Ho fatto una scoperta, recentemente: Sergio Toppi, disegnatore, illustratore, scrittore, Maestro.
Ho così colmato una mia lacuna, evidentemente grave, considerando l’importanza di questo artista, riconosciuto internazionalmente come uno dei più grandi disegnatori degli ultimi decenni, tuttora attivissimo e molto prolifico.
D’altronde, è proprio grazie a queste inesauribili lacune che ho ancora il privilegio di fare ‘scoperte’. Senza malinconia, mi conforta tantissimo che – per somma fortuna – avrò cose e fatti da scoprire per il resto dei miei giorni.
L’incontro con l’arte di Sergio Toppi è stato casuale. Un’edicola, la ‘mia’ edicola, nella periferia della città, esponeva un volume sulla cui copertina vi è un disegno raffigurante un cavaliere evidentemente cinese. Se questa immagine non fosse stata sufficiente, è servito anche il titolo – “Orientali” – a convincermi che quel fumetto avrebbe senz’altro attenuato l’uggia di una piovosissima domenica di novembre.

Sergio Toppi, copertina de "Il ritorno del Samurai", 2007

Desiderio soddisfatto. I disegni e le storie di Sergio Toppi hanno avuto la forza di catapultarmi in epoche e mondi diversi, per almeno un’ora.
Tuttavia, in realtà i luoghi e i tempi in cui mi hanno condotto le storie di Toppi li frequento direi quotidianamente, poiché l’Oriente in cui sono ambientate le sue opere raccolte nel volume che tengo tra le mani, è prevalentemente il Giappone, con poche ma argute ‘puntatine’ alla Cina.
Ora, in questo libro di Toppi – uscito in allegato a ‘Il Giornalino’, mitico periodico per ragazzi della San Paolo – si alternano tavole sciolte a storie complete, realizzate tra gli anni Settanta del Novecento e il 2009, ovvero recentissimamente. Da ciò si presume che la passione di Toppi per il Giappone ha lunga data, non ispirata quindi da interessi e attrazioni temporanee.
D’altra parte, solo ad ammirare le singole sue immagini, che si tratti di tavole autonome o facenti parte di un racconto, si capisce immediatamente quanto sia profonda la conoscenza di Toppi della cultura, dell’arte, della letteratura e delle tradizioni del Paese del Sol Levante. I paesaggi, i personaggi, gli abiti, le suppellettili che compaiono nei suoi disegni riproducono con esattezza ogni dettaglio dell’ambiente giapponese, di un mondo ormai perduto che si colloca temporalmente in tempi precedenti al 1853, anno in cui avvenne il fatidico incontro con gli occidentali. Una sola immagine del volume riporta ad anni successivi, pubblicata sulla rivista ‘Corto Maltese’ nel 1988, in cui si vede un samurai, abbigliato a metà tra la tradizione del suo paese e le novità  della moda esterofila, ieraticamente seduto, noncurante, nonostante sia trafitto a sangue dall’affondo di una micidiale katana. Immagini come

Sergio Toppi, "Shogun", illustrazione per "Il Giornalino", 1988

questa riescono, senza l’ausilio di parole, a spiegare benissimo quale dramma sociale abbia vissuto un popolo che ha dovuto, nel volgere di una manciata di anni, quasi ripudiare il proprio passato per inseguire il proprio futuro al passo di un progresso inarrestabile, commettendo consapevolmente una sorta di omicidio-suicidio rituale del proprio retaggio culturale.
Ecco quindi, Toppi mostra nelle sue tavole una precisione nella descrizione del mondo giapponese che si può dire filologica. Le architetture, le montature delle spade, le armature dei samurai, gli abiti delle nobil dame, gli arredi delle abitazioni, ma anche la fisionomia dei volti, le vesti della povera gente, le acconciature. E ancora il taglio delle lame, le forme delle bambole, gli haniwa, ovvero quei misteriosi manufatti in terracotta realizzati nel cosiddetto periodo Kōfun (III-VI secolo d.C.), tutto dimostra che Toppi, evitando l’inserimento di facili esotismi nella costruzione delle sue storie, ha studiato, approfonditamente, la cultura giapponese, in tutte le sue variegate sfaccettature. Ha visto e analizzato reperti archeologici, architetture tradizionali, pitture antiche, repertori di arte applicata, assimilando e quindi riproponendo al pubblico in composizioni dettagliate, minuziose.
Dai testi, poi, sia quelli che formano le trame sia quelli, brevi, che accompagnano i fogli sciolti, si percepisce chiaramente che Toppi ha vera conoscenza della letteratura, delle tradizioni e del folklore giapponesi. Non si giustifica altrimenti l’uso di personaggi tipicamente nipponici, come il taglialegna, lo spadaio Masamune, Momotarō, Inari e la volpe sua nemesi, e molti altri ancora.

Sergio Toppi, illustrazione da "Haiku", 2005

Splendida poi la selezione di poesie haiku, la forma più breve di componimenti in versi del Giappone in cui eccelse impareggiabile Matsuo Bashō (1644-1694), accompagnate da tavole di straordinaria intensità e, per restare nel filologico, da testo a fianco in ideogrammi giapponesi.
Proprio nelle tavole sciolte, per lo più policrome, ho notato cete affinità tra lo stile di Toppi e l’arte giapponese, richiami che invece, dal punto di vista stilistico, non ho invece notato nei disegni a sola china, nei quali la grafica di Toppi segue quella evoluzione di segno per il quale è diventato noto in tutto il mondo.
Nelle immagini policrome, invece, in certi casi traspare una eco di Ukiyo-e, non solo per la scelta di colori vivaci, ma anche per l’utilizzo di alcuni tagli compositivi di gusto nipponico, tra i quali senz’altro la volontà di sistemare le scene in cornici irregolari, libere, movimentate, quasi liberty.
Non ho adeguate conoscenze per fare riflessioni più illuminanti sull’opera di Sergio Toppi. Il mio incontro con la sua arte è avvenuto grazie alla comune passione per il Giappone. Posso solo dire, infine, che il suo disegno, la sua maniera poetica di proporre una storia, la sua inventiva geniale, hanno aperto la strada di una nuova ‘amicizia’ (permettetemi di chiamarla così), perché solo sentimenti di questo genere hanno la forza di aprire uno squarcio di sereno tra le nuvole pesanti di pioggia in una giornata novembrina.