Nell’autunno del 2011 vissi per un paio di mesi in Giappone.
Di base ero a Sakura, dove si trova il National Museum of Japanese History (Rekihaku), del quale ero ospite. Lavoravo essenzialmente in museo, ma nei fine settimana ero libero, e potei quindi non solo esplorare i dintorni ma anche recarmi qualche volta a Tokyo, che raggiungevo agevolmente con un’ora di treno.
In una di quelle escursioni visitai una mostra che si teneva presso l’Idemitsu Museum of Arts, intitolata Hasegawa Tōhaku and the Kanō School (29 ottobre – 18 dicembre).
Tra le tante opere esposte, a esemplificare uno dei momenti più esaltanti nell’intera storia dell’arte giapponese, la coppia di grandi paraventi con Tigri e bambù di Hasegawa Tōhaku (1539-1610) mi regalò un’emozione piuttosto forte, che tuttora serbo con particolare piacere.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Paravento con Tigre e bambù. Inchiostro su carta. Tokyo, Idemitsu Museum of Arts.

Più di tutto mi impressionò il modo in cui l’artista aveva utilizzato lo spazio a sua disposizione. Su ognuno dei due paraventi è raffigurata una sola tigre, delle dimensioni praticamente analoghe a quelle di un felino reale. L’ambientazione è scarna, così che grande enfasi è dedicata alla superficie vuota della carta, secondo un canone estetico che è cifra specifica di una parte consistente dell’arte giapponese, e dell’opera dello stesso Hasegawa Tōhaku. Solo qualche fusto di bambù contende la scena all’animale, non raffigurato per l’intera sua altezza, assecondando così una scelta prospettica ostentatamente frontale, senza alcun utilizzo di artifici illusionistici per tentare di allargare lo spettro visivo.
Questa coppia di potenti paraventi fu scelta dagli organizzatori come emblema della mostra, non solo per la sua indiscutibile bellezza ma anche per spiegare al pubblico il clima non certo disteso che si respirava nell’ambiente artistico di Kyoto tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Paravento con Tigre e bambù. Inchiostro su carta. Tokyo, Idemitsu Museum of Arts.

I due pannelli sulla sinistra del paravento di sinistra, utilizzati sostanzialmente per ospitare il rado boschetto di bambù, raccontano infatti una storia che non si può dire proprio ‘trasparente’. Essi furono infatti realizzati da Kanō Tanyū (1602-1674) in sostituzione dei due originali perduti di Tōhaku, e sua è anche l’iscrizione che vi compare, nella quale l’artista del XVII secolo attribuisce l’intera opera a Tenshō Shūbun (1414-1463), uno dei pionieri della pittura giapponese a inchiostro (sumi-e).
L’opinione più diffusa è che Tanyū non abbia commesso semplicemente un errore di attribuzione, ma che la sua sia stata una scelta intenzionale per sottrarre al catalogo di Tōhaku un indiscusso capolavoro. Tanyū in questo caso ha fatto esclusivamente gli interessi della Scuola Kanō, alla quale apparteneva.
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, all’epoca in cui Hasegawa Tōhaku fu attivo, il milieu artistico giapponese era sostanzialmente dominato dagli esponenti della Scuola Kanō. Fondata da Masanobu (1434-1530), i suoi membri ottennero sempre più successo tra i maggiori committenti dell’epoca, soprattutto tra la fine dell’epoca Muromachi (1333-1573) e il periodo Momoyama (1573-1603), quando l’arcipelago era sconvolto da una grave instabilità politica e sociale. Il potere era allora conteso da potentissimi signori della guerra quali Oda Nobunaga (1534-1582), Toyotomi Hideyoshi (1536-1598) e Tokugawa Ieyasu (1543-1616) i quali, nonostante la complicata situazione, gareggiavano nell’acquisizione di opere d’arte con cui arredare le loro grandi e sontuose residenze. L’artista più conteso era senz’altro Kanō Eitoku (1543-1590), uno dei più influenti artisti nell’intera storia dell’arte giapponese.
Va da sé che l’irruzione di Tōhaku non fu vista di buon occhio né dai suoi contemporanei né dai successivi membri della Scuola Kanō, ed in questo contesto si deve collocare l’arbitraria attribuzione di Tanyū.

Nato a Nanao nella penisola di Noto (attuale prefettura di Ishikawa), fino a quel momento Tōhaku si era dedicato prevalentemente alla pittura di ambito buddhista, producendo icone e ritratti caratterizzati da una certa originalità, pur conservando tratti formali piuttosto ancorati alla tradizione. A quel tempo si faceva chiamare Nobuharu. Nonostante operasse in un ambito provinciale, aveva grandi ambizioni e fiducia nel proprio talento se – diversamente da quanto era accaduto fino ad allora agli artisti specializzati nei temi sacri – prese fin da subito a firmare le sue icone.
Intorno al 1571-72 Nobuharu si trasferì a Kyoto. Non si hanno purtroppo notizie circostanziate sulla sua biografia, ma è sicuro che ad un certo punto della sua carriera – sicuramente prima del 1589 – decidesse di cambiare il suo nome in Tōhaku, secondo una pratica tutt’altro che rara tra gli artisti nipponici. Si sono tramandati alcuni episodi che lo riguardano, dai quali emerge una figura piuttosto eccentrica, non scontata, dotata inoltre di grande umanità.
Nella capitale Tōhaku iniziò a studiare proprio all’interno della Scuola Kanō. Tuttavia, col trascorrere degli anni, egli sviluppò modi suoi specifici finché fu pronto per abbandonare la Scuola e aprire un suo atelier, in contemporanea con la dipartita di Eitoku nel 1590. Cominciò da allora a ricevere commissioni prestigiose non solo da parte degli aristocratici ma anche dai numerosi templi buddhisti che punteggiano la città di Kyoto.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Fusuma con Albero d’acero, 1593. Inchiostro, colori e foglia d’oro su carta. Kyoto, Chishaku-in.

Tra le opere realizzate per l’ambito religioso, non si può non ricordare la decorazione per pareti scorrevoli (fusuma) in origine destinata al tempio Shōun-ji  (1593), in un ambiente consacrato alla memoria del giovane figlio di Hideyoshi, il condottiero che per primo aveva apprezzato l’indiscutibile talento dell’emergente Tōhaku. I quattro pannelli – Tesoro Nazionale – si trovano ora nel Chisaku-in, un altro tempio di Kyoto, e raffigurano una strepitosa composizione in cui domina incontrastata la sezione di un robusto albero di acero, intorno al quale si dispongono fiori ed erbe tipici dell’autunno.
La scena si svolge su un abbagliante fondo a foglia d’oro. Questa tecnica caratterizza prevalentemente la pittura di ambito profano, e solo in rari casi è stata usata per contesti sacri. Evidentemente Tōhaku era infine riuscito a concepire una pittura trasversale, che travalicasse i paradigmi fino ad allora prevalenti, più libera dalle convenzioni, pura espressione di un’ispirazione alta e universale.
Questo dipinto del Chishaku-in esemplifica dunque l’abilità di Tōhaku nel destreggiarsi con tecniche e stili diversi, e la sua audacia nell’introdurre all’interno di un tempio un tipo di pittura che soprattutto gli artisti della Scuola Kanō avevano contemporaneamente riservato prevalentemente alla decorazione palaziale.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Paravento con Pini nella bruma. Inchiostro su carta. Tokyo National Museum.

Per meglio comprendere lo straordinario eclettismo di Tōhaku, sarà sufficiente mettere a confronto i pannelli del Chisaku-in con l’opera che più identifica questo artista, ovvero la meravigliosa coppia di paraventi con Pini nella bruma conservata presso il Museo Nazionale di Tokyo, Tesoro Nazionale del Giappone e icona molto nota della pittura nipponica.
Al contrario dell’ostentata esuberanza cromatica dei fusuma nel tempio, questi paraventi si caratterizzano per una composizione semplicissima, quasi minimalista, con alcuni maestosi alberi di pino delineati a solo inchiostro, più denso in primo piano e sempre più sfumato via via che ci si addentra nella profondità della scena. L’artista non ha rappresentato la bruma, e tuttavia lo spettatore la percepisce chiaramente, eterea eppure consistente nella sua inequivocabile realtà.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Paravento con Pini nella bruma. Inchiostro su carta. Tokyo National Museum.

Proprio in questa predilezione per gli effetti evocativi risiede la grandezza di questo dipinto, con il quale si rinverdiscono i fasti della pittura monocroma cinese di epoca Song (960-1268). Tōhaku aveva avuto la grande occasione di studiare le opere di quei grandi maestri a Kyoto, allorché fu ammesso nel Daitoku-ji, uno dei più importanti templi del Buddhismo Zen della capitale, grazie probabilmente all’amicizia che lo legava a Sen no Rikyū (1522-1591), fine intellettuale ed esteta, tra i più celebrati uomini di cultura del tempo. Lo spirito e le atmosfere delle opere di Muqi (1210-1275), esemplificate al meglio dal celebre trittico con Kannon, scimmia e gru conservato proprio nel Daitoku-ji, si percepiscono chiaramente nei due paraventi con Pini nella bruma di Tōhaku.
Tuttavia, nella pittura a solo inchiostro, il modello al quale Tōhaku fece sempre espresso riferimento fu Sesshū Tōyō (1420-1506), vero protagonista della riscoperta della pittura cinese antica in Giappone durante il periodo Muromachi. La profonda conoscenza dell’opera di Sesshū avvenne per Tōhaku sia per visione diretta dei dipinti del Maestro, sia per aver frequentato lo studio di Tōshun, uno degli allievi di quell’artista. Tale fu l’ammirazione per Tōyō che a questo artista si ispirò Tōhaku per la scelta di quest’ultimo suo nome: il carattere Tō di Tōhaku è infatti lo stesso con cui inizia Tōyō. Per molti anni, e fino alla morte, Tōhaku affermò pubblicamente di essere il legittimo erede di Tōyō finché non dovette rinunciare a questo privilegio dopo aver perso una causa legale con Unkoku Tōgan (1547-1618), altro valente artista del tempo e rivale dichiarato di Tōhaku.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Paravento con Corvi e pino. Inchiostro su carta. Tokyo, Idemitsu Museum of Arts.

La coppia di paraventi con Corvi e pino e Aironi e salice, ancora nell’Idemitsu Museum of Arts di Tokyo, chiarisce al meglio la vicinanza nello stile e nella concezione pittorica tra Tōhaku e Sesshū, soprattutto se si mette a confronto con opere note di quest’ultimo, tra cui la ben nota coppia di paraventi conserva presso la Freer Gallery of Art di Washington. Analogie chiaramente percepite anche nel passato se è potuto accadere che sui due paraventi di Tōhaku appena citati il suo sigillo sia stato ad un certo punto grattato via e sostituito con quello di Sesshū. Un destino quindi per certi versi analogo a quello toccato ai due paraventi con Tigri e bambù di cui si è detto più sopra anche se, in questo caso, questo camuffamento è forse avvenuto allo scopo di inserire un’altra opera nell’esiguo, e prestigioso, catalogo del pittore più anziano, e non per sminuire la qualità dell’arte di Tōhaku che anzi, probabilmente, sarebbe stato fiero di essere paragonato, e financo scambiato, con il suo modello.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Paravento con Aironi e salice. Inchiostro su carta. Tokyo, Idemitsu Museum of Arts.

Oltre a quella che ho visitato personalmente, in questi ultimi anni sono state organizzate diverse mostre sulla vita e le opere di Tōhaku, prima fra tutte quella inaugurata nel 2010 presso il Tokyo National Museum, una grande retrospettiva in occasione del quattrocentesimo anniversario dalla morte dell’artista.
Per anni ancora più recenti non si può non ricordare la piccola ma significativa esposizione – intitolata A Giant Leap. The Transformation of Hasegawa Tōhaku – organizzata a New York dalla Japan Society (9 marzo – 6 maggio 2018), per cura di Masatomo Kawai e Miyeko Murase (si, proprio lei: i suoi libri, tradotti da tempo in italiano, sono utilizzati da molte università come manuali sull’arte giapponese).
L’occasione era succulenta poiché mai prima di allora si erano viste tante opere insieme di Tōhaku al di fuori del Giappone. I paraventi con Pini nella bruma e i fusuma del Chisaku-in sono ovviamente inamovibili, ma fortunatamente alcune istituzioni museali giapponesi hanno acconsentito al prestito di altre opere di Tōhaku.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610), Paravento con Fiori e uccelli in primavera e in estate, 1580 circa. Inchiostro, colori e foglia d’oro su carta. New York, Collezione privata.

Punto di partenza di questa esposizione era tuttavia un paravento con Fiori e uccelli dell’estate e della primavera conservato in una collezione privata americana, caratterizzato dall’uso di una ricca policromia su fondo di foglia d’oro. Datato agli anni ottanta del Cinquecento, questo paravento è da molti studiosi attribuito a Nobuharu, ovvero a Tōhaku prima che assumesse quest’ultimo nome: a lui infatti si deve l’invenzione di raffigurare il pino insieme a rami cadenti e fioriti di glicine.
Quest’opera si può dunque considerare un anello di congiunzione tra due fasi vitali nella carriera di Tōhaku, nel passaggio cruciale tra la predilezione per i soggetti sacri e la successiva dedizione ai temi secolari. Un momento in cui, a differenza di quanto sarebbe prevalentemente accaduto in seguito, lo sfavillio dell’oro e della policromia ancora guidava l’evoluzione stilistica di questo gigante dell’arte giapponese.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610) (attribuito), Paravento con Pini nella bruna alla luce della luna. Inchiostro su carta. Christie’s 2007.

Considerando che gran parte delle opere certe di Hasegawa Tōhaku è attualmente conservata in quei templi buddhisti per i quali erano state concepite in origine, si può ben immaginare quanto poche siano stati dipinti passati per il mercato.
E’ stato quindi un evento piuttosto eccezionale l’offerta nel 2007 (20 marzo, lot 87) da parte di Christie’s New York di una coppia di paraventi a sei ante a lui attribuiti. Si tratta di una composizione molto vicina a quella dei Pini nella bruma, non solo per la disposizione degli elementi ma anche per l’utilizzo prevalente dell’inchiostro monocromo. Pubblicati ed esposti in più occasioni, questi due paraventi sono stati realizzati negli anni finali della carriera di Tōhaku. E’ noto che nel 1604 il Maestro si infortunasse alla mano destra, non potendo così più collaborare con la stessa intensità con i discepoli attivi nella sua bottega, tra i quali Hasegawa Sotaku (?-1611) e Hasegawa Tōshu (?-1613). Si è ipotizzato dunque che questi due paraventi siano opera di uno di questi allievi con la supervisione di Tōhaku.
Pur non avendo quella forza che caratterizza l’indiscusso capolavoro di Tōhaku nel Museo di Tokyo, i due dipinti sono stati venduti alla bella cifra di $ 880.000 esclusi i diritti d’asta.

Hasegawa Tōhaku (1539-1610) (attribuito), Paravento con Pini nella bruna alla luce della luna. Inchiostro su carta. Christie’s 2007.