Definire Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968) semplicemente come un pittore sarebbe davvero troppo riduttivo.
Nonostante sia stato indubitabilmente uno dei protagonisti dell’École de Paris, autore di dipinti che si distinguono tuttora per gusto e originalità, nello stile come nell’uso di particolari tecniche esecutive, Foujita è stato infatti un artista poliedrico, che si è cimentato con eguale passione nel disegno, nella fotografia (acquistò la sua prima Leica nel 1929), nell’illustrazione di libri, nella grafica pubblicitaria (per la compagnia di treni della Normandia e per i profumi Isabey), nella decorazione di mobili e ceramiche (per Lachenal a Châtillon intorno al 1930 e poi per Madoura a Vallauris negli anni cinquanta insieme a Picasso), nella creazione di abiti (disegnati per lui stesso e le sue compagne), nell’invenzione di scenografie e costumi per il teatro (sua la partecipazione a una celebre Madama Butterfly andata in scena alla Scala di Milano la prima volta nel 1951), nell’architettura.
Uomo dall’ego smisurato, eccentrico per indole (adorava i travestimenti), amante appassionato (ebbe cinque mogli e per lui posarono diverse centinaia di modelle) e instancabile viaggiatore, Foujita perseguì con forza nel corso di tutta la sua vita il sogno di unire l’Oriente e l’Occidente attraverso l’arma più potente che aveva a disposizione.
La sua arte.
“Solo la forza dell’arte può trascendere i confini e le barriere razziali per penetrare nel cuore dell’uomo. Nell’amicizia tra due paesi, lo scambio più utile è quello degli artisti. Ecco perché ho lavorato ogni giorno della mia vita anche se la gente tende a dire: “Ma lui è solo un pittore!””
Questo affermava con convinzione, che per l’appunto l’arte avesse la forza di essere un ponte solido tra culture anche molto diverse.
Lui, artista e uomo visionario, riuscì sicuramente in questa impresa, per certi versi epica.
Le sue opere hanno infatti un pubblico che più eterogeneo non si potrebbe. E’ amato in Francia così come in Giappone, negli Stati Uniti come in America Latina. Il suo segno, i suoi colori, le sue composizioni e le sue invenzioni trascendono tutti i limiti geografici, temporali e stilistici per entrare di diritto nell’alveo dell’arte più iconica del Novecento globalizzato.

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Lo studio di Soutine, 1913. Reims, Musée des Beaux-Arts.
Foujita nacque col nome di Tsuguharu Fujita nel 1888 a Tokyo in una famiglia di origini aristocratiche. Sia suo padre Tsuguakira sia sua madre Masa (morta precocemente quando Fujita era ancora un bambino) avevano una grande passione per tutto ciò che riguardava l’Europa, in un periodo in cui il Giappone – uscito da pochi decenni da un plurisecolare isolamento – perseguiva con caparbietà una modernizzazione ispirata da quanto accadeva nel resto del mondo.
Talento precoce (già a quattordici anni aveva ricevuto commissioni da parte dell’imperatore mentre un suo acquerello fu selezionato per l’Esposizione Universale del 1900 a Parigi), il giovane Foujita si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Tokyo frequentando – tra gli altri – i corsi di Kuroda Seiki (1866-1924), pioniere della pittura in stile occidentale (yōga) che aveva vissuto per alcuni anni in Francia, come alcuni altri suoi contemporanei, poi ritornati in patria per diffondere ciò che avevano appreso all’estero.
Foujita aveva dunque ben chiaro il percorso artistico che intendeva intraprendere, sebbene negli anni della sua formazione si confrontasse costantemente anche con l’estetica e le tecniche tradizionali dell’Asia più orientale, approfondite inoltre in un viaggio che compì in Cina e Manciuria nel 1906.

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Crocifissione, 1920 circa.
Il 1913 è stato cruciale nella vita di Foujita, poiché in quell’anno prese la decisione di trasferirsi a Parigi. Sebbene il progetto iniziale prevedesse che vi risiedesse per soli tre anni, la capitale francese sarebbe diventata la sua città d’elezione, un luogo di riferimento per tutto il resto della sua vita.
Fin dal suo arrivo si stabilì a Montparnasse, allora senza dubbio il quartiere più vivace dal punto di vista artistico, nel quale vivevano personaggi come Soutine, Picasso e Modigliani, con cui il giovane giapponese – soprannominato ‘Fou Fou’ – strinse da subito intensi rapporti personali.
In quei primi anni in Europa Foujita visitò costantemente i musei parigini, soprattutto il Louvre, rimanendo particolarmente colpito dall’arte antica italiana di ambito sacro, un’infatuazione che lo accompagnerà per tutta la sua carriera.
Nel 1916, nel pieno della guerra e in condizioni finanziarie precarie, si trasferì per un periodo a Londra per lavorare come restauratore di mobili presso un mercante giapponese.
L’anno seguente ritornò a Parigi. Comunicò al padre la sua ferma decisione di rimanere in Europa, divorziò dalla prima moglie Tomi Tokita che aveva sposato nel 1912, e poco dopo sposò la giovane pittrice Fernande Barrey (1893-1974).
In quello stesso 1917 espone presso la Galleria Chéron un gruppo di 110 acquerelli, gran parte dei quali con figure femminili. Nonostante la situazione economica generale non fosse florida a causa degli eventi bellici, Foujita riuscì a vendere tutte le opere, alcune delle quali acquistate da Picasso.
Fu un successo inaspettato che spalancò le porte della notorietà al giovane artista di origini giapponesi.
L’anno successivo trascorse – insieme alla moglie, Soutine e Modigliani – un periodo a Cagnes-sur-Mer su invito del mercante Léopold Zborowski. Fu in quell’occasione che ebbe modo di conoscere Renoir, allora già avanti con gli anni. Il pittore francese, già apprezzatissimo in Giappone, era un punto di riferimento stilistico per Foujita, che mai avrebbe dimenticato quell’incontro.

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Nudo femminile, 1922. Parigi, Musée d’Art Moderne de Paris.
Di ritorno a Parigi fu ospite ancora della Galleria Chéron con una serie di opera di tema cristiano, realizzate in un stile per il quale fu coniata la definizione di “gotico-giapponese”.
Ancora una volta l’esposizione ebbe un notevole successo di critica e di vendite.
Le sue opere – esposte nelle più importanti mostre che si tenevano in città, tra cui il Salon d’automne e il Salon des indépendants – erano molto diverse da quelle degli altri protagonisti dell’École de Paris attivi in quegli stessi anni, proprio per la loro commistione di Oriente e Occidente, nella tecnica come nello stile. Foujita utilizzava infatti in uno stesso dipinto la linea calligrafica tipica della pittura a inchiostro di origine giapponese (sumi-e), tratteggiata solitamente con un pennello dalla punta sottilissima, alla quale affiancava dettagli a olio di gusto europeo caratterizzati dalla delicatezza dei colori, diversi dall’accesa policromia prediletta dalla più parte degli altri artisti parigini suoi contemporanei. Il fondo bianco, opalino e iridescente che diventerà cifra peculiare dei suoi dipinti del terzo decennio, ottenuto con una mistura di olio di semi di lino, gesso tritato e silicato di magnesio, fu una sua invenzione a lungo rimasta un segreto.
Il risultato erano immagini di ostentata sobrietà ed eleganza, nell’impostazione delle figure e in una scelta cromatica a volte tenue a volte più esuberante, grazie anche all’uso di foglia d’oro per il fondo. Una scelta quest’ultima che se da un lato richiama la pittura italiana pre-rinascimentale, d’altra parte ripropone un artificio diffusamente presente nella pittura giapponese, soprattutto in quei dipinti realizzati nell’ampio formato del paravento.

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Autoritratto con gatto, 1927.
Già agli inizi degli anni Venti la pittura di Foujita si impose per il suo linguaggio ibrido. Sue esposizioni personali saranno organizzate in quegli anni anche a Bruxelles e Rotterdam, mentre nel 1922 due suoi dipinti furono selezionati per la mostra dell’associazione Teiten di Tokyo.
Le sue composizioni più apprezzate di quel periodo sono senza dubbio i nudi femminili, tra cui quello intitolato Youki, déesse de la neige che trionfò al Salon d’automne del 1924, e nel quale è ritratta la bella Youki, ovvero Lucie Badoud (1903-1964), la donna per cui nel 1923 avrebbe lasciato la sua seconda moglie e che sarebbe stata la sua modella preferita di quegli anni.
Il successo ebbe come conseguenza il susseguirsi di commissioni, tra cui si ricorda quella di grande prestigio ricevuta nel 1928 da parte di Jirohachi Satsuma, fondatore della Maison du Japon della Cité Universitaire Internationale. A Foujita fu richiesta un’opera monumentale che illustrasse la cultura giapponese. L’artista realizzò quattro grandi pannelli (3 x 3 m circa ognuno) che avrebbero formato due dittici, intitolati rispettivamente Grand composition e Combat.

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Combat, 1928 (dettaglio).
Si tratta di composizioni ambiziose, nelle quali si dispongono dinamicamente figure nude e animali, dipinti utilizzando la linea di inchiostro per i profili e una colorazione tenue ma efficace. Foujita trovò ispirazione per questo suo capolavoro nelle opere di Velàzquez, in quelle di Rodin e – soprattutto – nel Giudizio Universale di Michelangelo, che aveva potuto ammirare nel 1921 nel corso di una visita a Roma, rimanendone letteralmente folgorato.
Nonostante la loro indubbia qualità, i pannelli non piacquero al committente perché – obbiettò quest’ultimo – erano poco aderenti allo scopo per cui erano stati realizzati.
A lungo creduti irrimediabilmente persi, nel 1992 furono donati dall’ultima compagna di Foujita al Conseil départemental de l’Esson; dopo un lungo restauro, dal 2007 sono esposti al Domain de Chamarande.
Pur deluso, Foujita onorò il suo impegno realizzando due altre opere, ultimate nel 1929: L’arrivo degli occidentali in Giappone e Cavalli, conservate tuttora nella Maison du Japon per cui erano stati concepite.
L’arrivo degli occidentali in Giappone è un dipinto che riprende esplicitamente un tema già ampiamente collaudato della pittura tradizionale giapponese, in voga soprattutto tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, il periodo in cui ebbero luogo i primi rapporti diretti con gli europei. Foujita rielaborò quel soggetto adeguandolo alla contemporaneità, scegliendo tuttavia di collocare le grandi figure su un fondo di foglia d’oro, in maniera analoga a quanto fecero gli artisti giapponesi attivi nel periodo Momoyama (1573-1615).

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Fiori e uccelli, 1929. Parigi, Union du Cercle Interallié.
In quello stesso periodo si colloca anche la realizzazione di un’altra opera monumentale su commissione del Cercle de l’Union interalliée. Il riferimento alla pittura tradizionale nipponica è in questo caso ancora più stringente, con gli uccelli e le piante disposti lungo un corso d’acqua parzialmente celato da foglie d’oro che simulano le ondulazioni delle nuvole. Ancora una volta – nel formato che ricorda le porte scorrevoli fusuma e nella combinazione di una cromia vivace, che nell’effetto ricorda le stesure di lacca, con il fondo oro – Foujita trae ispirazione dalla grande pittura di epoca Momoyama, per lo più eseguita dai membri della scuola Kanō, introducendo inoltre – soprattutto nella resa dei volatili – spunti formali che rimandano alle opere di Itō Jakuchū (1716-1800), uno dei protagonisti dell’arte del periodo Edo (1615-1868).
All’apice del successo, nel 1931 Foujita decise di lasciare la Francia per sfuggire a una cospicua richiesta di denaro da parte del governo per tasse non pagate. Dopo aver abbandonato senza alcun preavviso la moglie, s’imbarcò dunque per un lungo viaggio in compagnia della sua nuova conquista, la cantante e ballerina Madeleine Lequeux. Per circa due anni girovagò in lungo e in largo per le Americhe, scattando una grande quantità di fotografie con cui immortalò non solo Madeleine ma anche gli abitanti di quei luoghi in una sorta di reportage.
I suoi dipinti ottennero un grande successo anche nel Nuovo Continente.

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Le Salon à Montparnasse, 1930. Ginevra, Association des Amis du Musée du Petit Palais.
Nel 1933 si trovava a Tokyo, dove la Galleria Nichido di Ginza organizzò una mostra con i suoi ultimi lavori. In patria la sua pittura moderna e cosmopolita fu accolta con grande entusiasmo, e Foujita decise di rimanervi per qualche tempo. Il rapporto con Madeleine era invece in crisi. Dopo un periodo a Parigi, la donna ritornò in Giappone ma la relazione con Foujita si era ormai completamente deteriorata, a causa della gelosia di Madeleine e al suo uso smodato di alcool e droghe. Morirà in Giappone nel 1936, un evento traumatico per l’artista.
Una gelosia forse non del tutto infondata, considerando che Foujita avrebbe sposato la giovane Kimiyo a Tokyo nel 1938. Con lei partì per la Francia nel 1939, dove però poté rimanere ben poco poiché fu costretto a far ritorno in Giappone nel maggio del 1940 a causa degli eventi bellici.
Durante gli anni della guerra ebbe un ruolo attivo nell’esercito, inviato come illustratore e pittore su vari fronti tra cui, nel 1941, in Indocina. Le scene di battaglia che dipinse rimangono tuttora molto controverse: alla fine delle ostilità fu aspramente criticato per il suo collaborazionismo.
Riuscì a ottenere il visto per l’espatrio solo nel 1949, anno in cui si recò a New York su invito della Scuola di Belle Arti di Brooklyn. Tuttavia, Foujita non avrebbe mai insegnato in quella istituzione, preferendo dedicare tutte le energie alla sua arte.

Léonard Tsuguharu Foujita (1886-1968), Ritratto di signora belga, 1934.
Nel 1950 riuscì finalmente a far ritorno in Francia, grazie anche al diretto interessamento delle autorità del paese. Appena arrivato aprì uno studio a Montparnasse, ma si rese presto conto che anche il clima artistico era nel frattempo completamento cambiato, con l’inarrestabile successo della pittura astratta rispetto a quella figurativa che lui ancora praticava con convinzione.
Tuttavia, nonostante ciò, i suoi disegni e i suoi dipinti – figure femminili e gatti – continuavano a entusiasmare una folta schiera di collezionisti che poterono ammirarli grazie alle numerose mostre alle quali partecipò.
Nel 1955 venne naturalizzato francese insieme alla moglie, e nel 1957 ottenne la promozione a ufficiale della Legione d’Onore.
Intanto, la sua riflessione sulla religione si fece sempre più intensa finché, nel 1959, non decise di convertirsi al cattolicesimo, ricevendo in quello stesso anno il battesimo con il nome di Léonard (in onore di Leonardo da Vinci), nel corso di una solenne cerimonia che si tenne nella cattedrale di Reims.
La sua pittura da allora si caratterizzò prevalentemente per temi sacri, ispirata nello stile dall’antica pittura europea.
Il suo testamento artistico è la decorazione dell’interno di una cappella che egli stesso aveva progettato anche da punto di vista architettonico per un sito nei pressi di Reims. A quest’opera monumentale dedicò tutte le energie a sua disposizione, lavorando con intensità nel suo studio di Villiers-le-Bâcle nella Vallé de Cheuvreuse nell’Essonne, cittadina nella quale si era trasferito nel 1960.

Interno della Cappella Foujita a Reims.
Morirà nel 1968 in una clinica di Zurigo dove si era recato qualche mese prima per tentare di frenare la brutta malattia che lo aveva colpito.
Si concluse così l’avventura di Foujita, artista di successo e personaggio dalle mille sfaccettature, ancora oggi celebrato in ogni paese del mondo per il suo approccio cosmopolita all’arte e alla cultura.
MOLTO INTERESSANTE DA AMMIRARE E STUDIARE.