Lo so, avrei dovuto andarci prima, e non certo a pochi giorni dalla chiusura, ma è andata così, imparerò per la prossima volta.
Mi riferisco alla mostra su Hokusai che è andata in scena dal 24 ottobre 2024 al 23 febbraio 2025 a Pisa, Palazzo Blu.
Capisco che ormai il “Vecchio pazzo per la pittura” smuova le masse, grazie soprattutto all’icona universale della “Grande Onda”, che un po’ tutti conosciamo, appassionati e non di arte giapponese. Organizzare una mostra dedicata a questo gigante mondiale dell’arte figurativa è dunque una certezza di successo di botteghino, e mi sembra di aver letto da qualche parte (o sentito in televisione) che l’evento di Pisa non abbia tradito le aspettative, con un numero davvero cospicuo di spettatori.
Va da sé che chi sia scelto per la cura di una mostra di questo tipo debba immaginare grandi flussi di pubblico.
Sembra tuttavia che gli organizzatori di questa esposizione pisana, e non da ultimo (anzi) la curatrice, abbiano allestito gli spazi a disposizione del palazzo senza tener conto alcuno della gestione di un tale numero di visitatori.
Non voglio polemizzare sul tempo di attesa per acquistare il biglietto (circa un’ora): ripeto, potevo aspettarmi che gli ultimi giorni disponibili sarebbero stati i più affollati.
Ma non posso tacere sulla scelta sconsiderata di esporre le quarantasei stampe della celeberrima serie delle “Trentasei Vedute del Monte Fuji” (in realtà, i fogli esposti erano anche di più, considerando l’inserimento di diverse versioni di uno stesso foglio) in pratica all’inizio del percorso, in una stanzetta di dimensioni esigue. Non solo, dunque, le opere erano l’una vicinissima all’altra, una scelta che impediva il godimento dei singoli fogli, ma lo spazio disponibile per i visitatori era davvero esiguo. In pratica, in molti casi, stanco di tale bolgia, ho finito per dare solo una rapida occhiata a certe stampe, a volte alzandomi sulla punta delle dita dei piedi oltre le teste di tre o quattro altri visitatori davanti a me.
Eppure, sarebbe bastato soffermarsi sull’eventualità concreta che in tanti avrebbero voluto vivere quell’esperienza di bellezza, opportunità acquisita per diritto avendo pagato un biglietto d’ingresso.
La curatrice non aveva forse visitato gli spazi disponibili, prima di immaginare un percorso? Eppure, al secondo piano erano disponibili ambienti molto più ampi e quindi più adatti a ospitare il capolavoro più ammirato di Hokusai. Se avesse riflettuto per tempo, avrebbe potuto isolare la “Grande Onda”, come una novella Monna Lisa, evitando inoltre di mettere fianco a fianco opere pulite e restaurate (in certi casi, a mio parere, troppo pulite, con risultato di fuorviante effetto sbiancatura) a altri fogli della serie invece drasticamente consunti, dai colori spenti se non svaniti del tutto oltre una cortina di sporco tenace.
Ella ha invece scelto di alimentare la bolgia dabbasso, e dedicare il piano superiore all’esposizione di quei biglietti augurali (surimono) di Hokusai e dei suoi migliori allievi. Per carità, opere raffinatissime queste ultime, poco viste, un po’ ostiche per un pubblico generalista se non si spieghino i sofisticati rimandi simbolici sui quali si costruiscono tali raffinatissime composizioni.
Non ho preso il catalogo, come ho sempre fatto in mostre di questo tipo, poiché – dopo averlo sfogliato al bookshop – non ho visto interventi di particolare novità, ad esempio un saggio specifico proprio sui surimono, le cui schede si limitavano alla didascalia senza fornire ulteriori spunti di riflessione e conoscenza.
Sono fermamente convinto che organizzare una mostra d’arte sia prima di tutto mettere in piedi uno spettacolino che possa allietare per un certo tempo il visitatore.
A giudicare dalla sfilza di recensioni negative che spopolano sul web in questi giorni, gli organizzatori e la curatrice della mostra Hokusai a Pisa hanno in questa occasione fallito.
D’altronde, per immaginare una mostra non basta bussare alle porte di solide istituzioni museali (in questo caso il Chiossone di Genova e il Museo d’Arte Orientale di Venezia), troppo facile.
Prima di tutto, è indispensabile invece entrare in simbiosi con il pubblico che la visiterà, assicurando a tutti gli spettatori quella serenità alla quale ambisce questo tipo di svago culturale.