Ancora nell’ambito degli eventi organizzati a New York per Asian Week 2016, Bonham’s propone per il 16 marzo un’asta interamente dedicata all’arte giapponese.
Il catalogo, bisogna ammetterlo, non è memorabile per qualità delle opere, ma si distingue comunque per una certa varietà delle tipologie di manufatti. Sono infatti presenti buoni esemplari di sculture, armi e armature, stampe dell’Ukiyo-e, dipinti, ceramiche e porcellane, lacche, metalli e cloisonné.
Il mercato dell’arte giapponese, ho già scritto in più occasioni, è in vistose difficoltà, a causa sì della difficile situazione finanziaria del Paese del Sol Levante, ma anche per la contemporanea e irrefrenabile ascesa dell’arte cinese nel panorama mondiale.
Mi ripeto, ma tengo a sottolinearlo. Questa situazione è frutto di logiche commerciali che nulla hanno a che vedere con il collezionismo più autentico. Semplicemente, chi acquista arte per investire non ritiene opportuno farlo in un ambito che, nel futuro immediato, non assicura un rendimento soddisfacente. In altre parole, è più facile e più remunerativo ‘piazzare’ un’opera d’arte cinese, nonostante possa essere costata una cifra folle, piuttosto che rischiare con un manufatto giapponese.
Queste le regole spicciole del mercato delle antichità.
Tuttavia, chi fosse lungimirante potrebbe sfruttare il momento attuale per investire. I prezzi dell’arte giapponese sono infatti ora piuttosto bassi, ma non durerà per sempre. E quindi, chi avrà acquistato a buone condizioni potrà fare le sue oneste speculazioni tra qualche anno.
Tutto ciò, ovviamente, non riguarda il collezionista appassionato. Per dire, chi ama l’arte giapponese ha comprato in passato a prezzi alti e continua a farlo ora a costi più modesti.
Detto questo, veniamo ad alcuni lotti offerti da Bonham’s in questa tornata newyorkese.
Tra i finimenti da samurai, si evidenzia un’armatura completa offerta a 70.000-90.000 $ (lot 3010). Datata al XIX secolo, durante la fase finale (bakumatsu) del periodo Edo (1603-1868), ha un elmo molto più antico, risalente al periodo Muromachi (1333-1573), e nello specifico al XVI secolo.
Sulla sua superficie compare lo stemma araldico della famiglia Yamaguchi. Sembra infatti che questa preziosa armatura sia appartenuta a Yamaguchi Hirokuni (1808-1869) che fu a capo di questa importante famiglia giapponese, caduta in disgrazia intorno al 1833 a causa della grave carestia che mise in ginocchio tutto il paese.
L’armatura entrò poi in possesso di Takimoto Hidemaro (1892-1962), che fu generale dell’esercito giapponese. Proprio a quest’ultimo si deve la lettera che accompagna il lotto, in cui si danno dettagliate informazioni riguardo all’elmo. Esso dovette appartenere a Takeda Tenkyū (Shigeyasu), fratello minore del celebre samurai Takeda Shingen (1521-1573). Shigeyasu fu ucciso nella battaglia di Kawanakajima nel 1561, e sepolto nel tempio Kakuso-ji (moderna prefettura di Nagano), nel quale sembra sia stato per molto tempo conservato quest’elmo.
Tra le sculture si segnala il lotto 3026, con il quale viene offerta una coppia di figure di guardiani in legno dipinto. Alte entrambe cm. 106,7 (compresa la base), raffigurano rispettivamente Tamonten e Zochoten, due dei Quattro Guardiani Celesti (Shitennō). Di origini indiane, queste divinità avevano il compito di proteggere il Buddha dai nemici. Ed è per questo che anche in Giappone di solito sculture che le raffigurano sono poste ai quattro vertici dell’altare, occupato in posizione centrale da un’icona del Buddha.
Le due sculture proposte da Bonham’s si caratterizzano per la tradizionale iconografia che riguarda questi personaggi del pantheon buddhista. Indossano un’armatura di stile cinese ed hanno nelle mani gli usuali attributi e armi; il volto esprime fierezza e potenza; i piedi calpestano figure demoniache assoggettate. I colori e le dorature – applicati su una base in gesso – sono vivi, nonostante le due statue si possano datare al tardo periodo Muromachi (XV-XVI secolo). Gli occhi sono inserti di cristallo.
La stima è di 35.000-45.000 $.
Il lotto 3083 è un raro rotolo orizzontale (emaki) a firma di Miyagawa Chōshun (1683-1753), uno dei protagonisti dell’Ukiyo-e. Dipinto a inchiostro e colori vivaci su seta, misura cm. 27,2 x 340. E’ stato pubblicato in almeno due occasioni: da Richard Lane, Images from the Floating World: The Japanese Print, Secaucus NJ 1978, pp. 89-90, tav. 83; e da Tsuneo Watanabe and Jun’ichi Iwata (traduzione di D.R. Roberts), The Love of the Samurai: A Thousand Years of Japanese Homosexuality, Londra 1989, in copertina e pp. 137-145. Questo pedigree ha contribuito sicuramente alla sua stima, tra i 35.000 e i 45.000 $.
Il rotolo si compone di dieci scene separate, in ognuna delle quali è raffigurato un amplesso tra due uomini, ed in particolare tra un uomo più anziano ed un giovane samurai, quest’ultimo vestito di abiti femminili, così come femminile è l’acconciatura.
E’ noto che l’omosessualità nel Giappone antico era una pratica piuttosto diffusa, soprattutto tra i militari e all’interno dei monasteri. Come illustrato in questo rotolo, spesso essa assumeva i modi di una sorta di noviziato, con un uomo esperto e più influente che educava il giovinetto. Tuttavia, nonostante fosse un fenomeno ampio, l’omosessualità fu solo raramente soggetto di opere d’arte. Ed è per tale motivo che questo rotolo ha una particolare importanza. Tanto più che il suo autore, Chōshun, è uno di quegli artisti che merita senz’altro una maggiore attenzione, poiché indubitabilmente dotato di talento.
Di straordinaria qualità, e rarità, è il grande piatto in porcellana Ko-Kutani al lotto 3152. Stimato 60.000-80.000 $, è databile alla metà del XVII secolo; misura cm. 40,6 di diametro.
Personalmente, ho sempre avuto un debole per quel periodo della produzione di porcellana in Giappone. Mi entusiasma la freschezza dei decori, sia policromi sia ‘bianco e blu’, e l’eleganza con cui sono disposti gli smalti, dalle tonalità vivaci. La produzione Kutani si sviluppò in parallelo con quella poi definita ‘Imari’. In questa fase, essa era destinata prevalentemente al mercato interno, per far fronte alle richieste che non potevano più essere soddisfatte dall’importazione di porcellane dalla Cina che, in quel frangente, attraversava un turbolento periodo politico e sociale per l’avvicendarsi delle dinastie Ming e Qing. Questa fase durò solo pochi decenni. Ad essa ne seguì un’altra, caratterizzata da una produzione più esplicitamente riservata all’esportazione verso l’Europa, non sempre raffinata come quella precedente.
Il piatto Ko-Kutani offerto da Bonham’s ha un’impostazione del decoro piuttosto classica nel suo genere, con una composizione di fiori e uccelli disposta sul fondo, intorno alla quale si svolge un tappeto di fogliame su cui si sovrappongono contenitori a zucca. Suggestivo anche il retro, con un ornato più parco di tronchi fioriti e fogliati.
Tra i manufatti in metallo, mi piace qui segnalare il lotto 3209. Si tratta di un contenitore smaltato a cloisonné a forma di abitazione (cm. 10,2 x 12,3 x 10,2), realizzato intorno al 1900 da Kumeno Teitarō (1861-1939). La sua stima è di 20.000-30.000 $. La lavorazione si distingue per una cura dei dettagli non comune. Ogni elemento di una tradizionale abitazione giapponese è presente, dalla paglia del tetto alle porte scorrevoli shōji. Si vedono anche gli elementi naturali che usualmente circondano la casa nipponica: le piante e i fiori in giardino, l’albero di ciliegio i cui rami si distendono sul tetto, galli e galline sul selciato. Il tutto disposto con grazia e perizia tecnica, secondo i canoni della più pura estetica giapponese.