Che cosa hanno in comune Xu Wei (1521-1593) e Vincent Van Gogh (1853-1890)?
Mettendo a confronto la loro opera, si direbbe nulla.
I dipinti di questi due artisti sono infatti così diversi – in tutto, nello stile, nei soggetti, nella concezione – che di più non si potrebbe.
Xu Wei fu maestro nella pittura e nella calligrafia a solo inchiostro bruno su carta.
Van Gogh è soprattutto conosciuto per la selvaggia policromia dei suoi dipinti a olio, per l’esplosione dei colori brillanti stesi per impasti di consistenza quasi tattile.
I due sono inoltre espressione di due culture lontanissime tra loro, il primo vissuto nella Cina dei Ming e il secondo nell’Europa dell’Ottocento.
Tuttavia, qualcosa che li accomuna esiste, ed è il loro approccio alla pittura.
Non convenzionale, libero, spontaneo, al di fuori dagli schemi, pura espressione del proprio Io.
La pittura di Xu Wei e di Van Gogh è dunque riflesso delle loro personalità, sicuramente originali; di più, bizzarre; di più, tormentate; di più nevrasteniche.

Xu Wei, Crisantemi e bambù. Liaoning Provincial Museum.

Xu Wei era pazzo.
Così almeno si dice.
Nato a Shaoxing (provincia dello Zhejiang), non ebbe un’infanzia facile: aveva perso il padre quando era molto piccolo e anche la madre scomparve quando ancora era un adolescente.
Tuttavia, nonostante le difficoltà, Xu Wei riuscì a dimostrare precocemente il suo grande talento per la calligrafia e la poesia. Fin da bambino profuse tutte le sue energie nello studio dei classici della letteratura, requisito indispensabile per poter intraprendere la prestigiosa carriera del funzionario pubblico, alla quale ambiva più di ogni altra cosa. Egli non riuscì però a superare i difficilissimi esami pubblici che gli avrebbero permesso di proseguire quel percorso a più alti livelli. La delusione fu così cocente da aprire una ferita nella sua mente che mai più si sarebbe rimarginata.
Fu allora che cominciò a dare segni palesi di squilibrio.
Xu Wei si sentiva depresso, deriso dalla sfortuna, perseguitato dalla mala sorte. La morte della sua prima moglie, dopo appena cinque anni di matrimonio, fu un altro duro colpo. E letali furono l’incarcerazione nel 1563 per tradimento e la successiva morte del generale Hu Zongxian, figura di spicco della burocrazia imperiale che l’aveva assoldato nel suo entourage, incarico che egli aveva accettato con entusiasmo e un certo sollievo.

Xu Wei, Composizione con fiori. Philadelphia Museum of Art.

Sopraffatto dalla paranoia, Xu Wei si era però convinto che un simile drammatico destino spettasse a lui stesso. Entrò allora in un vortice di pura follia, accentuata dall’uso smodato di bevande alcoliche. I resoconti del tempo riportano numerosi e plateali avvenimenti accaduti in quegli anni, tra i quali ben nove tentativi di suicidio, una volta conficcandosi un’ascia nel cranio e un’altra martellando chiodi nelle orecchie.
Il baratro gli si parò innanzi inesorabile quel giorno che, accecato dalla gelosia, uccise senza pietà la sua seconda moglie.
Il carcere fu inevitabile, e lì trascorse sette anni dipingendo e scrivendo come mai prima aveva fatto, finché fu liberato grazie all’intercessione di un suo potente ammiratore.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita in solitudine e poverissimo, riuscendo a sostentarsi solo grazie alla sporadica vendita delle sue opere, sempre più succube di quel delirio mentale con cui aveva convissuto per tutta la sua esistenza.

I dipinti di Xu Wei sono pura foga, esternazioni selvagge di pericolose incursioni nella fragile psiche di un uomo tormentato. Osservando le macchie e i fendenti sulla carta nelle sue opere, si percepisce chiaramente la sua personalità, sempre in bilico tra ragione e follia. Xu Wei non ammette nessun intermediario tra il proprio Io e la sua pittura. Non c’è stile cui si rifaccia esplicitamente né misura che possa placare la sua furia pittorica, tra rigurgiti e spruzzi di materia nera.
Xieyi, pittura libera, questa è una delle definizioni che si associano allo stile dei suoi dipinti; pomo, la tecnica di versare inchiostro sulla superficie pittorica per poi lavorarlo che spesso utilizzò. Certo, si scorge nel suo approccio un’eco della pittura di Shi Ke e dei monaci-artisti Chan, così come certi modi impulsivi di Wu Wei, ma Xu Wei va oltre.
Come Van Gogh, egli destruttura il dato reale fino a scomporlo in una miriade di particelle d’inchiostro, per poi ricostruirne la forma con un vocabolario tutto suo. La sua è una pittura impetuosa, istintiva, e in alcuni casi sembra quasi che egli – in preda a chissà quali angosce – non riesca a gestirla, che essa proceda per conto suo, non dal cuore, non dal cervello, ma dal più recondito anfratto della sua mente.

Xu Wei, Tralci di vite. Pechino, The Palace Museum.

Xu Wei era tristemente consapevole della sua instabilità, se a margine di una delle sue composizioni più famose, il dipinto con Tralci di vite conservato nel Palace Museum di Pechino, scrive: “Sono stato sfortunato per metà della mia vita e sono già diventato un vecchio; me ne sto nel mio studio da solo nel vento del tardo pomeriggio. In nessuna parte del mondo posso vendere le perle create con il mio pennello: posso solo lasciarle cadere libere e casuali nella giungla delle piante selvatiche”.

Quando la sua opera fu riscoperta, alla fine della dinastia Ming, il talento fuori del comune di Xu Wei deflagrò prepotentemente tra gli autori in cerca di fonti di ispirazione per rinnovare la propria pittura. Sono innumerevoli gli artisti di fama che lo hanno riverito, fino ai giorni nostri, tanto che egli è da molti considerato come il fondatore della moderna pittura cinese.