E’ in uscita nelle sale italiane un colossal intitolato 47 Ronin, diretto da Carl Rinsch e con attore protagonista Keenu Reeves.
Non ho ancora visto il film, ma farò di tutto per vederlo, nonostante le recensioni che ho avuto modo di leggere su internet non siano tutte positive. Sarà senz’altro stracolmo di effetti speciali, ma sono curioso di capire com’è stata adattata la trama agli standards holliwoodiani. Sono molto curioso poiché la storia alla quale si ispira il film è una di quelle che ha contribuito a formare la mia passione per il Giappone e la sua cultura.
I 47 rōnin del titolo del film sono infatti i personaggi di una storia realmente accaduta in Giappone nei primissimi anni del Settecento. Una storia che ai tempi ha emozionato tutto il popolo dell’arcipelago e che tuttora costituisce parte preponderante dell’immaginario collettivo nipponico. Essa è inoltre diventata patrimonio grandioso dell’interà umanità, poiché i sentimenti che ne scaturiscono – coraggio, lealtà e senso di giustizia – non hanno nazionalità ma riguardano tutti i popoli del mondo.
La storia è in breve questa.

Utagawa Kuniyoshi (1797–1861), Kira Kozukenosuke Yoshinaka, dalla serie “Seichu gishi den”, 1847-1848
Asano Takumi no kami Naganori (1667-1701), un importante signore feudale (daimyō), fu preselto dallo shōgun (generalissimo) Tokugawa Tsunayoshi (1646-1709) per ricevere a Edo (l’attuale Tokyo) una delegazione imperiale proveniente da Kyoto. Fu allora che entrò in scena Kira Kozukenosuke Yoshinaka (1641-1702), maestro di protocollo, un uomo di bassissimo profilo umano, al quale lo stesso shōgun aveva chiesto di seguire la faccenda. I due non andarono d’accordo fin dall’inizio del loro rapporto, proprio a causa della meschinità di Kira che fin da subito si ingegnò per umiliare e mettere in cattiva luce Asano.
Quest’ultimo non aveva però indole pacata e le discussioni degenerarono presto in lite. Asano cedette alle provocazioni e sguainò la spada. Un errore imperdonabile, poiché un simile gesto era perentoriamente proibito nei palazzi dello shōgun. Asano fu quindi arrestato, i suoi beni confiscati e i suoi familiari imprigionati. Succubi del potente Kira, i giudici non esitarono ad emettere una crudele e ingiusta sentenza di morte per Asano che fu obbligato a commettere seppuku, il terribile suicidio rituale.
La notizia sconvolse i samurai fedeli ad Asano i quali, capeggiati da Ōishi Kuranosuke, giurarono di vendicare a tutti i costi il loro signore. Divennero allora rōnin (浪人), letteralmente “uomini onda”, termine con il quale si identificavano quei samurai privi di signore; si dispersero facendo perdere le loro tracce, agirono in modo che i più dimenticassero la faccenda, preparando invece una terribile vendetta. Tale era la loro determinazione che tutti non esitarono ad abbandonare le loro famiglie, consci che molto probabilmente non le avrebbero mai più riviste. Ōishi cominciò a peregrinare, fingendosi perso nella totale dissoluzione: cominciò a frequentare posti malfamati e a dedicarsi alle gozzoviglie. Solo in apparenza però…
I 47 uomini si riunirono infatti il 14 dicembre del 1702. Nella notte si recarono al palazzo di Kira a Edo, sgominarono i suoi uomini e si presentarono al suo cospetto. Gli offrirono di suicidarsi, ma egli rifiutò con disonore e perciò Ōishi gli tagliò la testa con la stessa spada con cui Asano aveva commesso seppuku. Il capo reciso di Kira fu portato al tempio Sengakuji, offerto al proprio signore che lì era stato seppellito. La storia emozionò profondamente tutti ma il generale sentimento benevolo nei confronti di quegli eroi non servì ad evitare la condanna. I 47 rōnin furono costretti essi stessi al seppuku: anche i loro corpi furono sepolti nel Sengakuji, insieme al loro signore.
Questo tempio nel cuore di Tokyo è dedicato al culto del Buddhismo Zen. Tuttavia, i milioni di visitatori che vi si recano tutto l’anno lo frequentano ora solamente per rendere omaggio ai protagonisti della storia. Io l’ho visitato e vi assicuro che le tombe dei 47 rōnin sono meta soprattuto di un pellegrinaggio religioso e non dell’omaggio di fanatici. I giapponesi, infatti, hanno elevato quegli uomini a divinità, numi tutelari di ideali senza tempo quali il coraggio e la lealtà.
La storia dei 47 rōnin commosse talmente il popolo giapponese da diventare un ‘classico’ nel volgere non di anni ma di settimane. Nonostante l’implicito colpevole del dramma non fosse soltanto il diabolico Kira, bensì pure lo shōgun e il suo corrotto entourage, i nipponici non ebbero tema nell’idealizzare quei fedeli samurai, in pratica assolvendoli da ogni colpa. Fin da subito quindi l’episodio ispirò molti generi artistici e letterari, contribuendo a perpetuare quegli ideali per le generazioni future.

Chikamatsu Monzaemon (1653-1724), Libretto del “Goban Taiheiki”, in scena presso il Teatro Takemoto di Osaka nel 1710.
I maggiori successi la storia li ottenne senz’altro a teatro.
Già Chikamatsu Monzaemon (1653-1724), il più grande drammaturgo nella storia del Giappone, ne trasse ispirazione per un suo libretto nel 1710, intitolato Goban Taiheiki e destinato al teatro delle marionette Bunraku. Per non rischiare di incorrere nelle punizioni della censura egli ambientò la storia nel periodo Kamakura (1185-1333) e cambiò i nomi dei personaggi.
Quest’opera ispirò praticamente tutti i successivi drammi dedicati alla storia dei 47 rōnin, a partire da quella che maggiore successo ebbe e continua ad avere. Si tratta del Kanadehon Chūshingura (仮名手本忠臣蔵, letteralmente “Il tesoro dei servitori fedeli”), che è tuttora rappresentato nei maggiori teatri del paese con costante e grandissima affluenza di pubblico. Fu scritto da Takeda Izumo (1691-1756), Miyoshi Shoraku (1696-1772) e Namiki Senryu (1695-1751), e messo in scena per la prima volta per il Bunraku nell’agosto del 1748 presso il teatro Takemoto-za di Osaka. Nello stesso anno ne fu tratta una versione per il teatro Kabuki, che divenne in brevissimo tempo il pezzo forte del repertorio ‘classico’ di questa forma teatrale popolare giapponese.
Il Kanadehon Chūshingura (solitamente abbrievato in Chūshingura) si compone di 11 atti. La trama è sì ispirata ai fatti realmente accaduti ma non poche sono le licenze, certo per rendelo più appetibile al pubblico ma anche per non incorrere nelle sanzioni della censura. E’ per quest’ultima ragione, ad esempio, che i nomi dei personaggi impersonati dagli attori sono diversi da quelli reali, così come è per maggiore appetibilità che gli autori hanno introdotto diversi personaggi femminili anch’essi, come in tutto il teatro Kabuki, impersonati naturalmente da attori maschi.
Dal punto di visto grafico, il Chūshingura è stato rappresentato al meglio dalle stampe di quel genere artistico noto come Ukiyo-e, ovvero le “immagini del Mondo Fluttuante”. Si tratta della forma d’arte che meglio ha raccontato i cambiamenti della società giapponese avvenuti durante il periodo Edo (1603-1868). Fu allora che, in un paese finalmente riappacificato dopo moltissimi anni di guerre fratricide, si sviluppò una nuova cultura urbana nella quale aveva ruolo centrale la neonata borghesia, rappresentata soprattutto da ricchi mercanti. Gli artisti dell’Ukiyo-e furono i testimoni per immagini di questo mondo cittadino, che più che altrove attecchì a Edo. Le loro stampe illustrarono molti aspetti della vita gaudente di Tokyo, in particolar modo i divertimenti prediletti, dalle beltà dello Yoshiwara, il ‘quartiere a luci rosse’, all’amore per il paesaggio; dalle storie tradizionali al Kabuki. Il teatro fu infatti soggetto al quale si dedicarono praticamente tutti gli artisti dell’Ukiyo-e. In gran parte dei casi erano gli stessi impresari teatrali che commissionavano agli artisti più in voga del momento di ritrarre gli attori: le stampe erano poi vendute nei teatri, e costituivano una sorta di souvenir; in altri casi, invece, agli artisti si richiedeva di illustrare i programmi teatrali della stagione.

Programma illustrato (e-banzuke) per il dramma Kabuki “Kanadehon Chûshingura” messo in scena nel 1787 presso il teatro Kiri di Edo.
Esistono perciò circa 5000 stampe dell’Ukiyo-e ispirate dal Chūshingura, tante quante furono le repliche che si susseguirono dalla prima metà del Settecento a oggi. Grazie a queste opere, spesso realizzate da protagonisti assoluti dell’Ukiyo-e, quali Hokusai (1760-1849), Utamaro (1753-1806) e Hiroshige (1797-1858), solo per citare tre nomi conosciuti anche in Occidente, è possibile ripercorrere le vicende dei 47 rōnin così come sono state rappresentate in quello che è senza dubbio il più classico dramma nella storia del teatro giapponese.
Qui di seguito la trama in breve, atto per atto, del Chūshingura, illustrata da alcune stampe dell’Ukiyo-e.
Atto I
Il prologo della vicenda. Il fratello dello shōgun e alcuni importanti signori feudali si riuniscono per santificare un elmo che era appartenuto ad un valoroso avversario del generalissimo. Alla cerimonia sovrintende l’arrogante Moronō (alias Kira), governatore di Kamakura, che ha il compito di controllare che i signori Wakasanosuke e Enya Hangan (alias Asano) facciano tutto secondo il protocollo. Morono ha un debole per Kaoyo, la bella moglie di Hangan: con una scusa le consegna quella che è una vera e propria lettera d’amore. Assiste alla scena Wakasanosuke che si intromette minacciando il perfido Moronō.
Atto II
Per risolvere la questione Wakasanosuke chiede al suo samurai Kakogawa Honzō di uccidere Moronō. Tuttavia Honzō, succube del potere del perfido Moronō, si reca a casa di lui e invece di eseguire gli ordini si umilia e gli chiede scusa in nome del suo signore.
Atto III
Honzō cerca di calmare le acque riportando la pace tra i due. Inaspettatamente Moronō chiede scusa a Wakasanosuke, costringendolo perciò a non estrarre la spada. Hangan porta una lettera di sua moglie Kaoyo che rigetta le sue avances. Moronō lo deride accusandolo di non aver capito il contenuto della lettera. Le offese continuano finché Hangan non reagisce sguainando infine la spada, un gesto che avrà conseguenze letali.
Atto IV
Gli inviati dello shōgun, pur non essendo tutti d’accordo, proclamano la colpevolezza di Hangan, gli confiscano le sue terre e lo costringono al seppuku. Il suo uomo più fido Ōboshi Yuranosuke (alias Ōishi) arriva nel preciso momento in cui Hangan si uccide. Yuranosuke allora giura che lo vendicherà, mentre Kaoyo e gli altri uomini fedeli ad Hangan lo piangono offrendo incenso in sua memoria. E’ uno dei momenti di maggiore pathos dell’intero dramma.
Atto V
Entra ora in scena Kanpei, uno dei samurai di Hangan. Sta ritornando a Yamazaki dove vive la sua amata. Certi pensieri lo assillano: condurrà una vita appartata per recuperare quel denaro che gli consentirà di potersi riappropriare del titolo ormai perduto di samurai e così unirsi ai suoi vecchi compagni. Contemporaneamente, Ono Sadakurō, anch’egli già nelle fila di Hangan che aveva però rifiutato l’invito a unirsi con i vendicatori, uccide un vecchio uomo che si scopre poi essere il suocero di Kanpei, Yoichibei. Nel buio Kanpei non lo riconosce credendo sia un orso, gli spara e lo uccide. Prende allora la borsa che in realtà apparteneva a Yoichibei, ma i soldi lì contenuti – che avrebbe usato per riunirsi ai compagni che intanto organizzavano la vendetta – erano quelli che Yoichibei aveva guadagnato vendendo sua figlia come prostituta.
Atto VI
Quest’atto è principalmente dedicato alla figura di Kanpei. Egli già eraa apparso nel III atto, colpevole di gingillarsi con la moglie Okaru mentre il suo padrone Hangan compiva seppuku; poi, nel V atto, abbiamo visto ciò che gli era accaduto. In questo atto, finirà per suicidarsi.
Atto VII
E’ sicuramente il momento più popolare e amato di tutto il dramma, il cui protagonista è Yuranosuke. La scena è ambientata nella casa Ichiriki di Kyoto, nella quale lavora anche Okaru, moglie del defunto Kanpei. Yuranosuke la frequenta fingedosi dedito solo ai piaceri mentre in realtà sta organizzando la vendetta. Moronō, avendo avuto notizie su questi preparativi, decide di inviare il suo fido Kudayū per spiarlo. Quest’ultimo organizza perciò dei tranelli per farlo scoprire obbligandolo, ad esempio, a mangiare pesce nel giorno dell’anniversario della morte di Hangan. Pur sapendo di contravvenire ad una regola, Yuranosuke mangia la sua porzione per non destare sospetti. La scena forse più nota è quella in cui Yuranosuke riceve una lettera da parte di Kaoyo, nella quale la moglia di Hangan gli fornisce dettagli sui preparativi della vendetta. Non solo Kudayū lo spia, ma anche Okaru che crede però si tratti di una lettera d’amore. Yuranosuke decide allora di ucciderla. Tuttavia, proprio in quel mentre arriva Heiemon, fratello di Okaru che, desideroso di unirsi al gruppo dei vendicatori, si offre di uccidere la sorella per provare la sua lealtà. Yuranosuke ci crede e perdona entrambi.
Atto VIII
E’ rappresentata una drammatica danza in cui protagoniste sono Tonase e Konami, rispettivamente moglie e figlia di Honzō, le quali sono in viaggio verso Kyoto per cercare Rikiya, figlio di Yuranosuke, per il quale Konami prova un forte sentimento d’amore. I personaggi di questa danza saranno protagonisti anche nell’atto successivo.
Atto IX
La scena è ambientata nella residenza di Yuranosuke nei pressi di Kyoto. Il protagonista è Kakogawa Honzō. Samurai fedele ad un altro signore feudale, era già apparso nel III atto, nel quale impediva a Enya Hangan di uccidere Moronō. Allora egli credeva di essere nel giusto, ma nel frattempo sua figlia Konami si era fidanzata con Rikiya. Tuttavia la proposta di matrimonio da parte di Tonase per la figlia fu rifiutata da O-Ishi, moglie di Yuranosuke. Honzō, spinto dai rimorsi e disperato per aver contribuito alla tristezza di sua moglie e di sua figlia, decide di sacrificare la sua vita per espiare l’errore commesso.
Atto X
Yuranosuke ha coinvolto nel piano di vendetta Amakawaya Gihei, un mercante; è certo che riuscirà così ad ottenere le armi che necessita per l’attacco. Gihei aveva mandato sua moglie da suo suocero per salvarla. Il suocero voleva però in realtà che i due divorziassero così che la donna avesse potuto risposarsi con un ricco mercante. In quel momento arrivano gli uomini di Yuranosuke. Anche quando minacciarono di ucciderne il figlio egli non rivelò il nascondiglio delle armi. Allora Yuranosuke si fa riconoscere, constata la lealtà di Gihei e punisce la moglie tagliandole i capelli perché si faccia monaca.
Atto XI
E’ arrivata la grande notte. Un notte di dicembre in cui il freddo è pungente per la neve. I 47 rōnin, travestiti da pompieri, attaccano infine la casa di Moronō. Il capo reciso del perfido Moronō viene portato sulla tomba di Hangan. L’atto ha lunghezza piuttosto breve e si concentra sugli scontri armati rappresentati come danze. Il seguito della storia, ovvero la condanna al suicidio rituale degli eroi non va in scena.
Tutti, tra il pubblico conoscono come si conclude questa straordinaria storia di coraggio, vendetta e lealtà, e non è quindi necessario entrare nei dettagli di cronaca. Allo spettatore, allora come ora, basterà aver rivissuto quelle vicende. A fine spettacolo, non avrà altro da afare che riflettere, gioire e scegliere chi più l’ha emozionato tra quegli eroi che la storia e l’arte hanno reso immortali.
* Ho scritto questo modesto articolo per ‘lasciare memoria’ di una conferenza che ho tenuto a Firenze il 5 aprile 2014 per gli amici dell’associazione Eumeswil. E’ stata l’occasione per ‘ripassare’ le vicende dei 47 rōnin, che tanto hanno contribuito a formare la mia grande passione per la cultura giapponese.