Si è tenuta a Milano, dal 21 ottobre 2009 al 31 gennaio 2010, presso il Palazzo Reale, la mostra “Shunga. Arte ed Eros nel Giappone del Periodo Edo”. Per la prima volta in Italia, dunque, è stato possibile ammirare un nucleo consistente di stampe e dipinti giapponesi dei periodi Edo (1615-1868) e Meiji (1868-1912) di esplicito tema erotico. La mostra era rivolta esclusivamente ad un pubblico adulto. Le immagini che componevano la selezione, infatti, raffiguravano amplessi di vario genere, senza alcuna forma di censura. Un evento coraggioso, quindi, grazie al quale è stato finalmente ‘sdoganato’, anche in Italia, un genere artistico che ha avuto un ruolo importantissimo nello sviluppo della cultura giapponese.
Sono numerose le ragioni per cui non è possibile considerare le “pitture della primavera” (traduzione letteraria di shunga) alla stregua di grossolana pornografia, così come la si intende in Occidente e nel mondo attuale, nonostante una lettura superficiale delle immagini in mostra possa comprensibilmente generare questo equivoco. Soprattutto, le shunga, siano esse dipinti, stampe sciolte o libri illustrati, erano realizzate dai maggiori artisti del loro tempo, tra quelli per lo più attivi a Edo (attuale Tokyo) e appartenenti alla scuola delle “immagini del mondo fluttuante” (Ukiyo-e). Si può infatti seguire una storia dell’Ukiyo-e parallela a quella più casta delle cortigiane vestite di abiti lussuosi, degli attori di teatro kabuki e dei paesaggi, nella quale hanno un ruolo predominante le storie d’amore e il sesso. Artisti notissimi come Hishikawa Moronobu (?-1694), Suzuki Harunobu (1725?-1770), Kitagawa Utamaro (1754-1806) e Katsushika Hokusai (1760-1849), tutti produssero nel corso delle loro carriere un certo numero di shunga, alcune delle quali si possono considerare dei veri e propri capolavori. Si tratta dunque, nella maggior parte dei casi, di una produzione artistica di livello elevatissimo, quasi mai dozzinale e, soprattutto, mai volgare.

Tsukioka Settei (attrib.), particolare di emakimono

Nella mostra di Milano è possibile seguire per gran parte l’evoluzione delle shunga, a partire dalla fine del XVII secolo, quando le stampe erano realizzate solo in bianco e nero (sumizuri-e), per arrivare alla completa policromia delle nishiki-e (“immagini a broccato”, in riferimento all’opulenza dei tessuti), realizzate con una certa continuità per tutto il periodo Edo. Nel percorso sono inoltre presenti almeno tre lunghi rotoli dipinti (e-makimono), completamente dispiegati per ovvie ragioni espositive, ben sapendo i responsabili scientifici della mostra che questo formato era in realtà eseguito per essere visionato un brano alla volta: di bella qualità, per i colori vivissimi e le preziose stesure di polveri d’argento, è senz’altro il rotolo attribuito per motivi stilistici a Tsukioka Settei (1710-1787), artista che diede il meglio di sé proprio nel genere shunga. Non mancano altresì alcuni esempi di quelli che sono unanimemente considerati tra i capolavori delle shunga. Ad esempio i fogli della serie “Dodici incontri sulla strada dell’erotismo” (Shikidō torikumi jūniban) di Isoda Koryūsai (1735-1790) in cui, più accentuatamente che in passato, l’attenzione dell’osservatore è guidata verso gli organi genitali degli amanti, per questo deliberatamente aumentati nelle dimensioni, secondo una pratica degli artisti che in certi casi raggiungerà il grottesco.

Isoda Koryusai, dalla serie "Dodici incontri sulla via della sensualità"

Oppure, alcune belle opere di Katsukawa Shunchō (attivo 1780-1800 circa), artista poco noto ai più tuttavia dotato di enorme sensibilità, senza dubbio autore di alcune delle più belle shunga mai pubblicate. Non mancano, inoltre, opere di autori più noti anche al pubblico occidentale, come i già citati Harunobu, Utamaro e Hokusai. La galleria si chiude, infine, con opere più tarde, della seconda metà del XIX secolo, concludendosi con quattro irresistibili disegni di Hashiguchi Goyō (1880-1921), pittore che, nonostante avesse subito palesemente l’influsso della cultura e dell’arte occidentale, proprio nel genere delle immagini erotiche sembra rivolgersi alle tradizioni del proprio paese, infondendo nella linea di contorno quella purezza ed essenzialità calligrafica che è nota prerogativa dell’arte giapponese.

La mostra “Shunga. Arte ed Eros nel Giappone del Periodo Edo” ha offerto dunque uno spaccato intrigante di un genere artistico molto amato dai cittadini dell’antico Giappone. E’ stata anche un’occasione importante, e forse irripetibile, per comprendere quale sia il rapporto del mondo moderno, in particolare in Italia, con un tema così pruriginoso quale la sessualità.

Katsukawa Shunchō, shunga

Peccato che, dal punto di vista puramente artistico ed espositivo, la mostra cedeva in alcuni punti. L’allestimento era infatti scarno, minimale, freddo: nelle ampie sale di Palazzo Reale, illuminate da una luce ambientale che sovrastava le luci fredde destinate a illuminare le singole opere, le stampe e i dipinti sembravano persi nel vuoto, incapaci di reggere il confronto con gli spazi circostanti. Neanche i bei kimono sparsi qua e là nelle sale neoclassiche sono riusciti a bilanciare l’austerità delle impalcature scelte per sorreggere le opere: si era pensato forse che le immagini fossero sufficienti di per se stesse a rallegrare l’ atmosfera, ma così non è stato, tanto che il mondo sensuale ed elegante dei ‘quartieri dei piaceri’ è apparso per certi versi cupo, a tratti inquietante. In ultimo, non me ne voglia lo stimato professor Marco Fagioli, in mostra si notava l’assenza di alcuni capolavori, punti cruciali nell’evoluzione della shunga, realizzati ad esempio da Harunobu, Utamaro e Hokusai. Forse la presenza di queste opere sarebbe stata utile a bilanciare la qualità a volte corrente delle singole stampe esposte, in molti casi sbiadite nei colori, pochissimo vive nelle tonalità, quindi in stato di conservazione non ottimo. Quest’ultima pecca si è notata in modo particolare nel momento in cui il visitatore ha avuto modo di ammirare la straordinaria qualità di una serie di shunga di Hokusai esposta nella contigua mostra “Giappone. Potere e Splendore 1568-1868”.

Queste riflessioni, tuttavia, non intaccano minimamente il giudizio più che positivo sulla mostra “Shunga. Arte ed Eros nel Giappone del Periodo Edo”. D’altronde sono da sempre convinto che sia sempre meglio visitare una mostra solo dignitosa, piuttosto che non visitarne alcuna.