Ogni anno in Giappone, il 5 maggio è dedicato a festeggiare i bambini maschi. E’ un evento molto popolare, noto con il nome di Kodomo no hi, “il giorno dei bambini”, durante il quale si vedono un po’ ovunque sventolare aquiloni a forma di carpa, pesce a cui si attribuiscono virtù quali il coraggio, la forza e l’audacia.
Questo termine è in uso nell’arcipelago dal 1946, l’anno successivo alla disastrosa disfatta dei nipponici nella Seconda Guerra mondiale. Tuttavia, l’usanza di dedicare questo giorno a onorare i bambini ha una storia molto più antica, risalente per lo meno all’inizio del periodo Edo (1603-1868). Allora la festa era nota con le definizioni di Gogatsu no sekku (“festa del quinto mese”) oppure di Tango no sekku (“festa del cavallo”).
Le celebrazioni erano incentrate prevalentemente sull’esaltazione delle qualità più peculiari della figura del samurai, il condottiero militare che dalla fine del XII secolo e fino alla caduta dello shogunato nel 1868, ha dominato la storia del Giappone.
In particolare, ai bambini si richiedeva che in quel giorno onorassero la memoria di alcuni dei più grandi tra quei samurai, personaggi reali che col tempo erano assurti al rango di eroi, perfetta incarnazione di coraggio, lealtà e sacrificio, virtù alle quali dovevano ambire tutti i bambini maschi del Paese.
Minamoto no Yoshitsune, Musashibō no Benkei, Taira no Atsumori, Jingū Kōgō e Katō Kiyomasa divennero dunque modelli imprescindibili, le cui avventure più o meno romanzate popolavano la letteratura e il teatro, e di conseguenza l’immaginario dei più piccoli.
Per il Tango no sekku si allestivano dei piccoli palcoscenici domestici, nei quali facevano bella mostra di sé delle bambole raffiguranti proprio questi eroi. Erano manufatti di grande raffinatezza, realizzati con materiali di pregio, e curatissimi in ogni dettaglio. Legno, seta, lacca, cuoio, metallo e le bianche polveri del gofun, erano adoprati con sapienza, per conferire al giocattolo da una parte una verosimiglianza con gli oggetti reali (armature, spade, elmi, costumi) e dall’altra per conservare l’aspetto ludico al quale era in origine destinato.
A oggi, queste antiche bambole ningyō appaiono come dei veri e propri capolavori, degni di entrare a far parte delle più sofisticate collezioni di arte giapponese, esposte con gaudio dei visitatori in alcuni dei musei storici di arte giapponese europei e statunitensi tra i quali – in Italia – il Museo d’Arte Orientale di Venezia e il Museo di Antropologia di Padova, custodi delle raccolte del Principe Enrico di Borbone che visitò il Giappone sul finire dell’Ottocento.
A questa tipologia di manufatti più antichi, ancora risalenti al periodo Edo, appartiene un esemplare in cui mi sono imbattuto recentemente.
Raffigura un giovane uomo seduto, vestito di un’armatura completa da samurai, con corazza, proteggi spalle e cosce, e para stinchi; al fianco destro tiene le due spade, dotazione tipica del guerriero giapponese; sotto le protezioni, un prezioso abito in seta broccata; ai piedi dei semplici sandali in fibra vegetale intrecciata. Il volto – riparato da copricapo circolare di tipo jingasa – ha i tratti definiti finemente a inchiostro e colori.
Il personaggio che rappresenta è un soldato semplice (kerai), al quale era affidato il compito di portare in battaglia il vessillo del clan.
Di solito, questa bambola accompagnava quella raffigurante Minamoto no Yoshitsune (1159-1189), il più famoso eroe del Giappone, oppure faceva parte del gruppo con Jingū Kōgō, l’imperatrice vissuta nel IV secolo che pur di rispettare i suoi impegni con il popolo riuscì a procrastinare la sua gravidanza di oltre diciannove mesi.
Il portavessillo è dunque un elemento indispensabile nel corredo di bambole per il Tangu no sekku.
Oltre alla finezza di esecuzione, questo esemplare si distingue per straordinarie condizioni di conservazione, le quali permettono di apprezzare la preziosità dei materiali utilizzati per confezionare questi lussuosi balocchi.
Una bambola giapponese
