In questo 2024 cade un anniversario particolarmente importante per la cultura del mondo.
Proprio settecento anni fa, l’8 gennaio 1324, moriva a Venezia Marco Polo.
Aveva settant’anni, una parte consistente dei quali vissuta in viaggio.
A diciassette anni, nel 1271, partì infatti con il padre Niccolò e lo zio Matteo.
Dalla laguna i tre avrebbero percorso migliaia e migliaia di chilometri fino a raggiungere – dopo aver attraversato terre allora per lo più poco conosciute se non misteriose – Khambaliq (o Dadu, l’odierna Pechino), la capitale dell’impero cinese.
Nella Cina della dinastia Yuan (1279-1368), sul finire del Duecento governata dall’imperatore Qubilay (1215-1294), nipote di Genghis Khan (1162-1227), il leggendario condottiero che avrebbe guidato l’ascesa dei mongoli verso la dominazione di un territorio immenso che comprendeva gran parte dell’Asia e i limiti orientali dell’Europa, Marco Polo si inserì così bene da assumere importanti incarichi governativi, facendo ritorno a Venezia solo 1295, trascorso ormai all’incirca un quarto di secolo dalla partenza.
Marco Polo non fu l’unico europeo ad avventurarsi in quel viaggio, che ha molto di mitologico, se si pensa che fu affrontato a piedi, a cavallo e sul dorso di cammello, lungo vie abitate da popolazioni sconosciute, in un susseguirsi di lingue, usi e costumi così diversi tra loro, figuriamoci se paragonati a quelli della Venezia duecentesca.
Un viaggio realmente straordinario, attraverso la Via della Seta, cosiddetta poiché fin dall’epoca romana quel tessuto cinese era il bene più prezioso che vi si traghettava. Da Venezia alle coste della Galilea, e poi in Armenia, e di lì in Persia; il Kothan e l’oasi di Dunghuang e quindi in Cina, fino alla capitale Pechino. Un percorso punteggiato di pericoli e sorprese, che i Polo riuscirono a superare solo grazie alle condizioni politiche stabilizzate dal dominio mongolo.
Le orde degli eredi di Genghis Khan inizialmente si imposero ovunque con la forza, ma fu la tolleranza che permise loro di governare, ad esempio con la scelta di affidare in certi casi a stranieri la gestione degli affari governativi, come accadde a Marco Polo.
E dunque, perché tra i tanti che affrontarono quel viaggio periglioso, soprattutto mercanti ma anche missionari inviati dal papato romano, proprio il Marco veneziano rimane tra loro l’unico che viene ancora oggi celebrato in tale pompa magna? Senza inoltre contare che pure molti furono quelli che compirono il viaggio al contrario, dall’Asia più lontana all’Europa cattolica, ne abbiamo prova certa dai documenti d’archivio del tempo e dai ritratti che di quei tartari fecero artisti come Ambrogio Lorenzetti e Pisanello, solo per citarne due.
La risposta è ovvia.
Marco Polo ci ha lasciato un resoconto – Il Milione o Devisement du monde, dettato a Rustichello da Pisa quando si trovava nelle carceri genovesi tra il 1298 e il 1299 – che è rimasto per molti secoli a venire la fonte primaria di conoscenza degli europei su quelle terre e civiltà lontane.
Se non avesse messo per iscritto la sua storia, sarebbe ancora oggi così famoso?
Oppure, anch’egli sarebbe rimasto solo uno dei tanti audaci viaggiatori di quell’epoca?
Tra le numerose celebrazioni che un po’ ovunque nel mondo si sono susseguite per onorare la memoria di questo grande personaggio, la mostra intitolata I mondi di Marco Polo. Il viaggio di un mercante veneziano del Duecento, tenutasi a Venezia nelle prestigiosissime sale di Palazzo Ducale, tra il 6 aprile e il 29 settembre 2024, è stato sicuramente l’evento più significativo in Italia.
L’ho visitata.
Curata da Giovanni Curatola e Chiara Squarcina, con la collaborazione di Marco Guglielminotti Trivel, era accompagnata da poderoso catalogo edito da Magonza. Tanti i saggi, tutti molto interessanti, a esplorare alcuni aspetti di questa vicenda cruciale nella storia dell’umanità. Una ricchezza di contenuti che ha imposto per il volume l’uso di un carattere davvero minuscolo e margini oltremodo risicati, ma va bene, sarà utile.
In sintesi, la mostra mi è piaciuta.
Le sezioni riflettevano l’evoluzione del percorso del viaggio di Marco, all’andata da Venezia (ampio spazio è stato dato alle recenti ricerche archeologiche e documentarie su quella che era la residenza dei Polo, oggi teatro Malibran) all’Asia minore (le due Armenie) e centrale (Persia e Afghanistan), fino ad arrivare in Cina; al ritorno seguendo la via costiera meridionale, tra il sud-est asiatico e l’India.
Mappe e carte geografiche (tra cui splendeva di luce propria lo spettacolare Mappamondo di Fra’ Mauro della metà del Quattrocento), strumenti scientifici, monete e opere d’arte di diverse provenienze e tipologie, tra cui sculture, vetri, ceramiche e tessuti, questi ultimi per gran parte provenienti dal Museo del Tessuto e del Costume di Palazzo Mocenigo, di cui la Squarcina è direttrice.
Certo, era subito evidente che la curatela fosse di Curatola, noto esperto di culture islamiche. E mi sono chiesto infatti se questa scelta non abbia adombrato la sezione dedicata alla Cina.
Ricordiamo infatti che se è vero che durante i viaggi di andata e ritorno egli visitasse un grandissimo numero di luoghi e avesse contatti con moltissime culture diverse, è però incontestabile che gran parte di questa straordinaria esperienza il Polo la visse in Cina.
La sezione dedicata all’impero cinese presentava molti manufatti di altissima qualità, tra tessuti, ceramiche, lacche e sculture di diversi materiali, potendo contare sul prestito di importanti istituzioni museali come il Museo di Shanghai e il Museo Reitberg di Zurigo.
Una garanzia, dunque, tanto che si è potuto inscenare un repertorio completo delle tipologie di ceramiche prodotte in Cina durante la dinastia Yuan.
A quale scopo? Per suggerire la conoscenza da parte del mercante veneziano di quel vasellame? Per glorificare, se ce ne fosse bisogno, l’insuperabile maestria dei cinesi in quell’arte?
Certo, il Polo deve aver visto qualcosa di simile, nonostante il vasetto che tradizionalmente si dice abbia riportato a Venezia, conservato nel Tesoro di San Marco e esposto in mostra, sia un manufatto di qualità piuttosto modesta.
Tre soli oggetti cinesi – due piatti e un vaso con invetriatura céladon conservati nel vicino Palazzo Correr – rendevano conto più o meno nel concreto del riflesso italiano ed europeo dell’esperienza poliana.
Secondo me, se ne poteva dare maggiore risalto. In altre parole, i pezzi presenti in mostra erano senz’altro molto belli, ma il legame con Polo era davvero teorico, e forse si poteva ‘pescare’ in quelle collezioni europee che conservano manufatti cinesi ‘ab antiquo’. Ce ne sono, pochi, ma ce ne sono.
Lo stesso si può affermare a proposito della piccola ma suggestiva sezione dedicata al Sud-est asiatico e all’India.
L’esposizione si concludeva con la fortuna de Il Milione in anni più recenti. Libri, disegni, fumetti, film.
Dal Trecento a oggi Marco Polo sembra addirittura ringiovanito. Una figura che nel tempo è diventata ben altro che viaggiatore e cronista, per entrare a fare parte di quella esigua schiera di imprescindibili capisaldi della civiltà umana.
PS:
In una piazza San Marco gremita all’inverosimile di orde di turisti, prima di entrare a visitare la mostra, ho alzato lo sguardo verso il Leone alato in bronzo, simbolo della città.
Ma è davvero possibile che sia un rimaneggiamento con aggiunte di un manufatto cinese di epoca Tang (618-906)?
Se così fosse, chissà attraverso quali vie è giunto in Laguna.
Di certo è stata una storia bellissima.