‘Bianco e blu’ è in pratica sinonimo di porcellana cinese.
Fin dagli esordi della sua produzione in epoca Yuan (1279-1368), le fornaci ufficiali di Jingdezhen predilessero di gran lunga il blu di cobalto per decorare vasellame di tutte le forme e funzioni. Resisteva meglio degli altri minerali alle altissime temperature che era necessario raggiungere perché il corpo ceramico si fondesse perfettamente con la coperta vetrosa e l’effetto cromatico che restituiva a lavoro ultimato era vibrante, brillante, emozionante.
Nei secoli successivi, nonostante i ceramisti cinesi sperimentassero un numero incredibile di innovazioni nell’uso di smalti di colori diversi e nelle tonalità delle vetrine, il ‘bianco e blu’ rimase una costante, e fino ai giorni nostri questo binomio ha conservato intatto tutto il suo indiscutibile fascino.
Nella storia della porcellana cinese, il tema del drago è probabilmente il più ricorrente.
Sovrano indiscusso della mitologia, tramite tra gli dei e la natura (alla quale anche l’uomo appartiene) e simbolo del potere imperiale, il drago è l’emblema della lunghissima e straordinaria Civiltà del Fiume Giallo.
Gli artisti di Jingedezhen che – a partire dal XIII-XIV secolo – si sono cimentati con la sua raffigurazione lo hanno ritratto nel corso del tempo in tutta la sua magnificenza, con il corpo sinuoso ricoperto di squame, il museo allungato con i denti affilati, le corna di cervo, gli artigli induriti, in posa dinamica tra dardi fiammeggianti, cumuli di nuvole e le onde impetuose del mare, spesso all’inseguimento della Perla.
Il drago ‘bianco e blu’ è dunque il più longevo e ammirato dei draghi.
La sua forza echeggia ancora tra noi, che al suo cospetto solleviamo la testa verso il cielo estasiati da cotanta sovrannaturale bellezza.