Non posso certo dire, come si usa spesso fare, che il libro di cui sto qui per scrivere mi sia semplicemente “capitato tra le mani”.
Prima ancora che entrassi in libreria con la ferma intenzione di acquistarlo per poi leggerlo, avevo già sentito parlare, e in più occasioni, di un nuovo romanzo, che m’avrebbe potuto interessare poiché la trama aveva a che fare con i netsuke.
All’inizio non mi sembrò strano che la lettura di questo libro mi fosse consigliata da persone in qualche modo coinvolte con i netsuke. Ed è perciò che a quei tempi, nel 2010, anno in cui fu pubblicato per la prima volta in lingua inglese, quando ne ebbi notizia da amici OltreManica, non gli diedi particolarmente peso. E neanche mi incuriosì quando, appena uscita l’anno dopo in Italia la traduzione per Bollati Boringhieri, me ne parlarono appassionati italiani di netsuke.
Chissà, forse ai tempi, superficialmente, pensai che potesse trattarsi di una fantasticheria in cui i netsuke avevano un qualche ruolo di curiosità, come se fossero un vezzo malcompreso, presi a spunto da un autore letterario il cui nome allora non mi diceva assolutamente nulla. Inserì quindi autore e titolo nello scomparto del mio cervello riservato ai ‘Libri da leggere’, tra quelli con ‘priorità bassa’ e semplicemente me ne dimenticai.
La mia decisione di leggere Un’eredità di avorio e ambra di Edmund de Waal venne in seguito, nel momento in cui alcuni amici, non particolarmente coinvolti dalla passione per i netsuke quanto invece accorti conoscitori di letteratura contemporanea, me ne segnalarono ancora l’esistenza, consigliandomi vivamente di leggerlo non tanto per la presenza nella trama degli amati ninnoli giapponesi, quanto invece per le sue discrete qualità letterarie.
Ed è per questo motivo che questo libro mi è piaciuto. Perché è un buon romanzo, una saga familiare che si svolge dalla metà dell’Ottocento all’oggi tra l’Inghilterra, la Francia, l’Austria, Odessa e il Giappone. Fin dalle prime pagine, allorché Edmund de Waal inizia la sua ricerca a ritroso tra le vicende della sua famiglia, ci si rende conto che i netsuke non saranno protagonisti del romanzo. Essi rappresentano, è vero, il trait d’union della storia, intorno al quale si dipanano i fatti, ma sono questi ultimi che muovono la lettura, mentre i netsukepassano di mano in mano tra i membri della famiglia attraverso diverse generazioni. Certo gli antenati di Edmund de Waal, affermato ceramista
residente a Londra, non erano per così dire gente comune. Sono gli Ephrussi, ricchissimi banchieri ebrei di origini russe, che hanno vissuto da protagonisti nella Parigi della Belle Époque e nella Vienna tra le due Guerre. Amanti e conoscitori d’arte, si circondarono di opere di grande qualità, formando collezioni di acclamati capolavori, del Rinascimento italiano, del Rococo francese e dell’Impressionismo. I netsuke dunque erano una goccia in un mare di splendore e magnificenza. Rappresentarono all’inizio il coinvolgimento di Charles Ephrussi nella moda giapponista che dilagò nella Parigi fin de siècle tra intellettuali, intenditori e artisti come fosse un germe per il quale non v’era antidoto. Poi, proprio perché piccoli, minuscoli e meno eclatanti rispetto ad altri generi artistici, i netsuke riuscirono a scampare alla vergogna nazista che mise in ginocchio per sempre la famiglia Ephrussi del ramo viennese. La storia dei ninnoli dopo la fine della Seconda Guerra è certo meno travagliata, non meno interessante ma sicuramente più tranquilla rispetto ai decenni precedenti, e infatti l’autore la risolve in un numero di pagine molto inferiore rispetto ai trascorsi parigini e viennesi.
Edmund de Waal scrive bene (anche il traduttore ha il suo merito) e dimostra di conoscere bene la grande storia che si sviluppò intorno ai fatti della sua famiglia. Il suo modo di costruire l’ambientazione, che si tratti di Parigi o di Vienna, è avvincente, ma mai pedante, e così la lettura scorre senza intoppi tra gran balli in abiti eleganti, la descrizione dei cafè della capitale austriaca, le deportazioni, la sconfitta giapponese, la polvere di Odessa.
I netsuke sono menzionati dall’inizio alla fine, dal momento in cui entrarono a far parte della raccolta di famiglia alla loro attuale sistemazione, come collezione dell’autore, formata da circa duecento pezzi. De Waal ne descrive succintamente alcuni, ma sempre per situarli nel contesto del romanzo, senza mai indugiare su aspetti tecnici o iconografici (avrebbe potuto, anche solo seguendo i consigli di Joe Earle, notissimo esperto di netsuke, che ringrazia alla fine del volume), mettendo invece in evidenza solo la loro funzione di ‘ricettacoli’ della memoria.
In molti, tuttavia, si saranno incuriositi riguardo a questi oggettini, nessuno dei quali è in verità illustrato nel romanzo, che pure contiene alcune immagini, soprattutto fotografie di famiglia. Per questo l’autore ha inserito nel suo personale sito web le immagini di alcuni dei suoi pezzi. Per questo, e anche per soddisfare la crescente curiosità dei lettori, oltre che per sfruttare la crescente popolarità del suo romanzo, egli ha pubblicato nel novembre del 2011 una nuova versione del suo libro in cui compaiono le foto della sua ‘eredità di avorio e ambra’.
Chissà se arriverà anche in Italia questa versione illustrata. In sincerità, spero proprio di no. Ne verrebbe fuori un volume sui netsuke, uno tra i tanti, e forse il romanzo perderebbe quel suo fascino letterario che insieme poco e moltissimo deve a quei capolavori dell’arte giapponese.