“Nell’intera mia vita non ho mai avuto niente: sono solo un artista. Riguardo alle mie opere, non penso che abbiano bisogno di molto per essere interpretate. Quando le guardi, credo si possa capire facilmente quello che voglio esprimere… sono concetti davvero semplici.”
Così Sanyu descrisse la sua arte.
E, crediamo, meglio non avrebbe potuto.
I suoi dipinti, realizzati prevalentemente a olio su tela o su masonite, sono infatti elegantissima combinazione di poche linee fluide e colori prevalentemente saturi, sintesi estrema di calligrafismi di origine cinese e accordi cromatici di gusto modernista.
Il risultato finale è dunque una pittura che sembra sovrapporre – con risultati sorprendenti – le caratteristiche delle straordinarie invenzioni di Bada Shanren con il fauvismo più raffinato di Matisse.
Sanyu riuscì non casualmente a elaborare uno stile pittorico così originale.
Esso infatti riflette perfettamente la formazione e le inclinazioni artistiche di questo ispirato protagonista della pittura del Novecento, riconosciuto come tale solo da alcuni decenni.
Nato nel 1895 a Nanchong nella provincia del Sichuan, Chang yu (常玉: Sanyu è il nome che volle assumere una volta trasferitosi in Francia) era il più giovane dei dodici figli del fondatore di una florida impresa specializzata nella produzione di seta.
In famiglia fu subito chiaro che quel bambino avesse un certo talento per l’arte e nessuno si oppose a una sua formazione in quell’ambito.
Egli cominciò a seguire le lezioni di poesia e calligrafia di Zhao Xi (1877-1938), e contemporaneamente a esercitarsi nella pittura con suo padre, abile soprattutto nella raffigurazione di cavalli (tema che lo stesso Sanyu avrebbe ripreso frequentemente nel corso della sua carriera).

Sanyu (1895-1966), Nudo femminile su tappeto, anni Trenta. Olio su tela, 79 x 127,5 cm. Collezione privata.
Il periodo dell’adolescenza di Sanyu coincide con un’epoca di stravolgimenti sociali e politici per la Cina. Il 1911 è infatti l’anno in cui l’Impero della dinastia dei Qing collassò definitivamente soppiantato dalla Repubblica. Il passaggio fu piuttosto traumatico, provocando reazioni anche violente tra le opposte fazioni, tra chi voleva un ritorno al passato – in realtà anacronistico – e chi invece percepiva con forza la necessità di una rapida modernizzazione del paese, nonostante criticasse i metodi colonialisti delle potenze straniere che frequentavano ormai in pianta stabile la Cina.
Un dibattito che coinvolgeva tutti gli ambiti della società cinese, dalla tecnologia alla giurisprudenza, dall’educazione alla cultura, e quindi anche quello artistico.
Tra gli artisti, chi appoggiava la fazione più disponibile al dialogo con il resto del mondo non di rado sceglieva di trasferirsi in Europa per apprendere le modalità con cui si evolveva quel continente, quasi sempre ritornando in patria dopo un periodo più o meno lungo trascorso all’estero per divulgare quanto aveva imparato.

Sanyu (1895-1966), Vaso con gigli su fondo rosso, anni Quaranta. Olio su masonite, 91 x 50 cm. Venduto presso Christie’s Hong Kong il 1° dicembre 2021 per oltre 11 milioni di €.
In molti frequentarono assiduamente anche il Giappone, paese in cui il processo di modernizzazione, anche in ambito artistico, era iniziato alcuni decenni prima,
intorno al 1870, ed era dunque in stato piuttosto avanzato all’inizio del Novecento.
Chi non poteva per un qualche motivo recarsi all’estero, si teneva aggiornato su quelle dinamiche di precoce globalizzazione spostandosi a Shanghai, la più cosmopolita città cinese, nella quale viveva una folta e ormai integrata comunità di europei e statunitensi.
Sanyu sperimentò tutte queste possibili vie.
Nel 1918-1919 visse infatti a Tokyo, dove risiedeva uno dei suoi fratelli maggiori che di lì a poco avrebbe conseguito la laurea in ingegneria.
L’anno dopo frequentò Shanghai, dove si erano costituite numerose scuole di pittura nelle quali si sperimentava un inedito approccio all’arte, certamente ispirato da quello che accadeva contemporaneamente a Parigi.
La capitale francese era al tempo la meta ambita da tutti gli artisti, un vero e proprio laboratorio di novità e inedite sperimentazioni. Con la fine della Prima Guerra un inedito entusiasmo animava le sue strade: nei suoi café affollati si riunivano artisti e poeti provenienti da ogni parte del mondo.
Sanyu si trasferì in Europa nel 1921, in maniera analoga a quanto fecero anche altri giovani artisti cinesi in quegli stessi anni, tra cui Xu Beihong.

Sanyu (1895-1966), Cavalli, inizio degli anni Trenta. Collezione privata.
All’epoca Sanyu poteva contare su una certa solidità finanziaria che gli era assicurata dal fratello maggiore Chang Junmin, amministratore della prosperosa azienda di famiglia.
Nonostante questa sostanziosa dote in danaro, Sanyu visse il suo primo periodo in Europa a Berlino, città certo meno effervescente ma molto meno cara rispetto a Parigi.
Di questo primo periodo in Europa rimangono pochissime opere. Sembra infatti che in quei primi anni del terzo decennio del Novecento Sanyu preferisse di gran lunga frequentare i circoli di artisti suoi connazionali più che disegnare e dipingere, incontri nei quali si organizzavano soprattutto degustazioni culinarie, così sembra.
Giunto a Parigi nel 1923, Sanyu si iscrisse all’Académie de la Grande Chaumière a Montparnasse, una scuola nella quale vi era maggiore apertura alle più recenti tendenze della pittura.
Fu allora che cominciò a tessere rapporti amichevoli con alcuni dei maggiori talenti del tempo, tra cui il giapponese Léonard Tsugouharu Foujita, Alberto Giacometti e Pablo Picasso (una fonte del tempo ricorda che l’artista catalano realizzasse un ritratto di Sanyu, per ora non individuato).
All’Accademia Sanyu seguì con particolare interesse i corsi di disegno dal vero di nudi femminili. Una pratica che era del tutto estranea alla tradizione cinese, e che invece avrebbe avuto un’importanza fondamentale nell’evoluzione dell’arte di Sanyu.

Sanyu (1895-1966), Quattro nudi femminili, anni Cinquanta. Olio su masonite, 100 x 122 cm. Venduto presso Christie’s Hong Kong l’8 luglio 2020 per circa 30 milioni di €.
I suoi disegni e i suoi dipinti a olio con figure femminili sono infatti una cifra stilistica fondamentale dell’opera di questo artista.
I corpi delle sue donne sono delineati con pochi tratti di inchiostro, di un gusto che è chiaramente memore della tecnica calligrafica cinese; nei dipinti a olio su tela o su masonite, ai quali comincerà a dedicarsi più costantemente solo a partire dal 1929, essi si impongono per nettezza su sfondi policromati in larghe campiture pressoché piatte. Sono figure eteree, di una bellezza classica: occupano lo spazio in pose languide che, per certi versi, ricordano le rotondità morbide delle anatomie di Amedeo Modigliani.
All’Académie Sanyu incontrò anche la ragazza che sarebbe diventata sua moglie, l’aristocratica Marcelle Charlotte Guyot de la Hardrouere.
Gli anni che coincidono con la seconda parte del terzo decennio del secolo furono fondamentali per la formazione artistica di Sanyu. Si racconta che il giovane artista trascorresse gran parte delle sue giornate tra i café di Montparnasse, disegnando incessantemente tutto ciò che gli si parava davanti agli occhi. Contemporaneamente, cominciò a partecipare a tutte le mostre collettive di pittura che si tenevano nella capitale (Salon d’Automne, Salon de Tuileries, Salon des Indépendants).
Tuttavia, nonostante l’attività frenetica ed un certo plauso della critica, egli non riusciva a vendere i suoi dipinti. Alla frustrazione si aggiunse anche un costante e sempre maggiore bisogno di soldi. Situazione che si acuì drasticamente quando il flusso di denari proveniente dalla famiglia si interruppe definitivamente nel 1931, con la morte del fratello Junmin e il crollo finanziario dell’impresa.
L’inizio del quarto decennio fu dunque piuttosto difficile per Sanyu, che in quel

Sanyu (1895-1966), Pesci rossi, 1955 circa. Olio su tela, 73,8 x 50,2 cm. Venduto presso Christie’s Hong Kong il 2 dicembre 2020 per circa 17 milioni di €.
periodo si separò definitivamente dalla moglie e interruppe nel 1932 il rapporto con Henri-Pierre Roché. Collezionista e mercante (aveva già promosso le opere di Duchamp, Braque e Brancusi), Roché aveva incontrato l’artista di origini cinesi nel 1929: intuendone le potenzialità, aveva cominciato ad acquistarne le opere, spingendo l’artista a confrontarsi anche con la stampa, tecnica che ben si addiceva al suo stile scarno e sintetico. Tuttavia, a dire di Sanyu, il mercante pagava così poco i suoi disegni e i suoi dipinti che i guadagni continuavano a essere nettamente inferiori alle spese giornaliere che egli doveva affrontare.
A stemperare parzialmente una situazione complicata giunse l’incontro con Johan Franco, compositore olandese che si appassionò alle opere di Sanyu, acquistandone diverse e organizzando sue mostre in Olanda che, tuttavia, non ebbero il successo di vendite auspicato.
Nonostante l’indigenza, Sanyu non progettò mai di ritornare in Cina. Avvertiva chiaramente che Parigi fosse la sua casa (affermo una volta: “Sono costretto a restare a Parigi e a vivere una vita da bohémien.”) e, a esclusione di alcuni periodi all’estero, sarebbe rimasto per il resto della sua vita in Francia, richiedendo negli anni finali della sua vita che gli fosse concessa la cittadinanza.
Fu in questo periodo che Sanyu cercò anche altre vie diverse dall’arte per sbarcare il lunario. Esperto giocatore di tennis, mise a punto la variante del ping-tennis nella quale si combinavano per l’appunto il ping pong e il tennis tradizionale. Nel corso dei decenni successivi avrebbe promosso con caparbietà questa sua invenzione, ottenendo purtroppo scarsi risultati.

Sanyu (1895-1966), Leopardo, 1931. Olio su tela, 93 x 116 cm. Collezione privata.
Durante il periodo della guerra, le sue finanze erano talmente scarse che non riusciva neanche ad acquistare gli strumenti per dipingere. Si dedicò allora alla scultura, utilizzando l’argilla che aveva un costo praticamente nullo.
Nel 1948 riuscì a recarsi negli Stati Uniti. Lo scopo principale del viaggio era la promozione del ping-tennis, ma in quell’occasione ebbe modo di conoscere il fotografo Robert Frank che – ammaliato dalle sue opere – organizzò una personale a New York. Ancora una volta, Sanyu non riuscì a vendere nessuno dei dipinti esposti in quell’occasione. Rimasti nella collezione di Frank, nel 1995 e nel 1997 il fotografo li avrebbe venduti tutti con grande soddisfazione economica: i proventi sarebbero serviti a fondare il Sanyu Scholarship Fund presso la Yale University, un fondo economico il cui scopo principale era l’erogazione di borse di studio per studenti cinesi.
Ritornato a Parigi nel 1950, pur conscio del potenziale creativo conseguito nella maturità (“Ho dipinto per tutta la vita, ma solo ora so come farlo”, affermò in quello stesso anno), Sanyu avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua vita in difficoltà economiche (si sarebbe sostentato soprattutto con lavoretti di vario genere, tra la cui la decorazione di mobili), soffrendo di solitudine e disillusione, condizioni che si riflettono chiaramente nei suoi dipinti dell’ultimo periodo.
Un’occasione di rivalsa gli fu prospettata nel 1963, anno in cui ricevette l’invito dal Ministro dell’Educazione di Taiwan di recarsi nell’isola per insegnare e, contestualmente, di organizzare una sua personale. Sanyu spedì in Asia quarantadue sue opere, e intanto organizzò il viaggio ma il progetto andò in fumo. Tentò di riprendere le opere ma, per motivi non noti, esse rimasero nel National Museum of History, dove ancora sono conservate.
Morì la notte del 12 agosto del 1966 per un’intossicazione di gas. L’ipotesi del suicidio fu categoricamente smentita dalle persone con cui aveva trascorso la sera prima, ma su quel decesso permangono ancora molti dubbi.

Sanyu (1895-1966), Cinque nudi femminili, 1955 circa. Olio su masonite, 120 x 172 cm. Venduto presso Christie’s Hong Kong il 23 novembre 2019 per circa 35 milioni di €.
Nell’arco della sua vita, Sanyu ha realizzato una grande quantità di disegni, dipinti, stampe e sculture.
Non si può dire che le sue opere fossero del tutto ignorate, ma certamente egli non riuscì a vivere del suo mestiere di pittore, e dovette ingegnarsi in molti modi per sbarcare il lunario.
Tuttavia, nonostante le difficoltà, egli mai smise di credere in quel che faceva.
“La miseria delle vite degli artisti. Devono essere poveri, sempre poveri, fino alla fine. Io potrei rinunciare a tutto quello che possiedo ora. Ma c’è una possibilità: il mio amore non è ancora finito!”
Così scrisse nel 1931, quasi presagendo quello che gli sarebbe accaduto in seguito.
Nonostante tutto, dunque, Sanyu mai rinunciò all’arte.
La sua pittura è onirica, visionaria, in tutto sentimento, e non importa se egli si confrontasse con il nudo femminile, il paesaggio, la natura morta o la raffigurazione di animali (sia selvaggi sia domestici), i suoi temi prediletti.
In essa si combinano, con risultati sofisticati e in tutto emozionali, certe caratteristiche della grafica tradizionale cinese (la predilezione per il segno calligrafico che non ammette ripensamenti; la sintesi; una certa attenzione al decorativismo) con le peculiarità di alcune tra le più recenti tendenze dell’arte europea.
Zhang Daqian (1898-1983), uno dei giganti della pittura cinese del Novecento, anch’egli aperto alle influenze più disparate, definì Sanyu – che ammirava incondizionatamente – “il Matisse Cinese”.
Una definizione che se da un lato non rende del tutto giustizia all’originalità del suo stile, d’altro canto descrive in maniera sintetica l’arte di Sanyu.

Sanyu (1895-1966), Nudo femminile, anni Cinquanta. Olio su masonite, 122,5 x 133 cm. Venduto presso Sotheby’s Hong Kong il 5 ottobre 2019 per circa 20 milioni di €.
L’arrivo a Taiwan delle sue opere all’inizio degli anni Sessanta fu paradossalmente l’avvenimento che salvò dall’oblio l’arte di Sanyu.
Egli non poté dunque avere piena soddisfazione in vita ma, come è accaduto a molti altri artisti (Van Gogh su tutti), il suo genio si è fatto strada nei decenni successivi, grazie alle intuizioni di alcuni galleristi illuminati (soprattutto a Taiwan) e al grande successo di alcune mostre a lui dedicate, tra cui si ricordano quella del 1988 a Taipei, con la quale si indagavano i rapporti artistici tra Parigi e la Cina, e quella intitolata Sanyu: l’écriture du corps che si è tenuta presso il Musée des arts asiatiques-Guimet nel 2004.
In tempi piuttosto recenti le quotazioni di Sanyu sono salite esponenzialmente e con costanza, raggiungendo cifre da capogiro (nell’ordine delle decine di milioni di euro per i dipinti con figure femminili di grandi dimensioni), alla portata ormai solo dei più facoltosi collezionisti cinesi.