Milano, ieri, ore 17 circa.

A: “E’ tardi, il treno parte alle sei e un quarto, e non hai ancora il biglietto, devi andare in stazione.”
B: “Ma no… ce la faccio, con la metropolitana farò in un baleno, poche fermate… conosco a menadito il tragitto, mi servono pochi minuti…”
A: “Finirai per fare tardi, non avrai il tempo di scegliere, spenderai un mare di soldi e quando tornerai a Firenze tua moglie ti farà una ramanzina memorabile, perché hai perso il treno perché sei uno scialacquatore perché a casa non c’è più spazio e quello che c’era l’hai monopolizzato tutto te.”
B: “Ma no…tanto, che vuoi che sia uscito di nuovo, solo un’occhiata per rispetto a quella che è ormai una consuetudine quando sono a Milano (ndr: solo a Milano?!?), perché non ho alcuna intenzione di spendere perché, prima di comprarne altri, devo mettere in ordine quelli che ho, alcuni dei quali l’ho comprati ‘a scatola chiusa’ e ancora non ho avuto tempo neanche di aprirli…”.

Kitagawa Utamaro, Foglio dall'Utamakura, 1788

A e B, naturalmente, sono la stessa persona, ovvero me medesimo, alcuni minuti prima che facessi il mio ingresso nella libreria Hoepli (non linko volutamente al sito), a due passi dal Duomo a Milano. Di corsa, mezzo sudato nonostante l’aria frizzante, contento: schiacciati, fatti a polpetta, i rimorsi di A, mi sono abbandonato tra le suadenti e persuasive spiegazioni di B. Salito al secondo piano, ho rallentato il mio battito cardiaco come un Immortale taoista, così quelli che in realtà sarebbero stati cinque minuti di follia, si sono trasformati in un tempo lunghissimo, infinito, un presente senza passato e senza futuro.
Quando sono uscito in strada, ripeto, dopo non più di cinque, dico cinque, minuti, avevo le tasche vuote, una sporta enorme e pesantissima da scarrozzarmi per strade e fermate metropolitane con relativi cambi di linea, un biglietto di treno da fare in una stazione sicuramente affollata, eppure mi sentivo felice, leggerissimo, quasi magro come, credo, possa sentirsi un monaco Zen che sia riuscito a sperimentare un’esperienza transeunte di Vuoto assoluto; un istante di puro satori che libera in un attimo dal peso di giorni, mesi, anni di sofferenze e privazioni (basta, sto cominciando a esagerare…).
Salito in treno, l’effetto lisergico dell’esperienza che vi ho raccontato è andato pian piano scemando. A quel punto mi sono detto: “beh, ora vediamo che ho comprato” e, contemporaneamente, tra barlumi di razionalità ritrovata, ho pensato” Chissà se anche i libri rientrano tra quelle masserizie che possono provocare comportamenti patologici bulimici, considerando che per qualcuno, per molti, forse per i più, il mio è stato nient’altro che un attacco di shopping compulsivo”, piuttosto che Amore incondizionato per la carta rilegata, così come affermerebbe B, e sicuramente anche A.
Devo dire, tuttavia, che dopo anni e anni di libro-dipendenza, ho modestamente raggiunto un grado di sofisticatezza tale che, già a caldo, esaminando i frettolosi acquisti di ieri, non ho potuto far altro che complimentarmi con me stesso per le scelte. Prima di tutto perché, per lo meno, come ho potuto constatare con sollievo una volta tornato a casa, non ho ripreso libri che già avevo (…).
Riflettendo in ore notturne sull’acquisto di ieri, ho avuto lo spunto per scrivere questo testo che state leggendo. Dei sei volumi presi nel corso del raptus milanese, ben tre analizzano uno stesso tema, a me molto caro. Tre novità, pubblicate in questi ultimi mesi del 2010, riguardanti le shunga, la “pittura della primavera”, ovvero quei dipinti e quelle stampe giapponesi di tema erotico realizzati per lo più nel periodo Edo (1615-1868).
Dopo aver assicurato me stesso sul fatto che la mia insonnia di stanotte non ha alcuna relazione con il tema erotico, almeno non con quello artistico e giapponese antico, il mio pensiero è andato ad una chiacchierata che ebbi con quella sorta di ‘cavaliere oscuro’ che ha promosso e ideato graficamente, e che tuttora gestisce tecnicamente, il sito Orientart, sul quale è talora comparso con il fantomatico pseudonimo di “Admin”. Poiché Esso (Esso come entità, per nulla astratta in verità) di tanto in tanto controlla l’andamento del sito, ovvero il numero delle visite e affari simili, mi fece notare che forse l’articolo più visitato tra quelli che ho scritto è proprio quello riguardante la mostra di shunga che si tenne a Milano qualche mese fa. Poiché Esso è sì persona colta e sensibile alle cose dell’arte, ma è anche persona pragmatica, oltre che profondo conoscitore del web e delle sue meccaniche, mi spiegò che questa constatazione aveva spiegazioni semplici e automatiche. La rete, ritrovo dell’umanità più variegata, accoglie ricerche di ogni tipo. E’ notorio che tra le parole più ‘clickate’ vi siano quelle attinenti alla sfera sessuale. Quindi, ahime…, in alcuni (spero pochi) si erano ritrovati su Orientart casualmente, ricercando sui motori di ricerca proprio termini riguardanti la sessualità giapponese. Chissà in quanti tra questi – cercando qualcosa di più forte – siano poi riusciti a superare il momento di delusione, provando a leggere l’articolo sulle shunga in quanto fenomeno artistico e non come groviglio policromo di carni. Tuttavia, seppur scherzando (naturalmente allora citammo più volte il noto aforisma “Tira più…etc.”, ma, per carità, solo per capirci meglio), Esso mi disse che non sarebbe stato male pubblicare sul sito qualcos’altro che riguardasse le shunga così che, in ogni caso, sarebbe stato assicurato un alto numero di visite, condizione molto utile per la crescita di Orientart.
Restio allora, l’acquisto di ieri ha fatto si che non potessi non dedicare la mia attenzione ancora una volta alle shunga. Così Esso potrà avere la conferma per le sue ipotesi ‘di mercato’, io scrivo dei miei amati libri e condivido con alcuni lettori la passione per questo argomento dell’arte giapponese, Orientart riceverà visite di naviganti in cerca di emozioni forti.
Qui di seguito voglio analizzare, brevemente, non solo i tre testi che ieri ho acquistato a Milano, ma anche alcuni altri che sono stati pubblicati in tempi recenti sull’argomento shunga. Prima di questo coinciso elenco con didascalie, mi sarebbe molto piaciuto poter dare una spiegazione per questa improvvisa prolificazione di libri illustrati sull’arte erotica giapponese. Tuttavia, la verità è che non riesco, in questo momento, a trovare delle valide risposte al quesito. Non vorrei d’altronde sembrare cinico e volgare, insinuando che le rispettabilissime case editrici che hanno inserito nel loro catalogo questi nuovi titoli lo abbiano fatto solo pensando di poter attrarre pubblico, e soprattutto acquirenti, puntando su un tema così esplicitamente scabroso, di sicuro successo. Tuttavia, se anche così fosse, gli appassionati e gli studiosi di questo affascinante argomento potranno comunque beneficiare dell’arrivo di maggiori notizie, in alcuni casi inedite, oltre a poter ampliare il proprio archivio di immagini shunga.

Francesco Morena, Erotismo giapponese. I piaceri segreti, Firenze 2009.
Non è modestia, la mia, né ipocrita né sincera. E’ che non sono abituato a commentare quello che scrivo, soprattutto perché spero che qualcun’altro lo faccia al mio posto. In questo caso, però, non posso farne a meno. Pubblicato per la casa editrice Giunti, rappresenta il frutto di quegli studi e di quelle ricerche bibliografiche che sulle shunga ho condotto per diverso tempo. Le numerose immagini che illustrano il volumetto – dal formato originale, divertente anche per il fiocchetto in tessuto che lo chiude – non rappresentano una particolare collezione, ma servono ad offrire un quadro esaustivo sull’argomento. La Giunti fa questo tipo di pubblicazioni, che siano agili, introduttive, per un pubblico quanto più ampio possibile. D’altronde il prezzo con il quale questo testo è offerto, è davvero alla portata di molti, senz’altro il più economico tra i libri sulle shunga commercializzati in Italia.
Timon Screech, Sex and the Floating World, Londra 2009.
Questo è davvero un classico. Pubblicato dalla Reaktion Books per la prima volta nel 1999, l’edizione del 2009 (con nuova introduzione e bibliografia aggiornata) è stata stampata, come si dice, “a grande richiesta”, considerando il grande successo che questo testo ha avuto fin dalla sua prima uscita. Moltissime sono le interessanti notizie che si possono trovare tra le righe di questo libro, al quale purtroppo manca un adeguato compendio illustrativo (le immagini, seppur numerose, sono piccole e rigorosamente in bianco e nero). Tuttavia, lo scopo di questo volume scientifico è quello di analizzare, soprattutto dal punto di vista sociologico, il tema della sessualità in Giappone, non quello di  fornire un mero repertorio di immagini. L’ipotesi, d’altronde condivisibilissima, di Screech è che le shunga abbiano avuto come scopo principale quello di stimolare l’eccitazione dello spettatore che desiderava masturbarsi. L’autore quindi tende, con criterio, a smontare tutte quelle ipotesi in molti casi bizzarre che nel passato si erano fatte a proposito dello scopo di tali immagini erotiche, riportando quest’ultime nell’ambito della soddisfazione delle pulsioni sessuali.
Shunga. Arte ed Eros nel Giappone del periodo Edo, Milano 2009.
Di questo catalogo di mostra ho abbondantemente scritto, e a quelle riflessioni rimando per chi volesse saperne di più. Qui posso solo aggiungere che l’editore Mazzotta ha prodotto un buon libro, con belle immagini e testi esaustivi, di carattere generale. Tra gli autori non si può non citare Marco Fagioli che, a buon diritto, si può considerare come uno dei pionieri nello studio delle shunga, riconosciuto internazionalmente e autore di alcuni volumi su questo argomento, fin dagli anni Settanta del Novecento.
Rosina Buckland, Shunga. Erotic Art in Japan, Londra 2010.
Che il British Museum avesse una collezione di shunga nessuno poteva metterlo in dubbio. Che la qualità delle shunga del museo britannico fosse adeguata al rango di quella istituzione, si poteva immaginare. Editato ‘in casa’, ovvero dalla British Museum Press (quale museo italiano ha una casa editrice propria? vale la pena, sempre e comunque, affidarsi ad aziende esterne? come camperebbero molte di queste case editrici italiane se non usufruissero di questi incarichi istituzionali?), quello della Buckland è un volume elegante ma allo stesso tempo manegevolissimo e di facile consultazione. La suddivisione in capitoli brevi aiuta il lettore che voglia concentrarsi su un aspetto particolare di questo vasto argomento che si presta a diversissime interpretazioni, arte, estetica, antropologia, sociologia, costume, etc.
Gian Carlo Calza, Il canto del guanciale e altre storie di Utamaro, Hokusai, Kuniyoshi e altri artisti del mondo fluttuante, Londra 2010.
Pubblicato in lingua italiana dalla londinese Phaidon, con la quale Gian Carlo Calza ha rapporto privilegiato, avendo con loro già pubblicato alcuni dei suoi volumi sull’arte giapponese, questo è senz’altro il più elegante tra i volumi sulle shunga che in questa sede ho selezionato. Il repertorio di immagini è notevole, mentre il testo è ridotto alle informazioni essenziali sugli artisti e le loro opere più rappresentative. Come regalo, per natale, sono sicuro, avrà un grande successo.
Secret Images. Picasso and the Japanese Erotic Print, Londra 2010.
Versione inglese e in lingua inglese del catalogo in spagnolo che nel 2009 ha accompagnato l’omonima esposizione tenutasi presso il Museo Picasso di Barcellona. Questo è senz’altro il più interessante tra i numerosi volumi sulle shunga pubblicati di recente. Che Picasso sia stato un genio lo sappiamo tutti: è la storia del Novecento, non solo quella artistica. Immaginavo che avesse una passione anche, tra le tante, per l’arte giapponese, tuttavia, onestamente, non sapevo che collezionasse shunga, alle quali si ispirò per un certo numero di sue opere. Però, non ne sono sopreso. La mostra di Barcellona evidenzia dunque questo legame tra Picasso e l’arte erotica giapponese, mettendo a confronto, con comparazioni molto convincenti, alcune stampe giapponesi erotiche con opere del Maestro catalano. Tra le shunga esposte un paio di decine facevano parte proprio della collezione privata di Picasso che, si legge tra i saggi del catalogo, ne possedeva almeno una sessantina. Imperdibile per chi, come me, sia interessato ad approfondire le influenze dell’arte estremo-orientale sugli artisti occidentali.

Un dipinto cinese di tarda epoca Ming (1368-1644)

Un’ultima riflessione. Mi sono chiesto come mai, al contrario di quanto accade per le shunga, l’arte erotica cinese non abbia ancora trovato spazio adeguato nell’editoria di questi ultimissimi tempi, considerando l’interesse che la Cina e e le sue manifestazioni culturali provocano di recente, in tutto il mondo e anche in Italia. Certo la pittura e le stampe erotiche giapponesi hanno una forza stilistica, una carica sensuale e una capacità di imporsi allo spettatore che in verità mancano alle produzioni cinesi di analogo tema. Tuttavia, anche nel grande Impero di Mezzo, e soprattutto nel XVI-XVII secolo, si realizzarono opere grafiche di esplicito tema erotico di grande bellezza e suggestione, sulla scia del successo della pubblicazione di capolavori letterari come, ad esempio, il celebre Jin Ping Mei. Negli anni passati non sono certo mancati studi su questo argomento, a partire dal granitico Sexual Life in Ancient China di R.H. Van Gulik (Leida 1961), al quale sono seguiti altri testi che permettono di approfondire l’argomento. Se avessi dovuto scommettere, avrei dunque ipotizzato che, erotismo per erotismo, gli editori avrebbero dato maggiore spazio a quello cinese piuttosto che a quello giapponese. Per ora questo non è accaduto, ma sono sicuro che nei prossimi anni non poche saranno le pubblicazioni sull’arte erotica cinese.
Da parte mia, mi riprometto di dedicare una delle prossime riflessioni su Orientart all’arte erotica cinese, già sapendo che il numero dei visitatori potrebbe essere destinato ad aumentare, con mia grande soddisfazione!