Le graffette in metallo che segnano irrimediabilmente la sezione inferiore.
Un semplice rammendo, con le morse disposte asimmetricamente a seguire la linea della rottura.
Niente a che vedere con l’eleganza del kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”), l’antica e sopraffine tecnica di restauro giapponese che consiste nell’applicazione di lacca dorata negli interstizi della ceramica che hanno subito il trauma. L’effetto dell’intervento è emozionante, ed ha implicazioni filosofiche di sofisticata risonanza, tra le quali il rispetto per la storia di un oggetto e la predilezione per quei manufatti che mostrano con evidenza i segni del trascorrere del tempo.
No, la cucitura su questa ciotola non ha tali caratteristiche. Essa appare sicuramente più grezza, assumendo l’aspetto di quelle cicatrici che restano dopo un intervento medico poco attento, con i punti di sutura applicati frettolosamente o da mano poco esperta.
Eppure, questa tazza è una delle ceramiche cinesi più conosciute e importanti che siano conservate in Giappone, tant’è che essa è stata designata come Importante Proprietà Culturale, un rango che viene accordato solo a quegli oggetti degni di stima superiore (Tokyo National Museum, inv. TG2354, dono di Mitsui Takahiro).
Di piccole dimensioni (cm. 9,6 x 15,4), ha pareti arrotondate che sull’orlo superiore si muovono in una vibrante ondulazione a sei lobi. L’intera superficie è rivestita di una splendida invetriatura verde, di una tonalità chiara che nei riflessi traslucidi e alteri ricorda acque incontaminate, il ghiaccio che ricopre un campo, le atmosfere di una fredda e tersa mattina d’inverno.
Genericamente, le ceramiche asiatiche con coperta verde sono definite céladon ma, in questa ciotola tale connotazione appare riduttiva, considerando la sua meravigliosa translucentezza e le variegazioni che ne percorrono sia l’esterno sia l’interno, in un intenso susseguirsi di sfumature.
Essa è eccellente esemplare della produzione delle fornaci di Longquan (provincia del Zhejiang), realizzata nel XII-XIII secolo, durante la dinastia dei Song Meridionali. I manufatti migliori di quell’epoca non si possono in alcun modo considerare prodotti seriali, bensì opere d’arte a tutti gli effetti, realizzate da artisti che imprimevano con la loro sensibilità una specifica personalità a ogni pezzo che modellavano e cuocevano, nella forma, nelle proporzioni e nella densità tonale della coperta vetrosa.

Ritratto di Asgikaga Yoshimasa

Secondo un documento del 1727, la ciotola nel museo di Tokyo arrivò in Giappone subito dopo la sua creazione. Fu infatti donata nel 1175 da Busho, maestro del Buddhismo Zen, a Shigenori, membro influente della famiglia Taira che all’epoca contendeva al clan dei Minamoto il controllo politico e militare sull’intero Paese. Questa tradizione non è però unanimamente accettata, mentre è certo che la tazza fosse nelle disponibilità dello shōgun Ashikaga no Yoshimasa (1435-1490), finissimo esteta e conoscitore, che la conservava in un padiglione della sua residenza adibito a scrigno dei tesori, insieme a numerosi altri oggetti cinesi (karamono), allora molto venerati.
Iniziatore della cultura connessa con la Cerimonia del Tè (Chanoyu), Yoshimasa inviò proprio questa tazza – allora già danneggiata – in Cina perché i ceramisti di Longquan ne producessero una simile.
Con sua grande sorpresa, la ciotola gli fu rinviata con la riparazione che ancora oggi la caratterizza. I ceramisti cinesi ammisero così implicitamente di non possedere più le abilità tecniche per produrre oggetti di quel tipo, ed esplicitamente consigliarono al dittatore giapponese di conservare con grande cura quel cimelio non più replicabile, e così egli fece, con nostro grande gaudio.
Dopo quell’evento, lo shōgun decise di dare un nome a quella straordinaria ciotola: Bakōhan, letteralmente “graffette grandi come locuste”, epiteto con il quale essa è ancora oggi conosciuta.
Quei morsetti in metallo che scansionano la linea irregolare della rottura, sono dunque ben altro che una riparazione o un restauro. Essi si possono invece a diritto considerare la prova tangibile del preciso momento storico in cui il vasellame céladon di Longquan del periodo Song assurse al rango di sinfonia.
Del verde, naturalmente.