Mentre sto qui a scriverne, si sta tenendo a New York – nell’ambito dell’annuale appuntamento dell’Asia Week – una delle più belle vendite di arte estremo-orientale degli ultimi anni, e forse di sempre.
Va infatti in asta presso Christie’s la straordinaria collezione appartenuta a Robert Hatfield Ellsworth (1929-2014), che è stato collezionista, mercante, conoscitore e studioso con una specializzazione in arte dell’Estremo Oriente, cinese in particolare.
Per me questa figura è legata in particolare ad un libro, il monumentale Later Chinese Painting and Calligraphy (1987), tre volumi preziosi per meglio conoscere una fase recente, e ancora poco indagata, della storia della pittura e della calligrafia cinese.
La vendita è stata organizzata in sette sessioni che si succederanno dal 17 al 21 marzo di questo 2015.
Mi piacerebbe poter raccontare almeno qualcuna di queste vendite (ho buoni propositi, ma realizzarli è altra storia…), e per questo mi limiterò in questa occasione a scrivere qualcosa a proposito della prima sessione che si è tenuta il 17 marzo, la quale può comunque considerarsi esemplificativa della portata dell’evento nel suo insieme.
Dedicata a capolavori di arte cinese, giapponese, indiana, himalayana e del Sud-Est asiatico, ha totalizzato l’astronomica cifra di oltre 60 milioni di $. Il risultato è tanto più straordinario considerando che i lotti presentati erano solamente 58. Tutti i pezzi sono stati venduti, ovviamente, qualcuno a cifre davvero ragguardevoli.
Qui di seguito, alcuni degli highlights, che ho scelto da una parte per il risultato economico raggiunto, dall’altra per soddisfare le mie esigenze di gusto.
Gli exploits sono iniziati subito, fin da lotto n. 1, con il quale si presentava una straordinaria scultura in bronzo dorato raffigurante un orso seduto, realizzata durante la dinastia degli Han Occidentali (206 a.C. – 8 d.C.). Alta solamente 7,6 cm., aveva una stima di 200.000-300.000 $ ma l’acquirente se l’è aggiudicata alla bella cifra di $ 2.853.000, ovvero oltre dieci volte il prezzo di partenza.
Quello che colpisce maggiormente di questa scultura è la naturalezza della sua posa, con la zampa anteriore destra sollevata al capo e quella anteriore sinistra posata sulla coscia dell’arto posteriore sinistro. Notevole è la patinatura del bronzo e i dettagli incisi per la resa della pelliccia. Sembra che questo genere di oggetto fosse utilizzato per ancorare al terreno quelle stuoie di bambù che i letterati usavano distendere per sedersi quando si sistemavano all’aperto. L’orso appartenuto a Hatfield Ellsworth è quindi uno di una serie di quattro: un altro è noto, pubblicato da Eskenazi nel 1980 e appartenuto al senatore Hugh Scott di Washington DC, dei due altri non se ne conosce l’ubicazione e se siano sopravvissuti agli eventi della storia.
Il risultato eccezionale ottenuto da questo gioiello della fusione cinese è, a mio parere, confortante. Nonostante gli acquirenti cinesi abbiano abbondantemente dimostrato di prediligere soprattutto manufatti di epoche più recenti, risalenti ad esempio alla dinastia Qing (1644-1911), e non abbiano mostrato finora un particolare interesse per i reperti della propria archeologia, un oggetto di grande qualità e rarità come questo orso, proveniente da una collezione così prestigiosa, non può lasciare indifferenti. Mi chiedo, a tale proposito, se l’acquirente possa anche non essere stato un collezionista cinese: perchè no!
L’opera al lotto n. 8 è una delle mie preferite tra quelle andate in asta lo scorso 17 marzo. Ma deve essere piaciuta a molti se, stimata $ 1.000.000-1.500.000, è stata poi venduta alla ragguardevole cifra di $ 4.869.000, diritti d’asta inclusi. Si tratta di un meravigliosa scultura in bronzo raffigurante un saggio seduto, realizzata in Tibet tra l’XI e il XII secolo, alta cm. 34,2. Io la conoscevo poiché essa campeggia ieratica sulla copertina del volume di C. Reedy, Himalayan Bronzes (1997), un testo indispensabile per chi voglia approcciarsi a questo argomento, tanto affascinante quanto complesso.
Gli esperti di Christie’s hanno identificato il personaggio come Padampa Sangye, un asceta di origini indiane che raggiunse il Tibet nella seconda metà dell’XI secolo. Se davvero il ritrattato di questa scultura fosse lui, si tratterebbe della sua più antica raffigurazione, realizzata plausibilmente in anni immediatamente successivi alla sua morte.
Questa scultura è uno di quei rarissimi pezzi che possono, a mio parere, far aumentare il ritmo delle pulsazioni cardiache. Il suo corpo è talmente armonico che sembra trascendere l’umana comprensione; il suo sguardo è puro magnetismo, estasi di conoscenza ultraterrena. Un capolavoro, dunque, per il quale ogni prezzo è poca cosa, ad averceli, naturalmente…
Simili sensazione può senz’altro ispirare la scultura offerta al lotto 25, un altro dei moltissimi capolavori appartenuti a Hatfield Ellsworth. Stimata $ 2.000.000 – 3.000.000, chi se l’è aggiudicata ha dovuto pagare l’autorevole cifra di $ 8.220.000, uno dei prezzi più alti battuti il 17 marzo.
Si tratta di una importante scultura in bronzo dorato raffigurante il bodhisattva Avalokiteshvara, alta ben 63,4 cm. E’ opera nepalese del XIII secolo, più volte pubblicata come uno dei migliori esemplari di questa tipologia conosciuti. Avalokiteshvara era oggetto di un fervente culto in Nepal, fin dal VI secolo d.C., soprattutto nell’area di Katmandu, dove si produssero opere in uno stile immediatamente riconoscibile, noto come Newari. Questa scultura è molto simile ad una, altrettanto nota, conservata nel Los Angeles County Museum of Art. Entrambe si caratterizzano per l’elegantissimo slancio del movimento di testa, torso, arti, anche e gambe, senz’altro ispirato alla scultura indiana di stile Gupta.
Il lotto che maggiori soddisfazione dal punto di vista economico ha dato alla Christie’s è stato però il n. 41, con il quale si offriva all’incanto un gruppo di quattro sedie cinesi in legno di huanghuali, con spalliera e braccioli (tipologia quanyi).
Datate alla fase finale della dinastia Ming (1368-1644), quella prima metà del XVII secolo che è considerata unanimamente come il periodo di maggior fulgore dell’ebanisteria cinese, le quattro sedie partivano da una stima di 800.000 – 1.200.000 $, ma sono state aggiudicate a 9.685.000!
A fare la differenza, la straordinaria qualità del legno, le cui sfumature nelle spalliere evocano i contorni di un paesaggio montano; l’eccezionale qualità dell’intaglio; la superba tecnica con cui sono state assemblate senza, ovviamente, l’ausilio di alcun chiodo. Tuttavia, sono anche convinto che il prezzo l’abbia fatto il numero di contendenti per l’acquisto, ognuno dei quali era evidentemente deciso a prendersele, come si dice, ad ogni costo.
Il prezzo spuntato dal lot 45 rispecchia perfettamente l’andamento attuale del mercato dell’arte estremo-orientale, nel quale gli acquirenti cinesi hanno a disposizione grandissime quantità di capitali da investire per riappropriarsi delle opere della loro cultura svendute nei decenni precedenti, mentre l’arte giapponese – fino a qualche anno fa richiestissima – stenta ora a tenere il passo. Non che i 509.000 $ spesi per accaparrarsi la coppia di paraventi a sei ante a quel numero di lotto sia poca cosa ma, mi chiedo, cosa sarebbe potuto accadere qualche anno fa? D’altronde i due paraventi hanno una bellissima qualità pittorica: raffigurano dodici cavalli, ognuno dei quali disposto su un’anta, tutti evidentemente appartenti alla stessa stalla. Datati al XVII secolo, nella prima parte quindi del periodo Edo (1603-1868), partivano da una stima di $ 200.000 – 250.000.
Per concludere, oltre alle utili analisi sull’andamento attuale del mercato dell’arte estremo-orientale, quello che ha messo in evidenza quest’asta è la straordinaria confidenza di Robert Hatfield Ellsworth con quel grande bacino culturale, la sua innata capacità di individuare la qualità e la rarità quale prime doti di un manufatto, la sua costanza come studioso (una delle sessioni d’asta dedicate alla sua collezione riguarda proprio la sua eccezionale biblioteca specialistica), il suo gusto come conoscitore. Tra le migliaia e migliaia di pezzi che egli ha trattato come mercante nel corso della sua lunghissima carriera, quelli che non ha voluto alienare hanno abitato fino alla sua morte nella sua bellissima casa di New York. Egli ha potuto così circondarsi fino alla fine delle opere che più l’hanno entusiasmato, vivendo fino in fondo quella sua grandissima passione per le artti tutte dell’Asia.