Per chi è appassionato di ceramica e porcellana cinese, una visita al Palace Museum di Pechino può destabilizzare.
Di più, provocare un trauma.
Esposta in uno dei tanti padiglioni del Gugong, il palazzo imperiale di Pechino più comunemente noto come Città Proibita, la collezione di ceramiche e porcellane del Palace Museum è infatti un susseguirsi di capolavori assoluti.
E non poteva essere altrimenti, considerando che quei pezzi per lo più appartennero ai sovrani del Regno di Mezzo, che in molti casi commissionarono esplicitamente alle varie fornaci oggetti per il proprio uso personale.
Sono riuscito a dedicare qualche ora alla visita di questo santuario della ceramica cinese durante una brevissima trasferta (soli cinque giorni, viaggi di andata e ritorno compresi) che mi ha portato a Pechino per partecipare a una conferenza che si è tenuta presso il CAFA Art Museum, il museo di pertinenza dell’Accademia di Belle Arti, un evento organizzato in contemporanea con l’inaugurazione di una mostra dedicata a Macao, al Guangdong e alle influenze storiche dell’arte europea in questi luoghi.
Al Palace Museum c’ero in verità già stato un paio di volte negli anni scorsi, ma una visita questo luogo la merita sempre.
Ora, una giornata intera, dalle 11 dell’apertura alle 16 della chiusura, è a mio parere sufficiente solo ad avere una vaga idea dell’importanza della residenza imperiale.
Si può ad esempio scegliere di fare semplicemente una passeggiata tra quei monumentali edifici che costituiscono la solenne area di rappresentanza del complesso, accontentandosi di sbirciare nei loro favolosi interni, o lasciare che la fantasia evochi la grandezza delle cerimonie rituali che si tenevano periodicamente in quei cortili immensi, alla presenza del Figlio del Cielo e dei suoi ministri più importanti.
Oppure, ci si può inoltrare nell’area residenziale vera e propria, dove l’imperatore e la sua corte vivevano una quotidianeità che trasudava eleganza, raffinatezza e bellezza. Ambienti più a misura d’uomo, se così si può dire, nei quali l’imperatore poteva anche dedicarsi alle sue passioni, come lo studio della pittura, della calligrafia, della musica.
Io, questa volta ho scelto di fiondarmi diretto al padiglione delle ceramiche, per poi fare una rapida visitina ai due padiglioni adiacenti in cui sono esposti capolavori delle arti decorative (giade, vetri, cloisonné) e una strepitosa selezione di manufatti in oro, un passaggio quest’ultimo che ha messo a dura prova la mia pazienza per la folla oceanica che invadeva i corridoi già stretti delle sale espositive.
Ritornando alle ceramiche, la collezione del Palace Museum consente di ripercorrere tutta la straordinaria storia millenaria di questa specialità artistica in cui la Cina ha eccelso. Dalle terrecotte neolitiche alle ceramiche funerarie dipinte o invetriate di epoca Han, dai primi esperimenti per produrre un’invetriatura verde-céladon nelle fornaci Yue alle figure con invetriatura “a tre colori” sancai del periodo Tang.
Un’evoluzione costante che ha raggiunto un primo apice durante la dinastia Song, quando erano attive le Cinque Fornaci ufficiali, che rifornivano la corte di manufatti di modeste dimensioni e dalle forme semplici, rivestiti di invetriature monocrome di un’eleganza disarmante, specchio di una cultura sofisticata che prediligeva un’estetica rarefatta.
Per capire la portata delle collezioni imperiali nel Palace Museum di Pechino, si potrebbe solo ricordare che nella sala sono esposti sei esemplari di ceramica Ru, la più rara e apprezzata, alcuni arricchiti da iscrizioni di mano di Qianlong, l’imperatore che più di tutti ha promosso le arti e la cultura tradizionali del suo paese.
La sezione più ricca, tuttavia, è quella relativa alla produzione di Jingdezhen tra il XIV e il XX secolo.
Impossibile elencare tutti i capolavori esposti, alcuni dei quali ben impressi nella memoria di chi sia amante di questa specialità artistica cinese, pubblicati in molti dei manuali a disposizione.
Dal ‘bianco e blu’ di epoca Yuan alle meraviglie della prima fase della dinastia Ming, durante la quale si raggiunse una perfezione nelle stesure del blu di cobalto importato dalla Persia mai più superata.
Piatti e vasi dalle dimensioni ‘imperiali’, draghi e peonie che si librano agili e saettanti sulle candide superfici porcellanose, smalti policromi dai toni a volte robusti a volte delicati, florilegi sinuosi e un simbolismo sempre raffinato, di buon auspicio per l’imperatore e la sua corte.
La sezione dedicata alla dinastia Qing è sicuramente la più cospicua, e certo non passa inosservato il vasellame realizzato per soddisfare le richieste di Qianlong, il sovrano che a oggi, agli occhi di tutti i cinesi, incarna meglio di tutti gli altri l’estetica imperiale.
Vasi che sono un tour de force tecnico-artistico, decorati alla perfezione con diverse tecniche complesse contemporaneamente, superbi per eleganza e sapienza, frutto degli esperimenti che si susseguirono incessantemente per tutto il Settecento nelle fornaci di Jingdezhen, allora sotto stretto controllo imperiale.
Uno sviluppo che si può seguire al meglio tra le vetrine del Palace Museum, in un percorso che si conclude con le creazioni del Periodo della Repubblica, quest’ultime ovviamente acquisite dal museo in epoca post-dinastica, nel tentativo lodevole di rendere giustizia ad un’arte – la porcellana – che si può dire incarni al meglio la cultura tradizionale cinese.