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“I divertimenti nel palazzo dell’imperatore Xuande”, metà del XV secolo, dettaglio. Pechino, The Palace Museum.

Nell’ambito dell’arte cinese, una delle mostre che maggiore eco ha avuto l’anno passato (18 settembre 2014 – 5 gennaio 2015) è stata sicuramente quella organizzata presso il British Museum di Londra, intitolata Ming. 50 years that changed China.
Curata da Craig Clunas e Jessica Harrison-Hall, il primo professore presso l’Università di Oxford e la seconda curatrice del dipartimento Ceramiche Cinesi presso il British Museum, la mostra presentava circa 250 manufatti provenienti da istituzioni cinesi e musei di tutto il resto del mondo, moltissimi dei quali di qualità davvero eccezionale. Dipinti, sculture, porcellane, lacche, armi, tessuti, gioielli, metalli smaltati, alcuni mai prestati per esposizioni temporanee, molti pubblicati più volte nei testi di riferimento per l’arte cinese.

Una selezione di grande importanza dunque, per spiegare al meglio una fase cruciale della storia della Cina.

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Forcine in oro, prima metà del XV secolo. Hubei Provincial Museum.

Dopo quasi un secolo di dominazione straniera, il Grande Regno di Mezzo riuscì infine a liberare i propri territori. La vittoria fu merito di Zhu Yuanzhang (1328-1398) che, al termine di due decenni di aspre battaglie, scacciò i Mongoli eredi di Genghis Khan che avevano governato in Cina nel periodo della dinastia Yuan (1279-1368). Salito al trono, Zhu Yuanzhang assunse il nome di Hongwu: i suoi eredi diretti avrebbero governato senza interruzioni l’immenso territorio cinese fino al 1644, anno in cui i Mancesi della dinastia Qing (1644-1911) si insediarono al potere desautorando la dinastia Ming fondata nel 1368. Il termine Ming fu scelto dallo stesso Hongwu per identificare quella svolta storica: il carattere corrispondente (明) significa “luminoso”, “splendente” e, di conseguenza, “Illuminato”.
Se il regno di Hongwu e quello del suo primo successore Jianwen (regno 1398-1402) furono a tutti gli effetti periodi di transizione politica, sociale ed economica, i primi cinquant’anni del XVI secolo furono invece momenti di rapida crescita per l’impero. Gli imperatori Yongle (regno 1402-1424), Hongxi (1424-1425, il regno più breve nella storia dinastica cinese), Xuande (regno 1425-1435) e Zhengtong (1435-1449, avrebbe regnato ancora come Tianshun tra il 1457 e il 1464, dopo la liberazione da un periodo di sette anni di prigionia in Mongolia), avrebbero trasformato la Cina nella più potente nazione del mondo, dominatrice di un vastissimo territorio e in contatto con gran parte degli altri popoli lambiti dall’Oceano Indiano. Fu proprio in questo lasso di tempo, infatti, che l’impero cinese promosse i viaggi e le esplorazioni via mare: il comando della flotta fu affidato all’eunuco Zheng He (1371-1434), il leggendario navigatore di fede musulmana che toccò nel corso di varie spedizioni un numero incredibile di porti tra l’Asia meridionale e l’Africa orientale, istituendo relazioni militari, diplomatiche e commerciali con quei popoli lontani.

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Bottiglia in porcellana ‘bianco e blu’. Periodo Yongle. British Museum, Percival David Foundation.

Una delle decisioni più importanti prese da Yongle fu senz’altro quella di spostare nel 1421 la capitale da Nanjing a Pechino, che da allora sarebbe rimasta – fino a oggi – la  più importante città della Cina. Qui i sovrani costruirono la più imponente residenza imperiale che si fosse vista fino ad allora, la Città Proibita che ancora oggi, nonostante le numerose modifiche causate dagli eventi della storia, rimane una delle maggiori attrazioni della capitale, e uno dei più straordinari luoghi di potere del mondo.
In quel fatidico cinquantennio le arti tutte fiorirono con rinnovato vigore, soprattutto quelle in stretta relazione con la corte imperiale, alla quale afferivano non soltanto l’imperatore, i suoi parenti più stretti e un folto numero di suoi fidi tra cui molti eunuchi, ma anche i funzionari più importanti e il loro seguito. Persone dai gusti raffinati, quindi, e dalle grandi possibilità economiche, in grado di commissionare oggetti di gran pregio e di inusitata raffinatezza, che si trattasse di monili in oro e giada oppure di vesti in seta. Le porcellane prodotte nelle fornaci imperiali di Jingdezhen raggiunsero proprio in questo lasso di tempo uno dei vertici assoluti nell’intera storia della loro produzione. I pezzi esplicitamente destinati al sovrano, segnati inequivocabilmente con il nianhao (la marca di regno) dell’imperatore sono un tripudio di eleganza ed armonia, soprattutto quelli ornati a solo blu sul bianco immacolato della pasta di porcellana, dipinti utilizzando soltanto il cobalto proveniente soprattutto dalla lontana Persia, straordinariamente luminoso quanto costoso (da lì a qualche decennio sarebbe stato infatti sostituito da cobalto locale, meno bello ma molto, molto più economico).

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Spada in ferro, oro, argento, legno, cuoio e pietre semi-preziose, 1420 circa. Leeds, Royal Armouries Museum.

 

Così come il rosso cinabro che brilla sulle lacche destinate alla corte. Intagliate con minuzia, dal 1436 furono realizzate in un laboratorio ubicato all’interno della Città Proibita, utilizzando una resina proveniente dal sud della Cina, unica zona del paese in cui c’erano le giuste condizioni climatiche per la crescita dell’albero che la produceva.

Tutti questi oggetti erano presenti nelle stanze abitate dal sovrano e dai membri della corte, dagli intellettuali e dagli artisti che risiedevano non solo a Pechino ma anche negli altri centri di cultura del paese. Spesso, alcuni di loro – come i lavapennelli, le ciotole di varie dimensioni, i bruciaprofumi – erano usati come strumenti per praticare le arti predilette da questi personaggi, ovvero la pittura e la calligrafia. In mostra a Londra vi era una ricca profusione di dipinti e rotoli calligrafici, realizzati sia prediligendo l’utilizzo del solo inchiostro bruno, sia una più ricca policromia. Il paesaggio rimaneva il tema d’elezione, ma non mancavano artisti specializzati nella pittura di figure oppure in quella con soggetti di ‘fiori e uccelli’.

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Uno scorcio dell’allestimento della mostra con sculture buddhiste.

Una sezione specifica della mostra era dedicata alle arti della prima fase della dinastia Ming connesse con la religiosità. Un tema piuttosto complesso, in realtà, che riflette l’eterogeneità di culti a disposizione nella Cina del XV secolo, i quali non solo si praticavano l’uno autonomamente nell’altro ma, spesso, si miscelavano dando vita a inedite manifestazioni, tipiche di una cultura cosmopolita e per certi versi molto tollerante. Il Buddhismo di stampo tibetano ha potuto convivere con il Taoismo, così come i precetti del Corano hanno rovato posto tra i meandri della religiosità popolare e con il Confucianesimo.

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“La giraffa donata come tributo all’imperatore cinese, con attendente”, 1414. Philadelphia Museum of Art.

A mio parere, la parte più interessante della mostra – non tanto per la qualità degli oggetti che, invero, era altissima nel complesso – era quella in cui si mettevano in evidenza le connessioni artistiche e culturali tra la Cina di quegli anni e il resto dell’Asia. Non solo, infatti, i manufatti cinesi di allora costituivano i modelli più diffusi tra gli stati tradizionalmente vicini all’area di influenza del Regno di Mezzo, ma si possono facilmente trovare relazioni formali e tematiche anche con aree più lontane, come quella Timuride. Non sorprenderà più, quindi che gli artisti dell’Asia Centrale svelino nelle loro opere stimoli cinesi, ad esempio nelle miniature, così come non deve meravigliare che porcellane cinesi siano conservate in siti dell’Africa orientale, tra Somalia, Kenia e Tanzania.
Rari invece erano gli oggetti cinesi che a quel tempo raggiungevano l’Europa, soprattutto per tramite di mercanti medio-orientali e nord-africani: tra quelli sopravvissuti se ne possono contare sulle dita di una sola mano. Una situazione che sarebbe cambiata da lì a qualche decennio, verso l’inizio del Cinquecento, allorchè i portoghesi cominciarono a fare regolarmente la spola tra l’Oceano Indiano e Lisbona, trasportando nel cosiddetto Vecchio Continente quantità sempre più ingenti di materiali cinesi. Oggetti preziosi che avrebbero trovato posto nelle ‘Stanze delle Meraviglie’, gli scrigni dei tesori delle più importanti corti d’Europa.
Ma questa è un’altra storia, diversa da quella – altrettanto stimolante – raccontata nella mostra del British Museum dedicata all’arte e alla cultura della Cina della prima metà del XV secolo.