Per gli occidentali nulla è più prezioso dell’oro. Le intere economie degli stati si fondano sul possesso di ingenti quantità di questo minerale, oggi come nel passato. Inoltre, al di là dei cambiamenti del gusto, che sia giallo, anticato oppure bianco, i monili d’oro rimangono i prediletti, soprattutto tra le signore, segno di distinzione e di benessere, emblema di eternità (vedi le fedi che si scambiano ancora oggi marito e moglie), sicuro investimento per il futuro: l’oro non deperisce e il suo valore, a parte minime flessioni, rimane alto.
Le donne cinesi, ma anche gli uomini, non amano tradizionalmente l’oro come gli occidentali, e non è così diffusa l’abitudine di indossare un anello oppure una collana realizzata col metallo che fu delizia e croce di Mida. E’ molto più probabile invece che al collo di una dama cinese possiate scorgere un pendente di giada; così come non è impossibile che il signore cinese con la mano in tasca stia strofinando un amuleto di quello stesso materiale.
La giada sta infatti alla cultura cinese come l’oro sta a quella occidentale. Sin da tempi antichissimi, infatti, questa pietra – che si presenta in natura in infinite varietà di colore – era considerata dai cinesi come un materiale di particolare pregio, al quali si associavano virtù che esulano dagli ambiti della venalità e del mero profitto economico. Per questo, già a partire dal periodo neolitico era invalso l’uso di interrare nelle tombe dei personaggi più altolocati manufatti in giada che nella forma evocassero complessi principii inerenti la vita e la morte, il cielo e la terra. Altro non sono, ad esempio, il disco bi e il cilindro cong, il primo un semplice disco con un foro al centro emblema del cielo e del paradiso, il
secondo un parallelepipedo con un incavo circolare all’interno a simboleggiare la dualità cielo-terra, e i molti tipi di lama che avevano solo funzioni rituali.
Secoli dopo, fu Confucio a sintetizzare quali fossero le qualità di questa pietra, ovvero la levigatezza, la durezza e la traslucidità, doti naturali che egli metteva in relazione con quelle virtù (impermeabilità alla corruzione, fermezza di opinioni e trasparenza di spirito) che ogni gentiluomo avrebbe dovuto coltivare. Col periodo degli Han (206 a.C.-220 d.C.) si estinse anche l’uso di tumulare oggetti di giada.
La pietra, che già allora era la più apprezzata, fu allora utilizzata per la realizzazione di manufatti che non avevano relazione con l’ambito del rituale. Si intagliavano soprattutto ninnoli di vario genere e contenitori, che continuavano ad attrarre l’interesse di nobili e intenditori, i quali riuscivano a distinguere quale materiale fosse più pregiato rispetto agli altri, per intensità del colore e varietà delle sfumature naturali. Giada, si è detto, è un termine che identifica infatti un numero molto grande di pietre tutte caratterizzate però da estrema durezza, una qualità che se da un lato permette un’estrema precisione nell’intaglio, dall’altro comporta una certa difficoltà nella lavorazione che era affidata ad artigiani altamente specializzati. Si trova perciò in natura in diversi luoghi dell’Asia, e gli intenditori sanno distinguere perfettamente a quale cava appartenga un certo tipo di pietra. La giada più pregiata è però certo quella che proviene dalla odierna provincia dello Xinjiang, situata nell’estremità nord occidentale della Cina. Fin da tempi molto antichi i cinesi si procuravano giada proveniente da questi luoghi, ma fu dopo il 1760 che la mole di materiale grezzo di là proveniente aumentò radicalmente. In quell’’anno, infatti, gli eserciti dell’imperatore Qianlong riuscirono ad annettere all’impero quei territori che fino ad allora erano rimasti autonomi. La conquista fu di vitale importanza per vari motivi: soprattutto, strategicamente significò un ulteriore passo dei cinesi nel perseguire la loro politica di addentrarsi militarmente e culturalmente in Asia Centrale. Inoltre, essa consentì la possibilità di un rifornimento costante di materiali primi, tra cui la giada.
L’imperatore Qianlong, è noto, è stato uno dei più importanti promotori d’arte che la storia cinese abbia avuto. Egli fu un conoscitore finissimo e un collezionista eccezionale, e si circondò di un folto stuolo di artisti ed artigiani che realizzarono per lui e i membri della sua corte manufatti di qualità insuperata. Anche nell’ambito della giada. Gli intagli in giada del periodo Qianlong – e soprattutto quelli scolpiti nella giada di tonalità bianca e priva di imperfezioni – sono capolavori, per la minuzia del dettaglio scultoreo e per la grazia delle composizioni, che si tratti di contenitori di forma e ornato di gusto e stile arcaico, oppure di pendenti o accessori da abbigliamento come le fibbie, o ancora di oggetti meramente ornamentali, come quegli straordinari scorci di paesaggio abitati da piccole figurette che riprendono nelle modalità le tematiche della pittura tradizionale cinese.
Gli oggetti in giada sono attualmente tra i più ambiti dai collezionisti di arte cinese, soprattutto dai compratori estremo-orientali che sono disposti a spendere cifre ragguardevoli pur di venire in possesso di un autentico e antico manufatto in giada. Proprio la giada di epoca Qianlong è quella che maggiormente ‘accende’ gli animi degli acquirenti, e numerose sono state nel recente passato le acquisizioni anche milionarie. D’altronde, la giada non è per cinesi solo una pietra come le altre. Essa riflette invece una sorta di devozione che questo popolo ha per questo materiale, specchio della millenaria cultura del Regno di Mezzo.