi costruiti in zona. Gradualmente sono state delineate delle caratteristiche stilistiche che permettono l’attribuzione all’area del Kashmir di un certo numero di statuein metallo, alcune delle quali di qualità non comune, direi straordinaria.
Si veda ad esempio la spettacolare statua in rame raffigurante il Buddha Śākyamuni stante conservata presso il Cleveland Museum of Art. Alta ben 98 cm., di quest’opera così scriveva Pratapaditya Pal, già curatore della sezione Indiana del Los Angeles County Museum e autore di lavori seminali sulla scultura del Kashmir (tra cui Bronzes of Kashmir, Graz 1975): “It is not only the finest and the largest brass image to have emerged from the monasteries of Tibet but is also on of the most beautiful Buddha of the Indic tradition.” (Light of Asia. Buddha Sakyamuni in Asian Art, catalogo della mostra a cura di Pratapaditya Pal, Los Angeles 1984, pp. 230-231, n. 114).
Il riferimento di Pratapaditya Pal al Tibet non fu casuale. Nostante l’attribuzione ad un anonimo scultore del Kashmir, la statua riporta infatti sulla base un’iscrizione in sanscrito che fa riferimento a Nagaraja, che è stato intorno all’anno 1000 re di Guge, un territorio nella zona sud-ovest del Tibet, tra i più convinti sostenitori della diffusione del Buddhismo in Tibet. Moltissime sono state quindi le ipotesi avanzate per questa eccezionale scultura: che sia stata realizzata in Kashmir e poi trasferita in Tibet, dove fu apposta l’iscrizione; che sia stata modellata in Tibet da scultori provenienti dal Kashmir; che sia opera di artisti tibetani influenzati dall’arte del Kashmir. Solo più recentemente, grazie agli studi di Chandra L. Reedy (Himalayan Bronzes. Technology, Style, and Choices, Newark-Londra 1997, pp. 164-168, K76), l’analisi dei materiali e delle tecniche di fusione ha definitivamente assestato la sua origine in Kashmir, tra il X e l’XI secolo.

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Buddha. Ottone con intarsi di argento, h. cm. 40,6. Kashmir, VIII secolo. Los Angeles County Museum of Art.

L’opera si caratterizza per un’eleganza disarmante e per una finezza di lavorazione fuori dal comune. Si veda il movimento morbido e sensuale delle anche verso sinistra, bilanciato dalla lieve torsione a destra del torso; e il lieve panneggio della veste quasi trasparente che copre l’intera figura dalle caviglie alle scapole, a ricadere attillata anche sulle braccia. Il lungo manto, allacciato sulla parte superiore del petto, scende senza impaccio sul retro della figura, sul quale si dispone un semplice nimbo, la parte superiore del quale è ora mancante. La figura posa su una base a doppio fiore di loto, a sua volta sistemata su un piedistallo a sezione quadrata, sul davanti del quale è apposta l’iscrizione discussa più sopra. Il corpo è in perfetta armonia di proporzioni con l’ovale della testa: le tre ‘classiche’ pieghe del collo, i lobi delle orecchie allungati, la capigliatura riccioluta sormontata dall’ushnisha, l’urna tra gli occhi, il sorriso appena accennato, il naso ben delineato e i grandi occhi aperti, sono tutti elementi tipici dell’iconografia di Śākyamuni, il fondatore del Buddhismo, qui riuniti nelle più specifiche caratterizzazioni dell’arte del Kashmir. A rendere unica quest’opera, oltre al suo aspetto complessivo, contribuiscono alcuni dettagli suoi propri, che solo un artista molto ispirato poteva concepire e realizzare: la naturalezza con cui si muovono il braccio e la mano destra nel gesto della rassicurazione; la plasticità con cui la mano sinistra afferra un lembo della veste; la genialità nel permettere che le dita del piede destro fuoriescano dalla circonferenza del basamento a fiore di loto.

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Padmapani. Kashmir o Tibet Occidentale, XI-XII secolo. Christie’s New York, 13 settembre 2011, venduta per 98.500 $.

Tutte queste qualità rendono senza dubbio questa statua il capolavoro dell’arte scultorea del Kashmir, e una delle opere più belle di tema buddhista mai create nell’antichità.

La scultura del Cleveland Museum è senz’altro la mia preferita e forse la più bella, ma non è stata certo l’unica che è stata realizzata nei laboratori del Kashimir prima del XII secolo. Musei in tutto il mondo conservano esemplari di questa produzione, molti dei quali di qualità comparabile a quella del pezzo che ho scelto di descrivere in questa occasione.
Non è facile invece trovare sul mercato opere così importanti. Capita però, e quando sono proposte in asta, tali sculture ottengono sempre risultati di tutto rispetto. Come il pezzo con Padmapani attribuito a Kashmir o Tibet Occidentale nell’XI-XII secolo, venduto presso Christie’s New York il 13 settembre 2011 per 98.500 $.