Nell’immaginario comune, e fin da tempi molto antichi, l’idea di porcellana è associata indissolubilmente alla Cina.
Non a caso.
Furono infatti per primi gli artigiani cinesi a sperimentare, a partire dalla dinastia Tang (618-907), soluzioni tecniche per affinare una ricetta da cui sarebbe scaturita una miscela di terre (tra cui prevalgono feldspato e caolino) che cotta ad altissime temperature dà vita a un impasto molto duro, per lo più privo di imperfezioni, bianco e impermeabile per effetto del rivestimento vetroso che veniva applicato sulle superfici esterne.
Un processo che raggiunse un suo culmine durante il periodo Yuan (1279-1368), allorché i sovrani di origine mongola allora alla guida del Paese promossero le attività di Jingdezhen, la cittadina nella provincia meridionale dello Jiangxi che da allora avrebbe ospitato le fornaci imperiali cinesi.
Il vasellame in porcellana era molto ambito, non solo entro i confini dell’impero ma anche nel resto dell’Asia e perfino in Europa. Piaceva non solo per le sue caratteristiche materiche, ma anche per le forme in cui veniva modellato e per i decori vivaci, realizzati prevalentemente in un brillante blu steso al di sotto della vetrina trasparente. Il cobalto utilizzato nella prima fase della storia della porcellana cinese era un minerale prezioso, importato a prezzi molto alti dall’Asia centrale. Gli intenditori cinesi lo hanno da sempre preferito a quello locale, quest’ultimo dai toni certamente più sommessi rispetto alla densità e le vibrazioni cromatiche con cui si presenta quello persiano.
Gestire questo pigmento in un forno che raggiunge e supera i 1.300° non è operazione semplice, e anzi richiede abilità molto elevate. Eppure, all’inizio del XV secolo, nella prima parte della dinastia Ming (1368-1644), i ceramisti di Jingdezhen raggiunsero una tale maestria che la produzione ‘bianco e blu’ di quell’epoca è considerata uno dei vertici nell’intera e straordinaria storia della porcellana cinese.
Gli imperatori Yongle (regno 1403-1424) e Xuande (regno 1425-1435), in particolare, furono convinti promotori delle fornaci di Jingdezhen, e il vasellame che si può ricondurre al periodo in cui essi governarono è entusiasmante, soprattutto quello esplicitamente destinato a corte.
La fiasca nel National Palace Museum di Taipei è un oggetto di inusitata eleganza.
Nella forma, all’incirca sferica, sormontata da collo a cilindro ai lati del quale sono applicate due eleganti prese a forma di testa di scettro ruyi (letteralmente “come desideri”, uno strumento liturgico a disposizione dei monaci buddhisti).
Nella decorazione, con il blu di cobalto che esprime al meglio tutte le sue potenzialità, in un alternarsi di zone in cui il colore è più diluito ad altre in cui è più profondo, soprattutto nelle montagne sulla fascia superiore del corpo, nelle quali si può apprezzare al meglio quell’effetto che gli inglesi hanno denominato ‘heaped and piled’, ovvero quell’addensamento di pigmento di cobalto con maggiori tracce di ferro che in cottura assume l’aspetto quasi di una bruciatura.
La danza che inscenano i personaggi si muove al ritmo semplice di flauto e tamburello. Le pose sono fluide, tra piccoli passetti, alzatine di braccia e lievi torsioni del capo e del torso. Un ballo antico, una tradizione senza età, una delle tante che si tramandano di generazione in generazione nelle immense e desolate lande dell’Asia centrale.
Le figure su questa fiasca non hanno infatti origine cinese, lo si intuisce guardando gli abiti che indossano e, soprattutto, le fisionomie dei loro volti: gli occhi grandi, i nasi prominenti, barba e baffi. Appartengono invece all’enorme coacervo di etnie che è quella parte d’Asia racchiusa tra i confini della Cina a est, della Persia a ovest e dell’India a sud. Una moltitudine di popolazioni che ha da sempre funzionato da filtro tra i due estremi geografici del continente euro-asiatico. Nomadi o stanziali, questi popoli hanno consentito che le merci e le idee si muovessero più o meno liberamente attraverso i territori in cui vivevano, veicolando la trasmissione culturale e artistica tra il potente impero cinese e i regni asiatici a ridosso dell’Europa.
Forti della loro storia già millenaria, i cinesi hanno da sempre ritenuto questi popoli alla stregua di barbari, nonostante ne ammettessero l’utilità a fini commerciali e ne apprezzassero alcuni costumi e usi. Fin dal periodo Han (206 a.C.-220 d.C), epoca in cui si aprì la cosiddetta ‘Via della Seta’ che collegava via terra Roma e Chang’an (odierna Xi’an), le merci più tipiche dell’Asia centrale – tra cui, ad esempio, i metalli e i vetri – raggiungevano l’impero cinese, attraendo l’interesse dei sovrani e dei nobili per la loro rarità e, contemporaneamente, ispirando le manifatture locali a prenderne spunto per rinnovare il proprio repertorio, nelle tecniche, nelle forme e nelle decorazioni. L’arte dell’Asia centrale ha palesemente stimolato in diversi momenti storici la produzione cinese, anche all’inizio del XV secolo, allorché i sovrani dell’allora giovane dinastia Ming promossero spedizioni e missioni esplorative al fine di estendere l’influenza politica e commerciale dell’impero sulle popolazioni esterne ai confini del Paese.
I rapporti tra l’Asia più occidentale e il cosiddetto ‘Impero di Mezzo’ si intensificarono esponenzialmente in quella fase, e non è dunque fatto strano che anche le porcellane di Jingdezhen di quel periodo presentino caratteristiche di ispirazione straniera. Se è evidente nella scelta del motivo decorativo di gusto ‘esotico’, la fiasca ‘bianco e blu’ del National Palace Museum di Taipei tradisce chiaramente pure nella forma il riferimento ai manufatti dei ‘barbari’ dell’Asia centrale, i quali erano soliti utilizzare contenitori di questo tipo realizzati tuttavia in altri materiali più o meno nobili, come i metalli, la pelle e la ceramica.
La porcellana dei periodi Yongle e Xuande, perfettamente esemplificata da questa splendida fiasca, avrebbe costituito un modello imprescindibile per tutta la produzione di Jingdezhen nei secoli a venire, venerata come inarrivabile per qualità ed estro ancora durante la dinastia Qing.
Fiasca ‘bianco e blu’
Cina, dinastia Ming, periodo Yongle (1403-1424)
Porcellana dipinta e invetriata, 29,7 cm. altezza
Taipei, National Palace Museum.
Questo articolo fa parte della serie: