Fine Chinese Art è il titolo della maggior parte delle decine, centinaia, migliaia di aste che si susseguono nel calendario delle vendite internazionali, con maggiore frequenza negli ultimissimi anni, da quando cioè il mercato dell’arte cinese ha cominciato ad ottenere quei successi che l’hanno resa uno dei traini del commercio di opere d’arte nel mondo.
Il significato di Chinese Art è ovvio. Meno scontato è invece quello di Fine. Un vocabolo di cui si può in effetti abusare: Bella, Fine, Raffinata, etc… Fine è un termine che può avere molte sfumature, ma che può anche essere talmente generico da risultare noioso.
Ma io mi chiedo, ora, chi decide se un oggetto d’arte è degno di essere considerato Fine, ovvero Bello, Fine e Raffinato?
Ho già la risposta: il mercato, ovviamente…
Cio vuol dire, quindi, che esiste un’arte di serie A e un’arte di serie B?
Bene. Sono d’accordo. Se un oggetto è meglio fatto, più bello e sofisticato, raro e prezioso, allora è giusto che sia Fine piuttosto che Normal.
Tuttavia, esistono pure oggetti belli, bellissimi e raffinatissimi che non riescono ad entrare in un catalogo di Fine Chinese Art. Perchè?
Anche in questa occasione mi sembra di avere la risposta: il mercato, ovviamente…
Ho tra le mani il libro che accompagna l’asta di Bonham’s che si terrà a Londra (in New Bond Street, nella straordinaria e nuovissima sede di quella Company) il 6 novembre prossimo, a chiudere la fantastica Asian Week che come ogni anno catalizzerà l’attenzione di migliaia di appassionati di arte orientale nel mondo. Un avvenimento imperdibile per godere appieno della vitalità di questo cosmopolita e ricchissimo universo culturale e, soprattutto, commerciale.
Lo guardo, lo sfoglio – il catalogo – è mi sembra molto simile a tutti i cataloghi che ho tenuto nelle mie mani negli ultimi anni.
Per carità, vi sono oggetti fuori dell’ordinario, rari e preziosi, come la piccola giara doucai decorata con fiori di loto (lot 203) con marchio Chenghua valutata ‘appena’ 400.000-600.000 £, oppure il vaso in bronzo dorato con intarsi di pietre dure e vetri (lot 270) di epoca Qianlong. Due oggetti superbi,
documentati grazie a confronti puntuali; e come questi, alcuni altri manufatti pure di grande qualità che sarebbe qui troppo lungo elencare.
Ma il resto?
Vasi e coppe in porcellana, bronzi sino-tibetani, cloisonnes, giade bianche e verdi, sculturine e simili: ho l’impressione di rivedere un film già visto…
L’arte, cioé l’Arte, è quella magia che ha la forza di dare emozioni, esperienze, intrisa com’è di storia, vicissitudini e amore: può perciò essere altro che un catalogo di Fine, il quale è frutto sì di una scelta che seleziona il meglio, ma anche di un’operazione commerciale. Ovvero, gli acquirenti cinesi oggi acquistano soltano certe tipologie di oggetti (per esempio, le opere del Settecento) mentre altri manufatti (ad esempio l’archeologia) sono praticamente esclusi dal grande mercato ameno che non si tratti di capolavori fuori dall’ordinario.
So per certo però che – oltre al mercato ‘di vetrina’, quello dell’Asian Week per intenderci – esiste una nutrita schiera di collezionisti che raccolgono opere in base a certi altri criteri, diversi da quelli promossi nei cataloghi delle aste di Fine Chinese Art. Collezionisti che perseguono un progetto, affindando le scelte di acquisto non alle tendenze del mercato bensì all’emozione che provano osservando, desiderando ed eventualmente comperando un pezzo per la loro collezione.
Magari nessuno di loro sarà interessato ai pezzi nel catalogo Fine, ma sono sicuro che le loro collezioni avranno il potere di resistere al trascorrere del tempo, di affrontare l’ingresso nel futuro con la consapevolezza di una scelta dettata da un gusto, qualsiasi esso sia, piuttosto che dalle decisioni di altri che in certi casi non riescono a vedere oltre la vaghezza di un vocabolo.
Fine…