Ding Guanpeng (attribuito), Il Bodhisattva Manjushri con i suoi accoliti. Collezione privata.

La storia della pittura cinese è per il pubblico italiano ancora costellata di molti misteri.
Al contrario delle cosiddette ‘arti applicate’ – la porcellana soprattutto, ma anche gli intagli in giada e in altre pietre dure, i metalli smaltati a cloisonné o dipinti, i bronzi arcaici o imperiali, la scultura – la pittura cinese non trova ancora altrettanti ammiratori, e molto pochi di conseguenza sono anche i conoscitori.
Eppure, a molti è noto, proprio la pittura – insieme alla calligrafia – è la forma d’arte unanimemente considerata la più importante in Cina, espressione più pura e sofisticata dell’altissima estetica di quella civiltà.
La sua evoluzione ormai plurisecolare ha prodotto una miriade di stili, di generi e sottogeneri, di capolavori di inusitata bellezza, realizzati da quegli artisti che oggi formano il sublime pantheon della pittura cinese.
Sia chiaro, nessuno (figuriamoci io) potrà mettere in discussione la perfezione tecnica e l’altissima raffinatezza ed eleganza degli oggetti d’arte cinesi, soprattutto di quelli creati esplicitamente per il godimento dell’imperatore e della sua corte, ma non si può negare che la pittura abbia da sempre svolto un ruolo più plateale nella formazione del gusto dell’élite culturale del Regno di Mezzo.
Lo stesso imperatore Qianlong (regno 1736-1795), forse il più fine esteta tra i sovrani cinesi, protettore e mecenate di tutte le arti, pur avendo affinità elettive con le porcellane, i cloisonné e gli altri manufatti realizzati su sua esplicita richiesta, aveva una particolare predilezione proprio per la pittura.

Giuseppe Castiglione, Ding Guanpeng e altri, Ritratto di Qianlong. Pechino, The Palace Museum.

La sua collezione, conservata all’interno della Città Proibita, si distingueva per la presenza di numerosi capolavori, molti dei quali entrati nelle sue disponibilità come patrimonio della casata, altri acquisiti da lui stesso che era conoscitore finissimo.
Come il padre Yongzheng (regno 1723-1735) e il nonno Kangxi (regno 1662-1722), anche Qianlong promosse – ancora all’interno della Città Proibita – un’Accademia di pittura della quale facevano parte i migliori talenti allora attivi. A loro l’imperatore commissionava opere di vario genere, per esigenze di diversi tipi, dalle immagini di rappresentanza ai ritratti, dalle icone buddhiste all’illustrazioni delle sue visite ufficiali in luoghi anche periferici del paese.
Molti di questi artisti sono figure ben note nella storia della pittura cinese del Settecento, come Tang Dai (1673-1752), Zhang Zongcang (1686-1756), e Jin Tingbiao (?-1767). Tuttavia, tra tutti emerge sicuramente la figura di Giuseppe Castiglione (1688-1766), gesuita noto anche con il nome cinese di Lang Shining. Nato e formatosi a Milano, Castiglione giunse a Pechino nel 1715, entrando fin da subito nelle grazie di Kangxi il quale aveva esplicitamente richiesto che un pittore europeo lavorasse per lui.
A Castiglione va sicuramente il merito di aver rivoluzionato la pittura di corte cinese, elaborando uno stile che miscelava gli artifici più tipici della pittura a olio italiana (ombreggiature, chiaroscuri, prospettiva matematica) con le tecniche tradizionali della pittura cinese, dall’uso della carta o della seta come supporto alla particolare predilezione per la linea calligrafica netta.
Il risultato è uno stile in tutto nuovo che molto entusiasmò Kangxi, Yongzheng e Qianlong i quali nominarono l’artista italiano primo tra i pittori di corte.
L’arte di Lang Shining servì da modello anche per gli altri autori cinesi dell’Accademia, tra cui il talentuoso Ding Guanpeng (date di nascita e morte non note). Nato a Shuntian, un sobborgo dell’attuale Pechino, Ding Guanpeng produsse per Qianlong opere che, se da una parte ammiccavano proprio allo stile di Castiglione, d’altra parte ricercavano nel glorioso passato stimoli nuovi per aggiornare il linguaggio pittorico.

Ding Guanpeng, Due versioni del bodhisattva Guanyin, 1750 circa. Minneapolis Institute of Art.

Qianlong è infatti noto anche per la sua incondizionata ammirazione per le antichità, e una parte consistente della produzione artistica da egli stesso promossa ripropone con originalità stilemi già in voga nei secoli precedenti. Nelle porcellane, ad esempio, i riferimenti principali furono le ceramiche di epoca Song e il pregiatissimo vasellame realizzato nelle fornaci di Jingdezhen nel XV secolo, e più in generale si può affermare che forme e stile del decoro della produzione del XVIII secolo risentano nella sostanza dell’influenza di opere più antiche.
Anche in pittura si assistette a un simile fenomeno.
Ding Guanpeng dipinse infatti in uno stile ricco, molto dettagliato e decisamente ornamentale (gongbi) che ricorda per molti versi la pittura di Suzhou del XV-XVI secolo, ed in particolare le opere di Qiu Ying (1494-1552), un artista per l’appunto noto per una pittura molto elaborata, per certi versi miniaturistica, perfetta nella combinazione di linee precise e colori elegantemente accostati.
Egli stesso si rifaceva per questi suoi dipinti alle opere di artisti del passato, tra cui Li Gonglin (circa 1041-1106), tra i più venerati autori specializzati nella pittura di figure. Qiu Ying ebbe un folto stuolo di seguaci, alcuni dei quali – come Ding Yunpeng (1547-1628) – di notevole talento.
Nel Settecento, il passaggio di riferimenti stilistici era dunque multiplo, una trasmissione di canoni pittorici che risaliva nel passato fino al X-XI secolo, per poi transitare in epoca Ming, e infine giungere con rinnovata freschezza alla corte di Qianlong.
Ding Guanpeng è tra i pittori dell’Accademia di Pechino che meglio hanno interpretato questa rinnovata passione per la tradizione pittorica tanto stimolata dai sovrani di origini mancesi.
Riguardo ai soggetti, egli si cimentò sia con il paesaggio (spesso popolato di architetture descritte con un senso della prospettiva che certo risentiva degli insegnamenti di Castiglione) sia con la descrizione di figure (fu anche autore di alcuni ritratti di Qianlong, in collaborazione con l’artista milanese).
Tuttavia, eccelse in particolare nella raffigurazione di temi buddhisti, e a lui si ascrivono alcune delle migliori composizioni in quest’ambito realizzate nel Settecento.