Ci sono luoghi che riescono a incarnare meglio di altri lo spirito di un intero Paese.
Scenari in cui l’intervento dell’uomo è stato marginale, e dove invece la Natura ha espresso tutto il suo immaginifico potenziale.
Mi vengono in mente, ad esempio, le Scogliere di Dover per l’Inghilterra e il Monte Fuji per il Giappone. Meraviglie che erano lì dove si trovano tuttora moltissimo prima che l’uomo ne cominciasse a esaltare la bellezza e che, con ogni probabilità, saranno ancora al loro posto quando non ci saranno più uomini ad ammirarle.
La Corea, che pure può vantare una moltitudine di scenari naturali mozzafiato, ha il Geumgang.
Situato sulla costa orientale nell’attuale Corea del Nord, a pochi chilometri dal confine con la Corea del Sud, è un complesso di svettanti picchi granitici che da una parte delinea l’orizzonte marino e dall’altra penetra verso l’interno del Paese.
Geumgang è solo uno dei nomi con cui è conosciuto questo imponente rilievo roccioso. Letteralmente si può tradurre come “Montagna di Diamante”, in riferimento non solo alle forme bizzarre dei suoi pinnacoli ma anche al vajra, quello strumento liturgico buddhista che esemplifica l’Illuminazione, la quale è indistruttibile come il tuono e, per l’appunto, il diamante.
Prima che il Buddhismo arrivasse in Corea, il Geumgang era già considerato sacro per i coreani, convinti che tra i suoi anfratti vivessero spiriti e divinità da temere e adorare.
Durante la dinastia Goryeo (918-1392) – allorché la dottrina di origini indiane fu elevata a religione di stato – quel complesso roccioso divenne il luogo ideale per erigere templi e monasteri. I fedeli vi si recavano in pellegrinaggio per espiare le proprie colpe, mentre i monaci trovavano in quei luoghi impervi l’ambiente ideale per la meditazione.
La sua bellezza divenne allora proverbiale anche in Cina, tanto che il divino poeta e letterato Su Shi (1037-1101) si dice esclamasse: “Vorrei essere nato in Corea, così potrei ammirare la Montagna di Diamante di persona!”.
Ancora durante la dinastia Joseon (1392-1897), il Geumgang continuò ad essere un’attrazione, nonostante i reali coreani amministrassero il potere secondo i canoni del Neo-Confucianesimo di origini cinesi e il Buddhismo perdesse parte della sua importanza. Quella montagna divenne allora la meta prediletta e agognata per ritirarsi a vita appartata, condizione alla quale ambivano gli intellettuali devoti agli insegnamenti del Maestro Kong.

Jeong Seon (1676-1759), Il Geumgang. Inchiostro e colori su seta, cm. 35,9 x 37. Seoul, National Museum of Korea.
In quest’ottica, i paesaggi idilliaci del Geumgang divennero una fonte di ispirazione inesauribile per quegli artisti-letterati coreani che coltivavano uno stile di vita analogo a quello perseguito dagli intellettuali cinesi, incarnati al meglio dai pittori appartenenti alla cosiddetta Scuola Meridionale, dai ‘Quattro Grandi’ della dinastia Yuan a Dong Qichang (1555-1636), il teorico più accreditato della pittura cinese.
Tra i pittori che in più occasioni hanno raffigurato il Geumgang va primo tra tutti annoverato Jeong Seon (1676-1759), uno tra i maggiori protagonisti nell’intera storia dell’arte coreana. Pur avendo ricevuto anch’egli una formazione di tipo ‘classico’, impostata sui canoni della pittura cinese, Jeong Seon riuscì con il tempo a sviluppare uno stile suo proprio. A contribuire più di tutto a questa svolta vi fu certamente la sua volontà di riprodurre nei suoi dipinti i paesaggi che egli vedeva realmente, rinunciando quindi a realizzare vedute ideali, a volte mere riproposizioni dei modelli cinesi.
Jeong Seon viaggiò moltissimo lungo la penisola, visitando i luoghi più suggestivi dal punto di vista naturalistico, fermando sulla carta le emozioni che quelle visioni gli provocavano. In questo, paradossalmente, egli aderì agli insegnamenti classici della pittura di paesaggio cinese, i quali prevedevano che proprio alla natura, e direttamente, l’artista avrebbe dovuto guardare per elevare la sua arte oltre la semplice ripetizione degli stilemi.
Jeong Seon si recò in almeno tre occasioni sul Geumgang, la prima volta nel 1711. Di quella sua prima esperienza rimane un album di tredici fogli conservato presso il National Museum of Korea di Seoul. A confronto con le sue opere della maturità, queste composizioni più giovanili rivelano ancora uno stile acerbo, che tuttavia già prelude alle future evoluzioni. E’ chiara la sua volontà di imprimere graficamente nella sua memoria i luoghi che visitò, così che in alcuni fogli i picchi svettanti della “Montagna di Diamante” sono accompagnati da iscrizioni, le quali altro non sono che i nomi specifici di ognuno di loro. E’ una pittura dunque che si miscela con la topografia, a voler indelebilmente descrivere la geografia di quella montagna sacra, e insieme il percorso reale che l’artista ha seguito nel visitarla. Nello stile si notano chiaramente ancora echi della pittura cinese, in particolare il tipico tratteggio breve orizzontale che è cifra stilistica di autori quali Mi Fu (1051-1107), uno dei pilastri della Scuola Meridionale.

Jeong Seon (1676-1759), Il Geumgang. Inchiostro e colori su carta, cm. 130,7 x 94,1. Yongin, Ho-Am Art Museum.
Per meglio comprendere l’evoluzione stilistica e teorica di Jeong Seon, si possono mettere in relazione le composizioni del 1711 con altre sue opere più tarde ancora raffiguranti il Geumgang (ne avrebbe realizzate all’incirca un centinaio). Tra queste, un dipinto del 1734 conservato presso lo Ho-Am Art Museum di Yongin, il quale è da molti considerato il suo capolavoro.
Il soggetto è in pratica lo stesso, con la moltitudine di cime rocciose appaiate quasi a formare una selva. Dal punto di vista stilistico si percepiscono le novità introdotte da Jeong Seon, tra le quali la scelta di utilizzare decisi tratti verticali a delineare i picchi. L’artista vuole ancora raffigurare realisticamente quello che ha visto, ma non ha più bisogno di scandire con i nomi la topografia. La sua è una pittura libera, frutto dell’incontro tra l’indole del pittore e la verità della Natura.
I dipinti di Jeong Seon stimolarono un generale rinnovamento della pittura coreana di paesaggio, che prese in modo deciso la via della miscela tra visione poetica e descrizione realistica.

Kim Hongdo (1745-dopo il 1806) (attribuito), Il picco Sumitap. Inchiostro e colori su seta, cm. 38,4 x 28,6. Leeum, Samsung Musum of Art.
Si veda a questo proposito il piccolo foglio con la raffigurazione de Il picco Sumitap attribuito a Kim Hongdo (1745-dopo il 1806). L’obelisco roccioso, uno dei tanti che formano il Geumgang, è descritto con minuzia di particolari, in un assemblaggio di volumi grafici che garantisce un effetto complessivo di tridimensionalità, con la profondità della scena sapientemente costruita attraverso la disposizione a scalare dei brani pittorici che vanno a costituire l’insieme.
Kim Hongdo fu influente pittore di corte. Nel 1788 si recò verso la “Montagna di Diamante” su ordine del re Jeongjo (1752-1800). Il resoconto grafico di quel viaggio non è purtroppo sopravvissuto, ma rimangono alcuni suoi dipinti relativi a quel soggetto, tra cui il foglio sopra ricordato, nei quali si percepisce l’abilità di questo artista nell’imprimere una visione reale attraverso pennello e inchiostro.
Più vicino agli insegnamenti di Jeong Seon, Sin Hak-gwon (1785-1866) dedicò un grande dipinto al Geumgang prendendo esplicitamente spunto dalle opere dell’illustre predecessore. Lo dichiara senza mezzi termini nell’iscrizione che compare in alto a destra sul lungo rotolo conservato presso il Metropolitan Museum di New York, specificando inoltre che si tratta della copia di un’opera del Maestro già allora in pessimo stato di conservazione e tuttora non rintracciata. D’altronde Sin Hak-gwon non si visitò mai personalmente la “Montagna di Diamante”, e il suo riferimento principale non poteva che essere un dipinto che la raffigurava.

Sin Hak-gwon (1785-1866), Il Geumgang. Inchiostro e colori su carta, cm. 47,3 x 235. New York, The Metropolitan Museum.
Nella sua composizione i picchi sono raffigurati con precisione didascalica e sono pure presenti i loro nomi per conferire all’intera visione una correttezza topografica. Tra i pinnacoli rocciosi si inseriscono i padiglioni buddhisti anch’essi accompagnati dal loro nome. Una sorta di mappa, dunque, grazie alla quale lo spettatore compie un pellegrinaggio virtuale tra quei monoliti sacri e la vita monacale che prolifera al loro cospetto.

Artista coreano del XIX secolo, Paravento a dieci ante con il Geumgang. Inchiostro su carta, cm. 155 x 444. Seoul History Museum.
Gli insegnamenti di Jeong Seon rimasero dunque un modello imprescindibile ancora per tutto il XIX secolo, non solo per gli artisti attivi presso la corte ma per tutti i numerosi pittori che si confrontarono con la raffigurazione del Geumgang. Sebbene più inclini all’uso ripetitivo di certe formule pittoriche, dalla resa dei picchi con tratti più incisivi e l’utilizzo di pennellate più brevi e morbide per le colline sottostanti, gli artisti di formazione più popolare continuarono a tramandare un modello di raffigurazione della “Montagna di Diamante” di sicuro impatto emozionale, fedele a quello che in effetti è il Geumgang: un luogo magico, scenario ideale per elevare lo spirito degli uomini, fonte inesauribile di ispirazione per gli artisti coreani.

Park Dae-sung (1945-), Le cascate dei Nove Draghi sul Geumgang. Inchiostro e colori su carta, cm. 177,8 x 78,7. San Francisco, Asian Art Museum.
Il Geumgang è stato il tema di una mostra monografica che si è tenuta presso il Metropolitan Museum di New York tra il 7 febbraio e il 20 maggio 2018, intitolata Diamond Mountains: Travel and Nostalgia in Korea Art.
Grazie al prestito di alcuni capolavori da parte delle maggiori istituzioni museali coreane, tra i quali un gruppo di importanti dipinti di Jeong Seon, lo spettacolo offerto ha avuto un indiscutibile impatto sul fortunato visitatore.
Un viaggio immaginario per gli stessi cittadini della Corea del Sud, che da ormai molti decenni non possono visitare quel tesoro dell’umanità poiché le autorità della Corea del Nord non permettono ad alcuno di recarsi in quei luoghi.
Oltre ai dipinti antichi, il percorso prevedeva anche l’esposizione di opere di artisti contemporanei, tra i quali Park Dae-sung, considerato giustamente come il più brillante esponente della Scuola tradizionale, interprete ispirato e rinnovatore della pittura classica coreana.